L’uso dei diritti umani come arma

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di Alfred de Zayas* – teleSUR

L’uso dei diritti umani come arma ha trasformato il diritto individuale e collettivo all’assistenza, alla protezione, al rispetto e alla solidarietà, basati sulla nostra comune dignità umana e sull’eguaglianza, in un armamentario ostile ai concorrenti e agli avversari politici. Nella riserva dei diritti umani come arma, la tecnica del “nominare e svergognare” è diventata una specie di kalashnikov dilagante.

Tuttavia, l’esperienza dimostra che nominare e diffamare non allevia la sofferenza delle vittime e soddisfa solo gli obiettivi strategici di certi governi, organizzazioni non governative e una crescente industria dei diritti umani che sfrutta i diritti umani per destabilizzare gli altri e abbastanza spesso per facilitare il “regime change“, indipendentemente da quanto possa apparire antidemocratico e nonostante il principio del diritto internazionale consuetudinario di non intervento negli affari interni degli Stati sovrani. Questa strategia si basa sulla falsa premessa che il ‘nominatore’ possiede in qualche modo l’autorità morale e che il ‘nominato’ riconoscerà questa superiorità morale e agirà di conseguenza. In teoria, questo potrebbe funzionare se il ‘nominatore’ praticasse il “nominare e svergognare’ in maniera non selettiva e si astenesse da ovvi doppi standard. Sfortunatamente, la tecnica è spesso controproducente, perché il ‘nominatore’ ha i suoi scheletri nell’armadio. Questo classico esempio di disonestà intellettuale rafforza generalmente la resistenza dei ’nominati’, che saranno ancora meno disposti ad agire per correggere violazioni reali o presunte. Oppure, da quel che si può supporre,il ‘nominatore’ in realtà vuole che i ‘nominati’ rafforzino la resistenza e rifiutino di fare concessioni, in modo che possano essere denunciati con veemenza maggiore. Questo rientra nel concetto di diritti umani come strumento di politica estera, che non mira a migliorare la vita delle persone ma a facilitare gli obiettivi geoeconomici.

Altra tecnica è quella denominata ‘lawfare’, attraverso cui la ‘legge’ è usata per sovvertire lo stato di diritto, e il diritto penale internazionale è strumentalizzato per demonizzare certi leader e non altri. Un giudice che rispetta se stesso non tradirebbe la professione prestandosi a questo tipo di gioco, ma alcuni lo fanno, e invece di salvaguardare lo spirito del diritto, questi giudici politicizzati lo corrompono (ricordate il Volksgerichtshof di Roland Freisler!).

Compromettendo così la credibilità di tutto il sistema.

L’arsenale dei diritti umani armati include anche guerre non convenzionali, come le guerre economiche e sanzioni, apparentemente giustificate dalle presunte violazioni dei diritti umani dello Stato bersaglio. Il risultato è che, lungi dall’assistere le vittime, intere popolazioni sono prese in ostaggio, vittime non solo di violazioni da parte dei propri governi, ma anche di “punizioni collettive” da parte degli Stati sanzionatori. Ciò può portare a crimini contro l’umanità, quando di conseguenza la sicurezza alimentare è compromessa, i medicinali e le attrezzature mediche diventano scarse o disponibili solo a prezzi esorbitanti. In modo dimostrabile, le sanzioni economiche uccidono. A determinate condizioni, ‘nominare e svergognare’ implica nuove violazioni dei diritti umani e dello stato di diritto, contro gli articoli 6, 14, 17, 19 e 26 del Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici, e potrebbe raggiungere la soglia di ciò che viene definito “incitamento all’odio“ (articolo 20).

Conclusione: sebbene in casi specifici, “nominare e svergognare”, in particolare da parte delle ONG, abbia prodotto risultati positivi, non è una panacea per tutte le violazioni dei diritti umani. In situazioni più complesse, “nominare e svergognare” ha aggravato una situazione o si è dimostrato uno strumento di cambiamento completamente inefficace. Gli Stati farebbero bene a tornare a leggere Matteo VII, 3-5 e rimpiazzare la tecnica obsoleta di “nominare e svergognare” con proposte di buona fede e raccomandazioni costruttive, accompagnate dall’offerta di servizi di consulenza e assistenza tecnica per aiutare concretamente le vittime sul terreno.

Seminare onestà e amicizia è il modo migliore per raccogliere cooperazione e progressi in termini di diritti umani. Ciò di cui c’è più bisogno oggi è una diplomazia matura, negoziati orientati ai risultati, una cultura del dialogo e della mediazione, invece di questa petulante cultura della grandezza, dell’intransigenza, più sacra di quanto sembra che non aiuta nessuno.

*esperto indipendente in materia di diritti umani delle Nazioni Unite

(Traduzione de l’AntiDiplomatico)

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