Europee senza simbolo Pd? Calenda: “Pronto a candidarmi”

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Carlo Calenda è soddisfatto dalla proposta di Nicola Zingaretti che avanza la possibilità di una lista aperta alle europee con la disponibilità a rinunciare al simbolo Pd per un progetto aperto.

La disponibilità di Zingaretti di una lista unitaria alle Europee senza il simbolo dem è un passo verso il suo Fronte Repubblicano? “Sì”, risponde secco Calenda all’AdnKronos. Zingaretti quindi è sulla strada giusta? Sarebbe disponibile a impegnarsi in prima persona, da candidato, in questa lista? “Rispondo di sì ma al momento – sottolinea l’ex ministro – non voglio dire di più”.

RICHETTI – Per Matteo Richetti, il tema dei confini del Pd è stato già affrontato nella mozione congressuale con cui è candidato, in ticket con Maurizio Martina, alle primarie nazionale. Per questo definisce la proposta di Zingaretti “un punto aperto sul quale abbiamo già dato ampia disponibilità”. Oggi “la scena politica italiana e internazionale richiede davvero una ripartenza che segni anche un nuovo inizio, anche sulle forme della politica. E’ un percorso che non si chiude il 26 maggio, ma le europee sono una tappa fondamentale e anche lì va messa in campo la disponibilità a costruire qualcosa di più largo del solo Pd”.

Il senatore dem, rintracciato dall’AdnKronos nel corso del suo ‘tour’ congressuale, parla della necessità di dare via a “uno spazio di coinvolgimento più ampio del solo Pd, a partire dalle europee, dove è fondamentale unire tutti coloro che fanno dell’europeismo e della democrazia un riferimento contro chi sta posizionando l’Iitalia contro e fuori dall’Ue, indebolendone democrazie e istituzioni”.

‘FACCIAMO RETE’ – Richetti parla quindi di “grande interesse sulla proposta di Calenda, sul movimento ‘Facciamo rete’ di Becchetti e Magatti. Ma, oltre alle europee, c’è una riflessione che dice si vada verso la prossima Assemblea del Pd eletta alle primarie come Assemblea costituente di qualcosa di più ampio, di un grande movimento dei democratici italiani”.

In questa cornice, nel ragionamento di Richetti affrontare il tema del simbolo del Pd è una naturale conseguenza: “Come con l’Ulivo, nel dare forma alla coalizione ci fu una gradualità anche rispetto alla presenza dei partiti. Credo si possa immaginare un simbolo nuovo che contenga le forze politiche che lo compongono ma non solo, anche movimenti e dinamiche associative. Ma il simbolo va di pari passo con il progetto: se il progetto è nuovo e ampio, sarebbe improbabile pensare a non modificare e innovare la forma oltre che la sostanza”.

SONDAGGISTI – Sull’ipotesi di un cambio si trovano d’accordo anche i sondaggisti. “Può essere accantonato per le europee e anche sostituito” ma “si tratta di una operazione che può funzionare solo se la leadership del partito diviene forte e autorevole” dicono. L’apertura di Zingaretti non sorprende quindi i sondaggisti interpellati dall’AdnKronos.

Per Renato Mannheimer, sul simbolo, sul cambiamento, non ci sono più i rischi di prima: “Una volta – sottolinea il fondatore di Ispo – nella prima repubblica, il simbolo era essenziale” con gli “elettori che votavano il simbolo più che il leader”. Quindi “cambiarlo – sottolinea l’analista – sarebbe pericoloso ma non disastroso” visto che oggi “conta più il leader”. E “se Zingaretti fosse capace di assumere una leadership forte, la cosa potrebbe andare” ma “bisogna veder che progetto c’è dietro”, conclude Mannheimer.

Per Maurizio Pessato di Swg, “la cosa si può fare e potrebbe avere senso” ma certo “bisogna vedere se c’è tempo, se trovano accordo nel Pd, se si arriva a una proposta condivisa”. E “si deve vedere se si sposta poi il problema dal logo, dal simbolo alla proposta politica ampia”. Ma “per funzionare all’interno del Pd non deve esser vista come una cosa che faccio ‘io contro di te’ o ‘tu contro me'”.

Di certo, il cambio di simbolo “è una cosa che in funzione del voto europeo potrebbe essere una strada da intraprendere, mentre la vedo più difficile sul piano nazionale” sottolinea il sondaggista di Swg. “A favorire questa svolta potrebbe essere il fatto che il 26 maggio si vota con il proporzionale e non si vota per il governo nazionale, diminuendo così la necessità di mostrare una identità forte, come forza politica”.

“La questione è semplice: se si tratta di costruire un fronte allargato, se l’idea del cambio di simbolo presuppone questo fronte nuovo, come sembra, allora è una cosa che va bene”, dice Luca Comodo di Ipsos. “La leadership è importante e centrale, ci deve per questo essere una certa capacità di Zingaretti, ammesso che sia lui il vincitore delle primarie”.

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