Si è concluso il vertice tra Luigi Di Maio, Beppe Grillo e Davide Casaleggio in merito alla riorganizzazione del Movimento 5 Stelle. Dopo l’incontro tra i tre big all’Hotel Forum di Roma, Di Maio ha commentato ai giornalisti: “conveniamo tutti che ci sia bisogno di un’organizzazione del Movimento sia a livello nazionale che a livello locale in modo tale da essere competitivi anche alle amministrative”.
Il Movimento 5 Stelle infatti non riesce a eguagliare a livello locale i risultati ottenuti sul territorio nazionale a causa dello scarso radicamento. Una problematica che non riesce ad essere risolta poiché l’attaccamento territoriale di un partito necessita di una componente temporale che i pentastellati non possiedono. Essendo una forza politica ‘giovane’ non gode di una lunga storia partitica come quella posseduta dai suoi concorrenti (basti pensare alla Lega, attiva da circa 30 anni). La forza reale di un partito infatti si misura nel suo radicamento perché è questo il fattore che ne garantisce la sopravvivenza. Ciò permette anche di ottimizzare la possibilità di vincere le elezioni locali poiché il cittadino può percepirlo come vicino ai problemi quotidiani e dunque competitivo rispetto alle altre forze politiche tradizionali.
Nell’incontro sono stati inoltre affrontati due elementi considerati tabù per il Movimento 5 Stelle: la questione del divieto del doppio mandato e l’apertura alle alleanze in vista delle elezioni.
Il M5S ha sempre condannato la reiterazione continua dei mandati da parte della politica tradizionale, accusata di essere divenuti ‘professionisti della poltrona’. Tuttavia, il limite del doppio mandato si è rivelato un’arma a doppio taglio per il partito poiché incapace di rinnovare una classe politica ‘all’altezza’ di quella odierna: molti degli eletti pentastellati della prima generazione sono infatti al loro secondo mandato, e questo comporta la loro non ricandidabilità alle prossime elezioni. La conseguenza più diretta è legata alla conoscibilità dei candidati specie in un sistema elettorale di tipo misto ma con una componente maggioritaria. Quest’ultima infatti si basa, non solo sul radicamento territoriale dei concorrenti, ma anche sul legame del singolo candidato con gli elettori (entrambe sono le debolezze del M5S). Dunque uno dei capisaldi del Movimento potrebbe crollare anche se inizialmente sarà applicato a livello locale.
Un’altra importante questione è quella delle alleanze. Il M5S, anche a causa ‘dell’effetto Salvini’ che ha impattato sul loro gradimento, inizia a crollare sia nei sondaggi che nelle ultime elezioni. Lo straordinario 32% del 4 marzo sembra ormai un vago ricordo.
La forza del sistema politico italiano è la creazione di coalizioni elettorali specie in un contesto così frammentato a livello partitico. Se il rifiuto delle alleanze era considerato un vanto per il M5S delle origini, oggi sembra esserne diventato un fattore di debolezza strutturale poichè incapace di superare i suoi concorrenti seppur sia il primo partito in Italia sin dal 2013. Dunque la soluzione diviene, ancora una volta, l’eliminazione di uno dei tabù iniziali del Movimento (aprendosi inizialmente verso le liste civiche a livello locale). Di fatto il tabù delle alleanze in parte è già stato sdoganato con il ‘governo del cambiamento’, dunque il cammino in questa direzione è già stato intrapreso.
Consapevoli delle proprie debolezze, i big del Movimento stanno cercando di porvi rimedio nel momento in cui si è palesato il primo vero ostacolo al monopolio pentastellato: Matteo Salvini.
Sembra dunque che la rivoluzione del Movimento 5 Stelle stia iniziando a prendere forma.