Come fare pace col passato: intervista alla scrittrice Chiara Gamberale

Teocrazia e Cristianità oltre Tevere

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Tra le tante attese uscite editoriali di questo periodo, vi è il nuovo romanzo di Chiara Gamberale, “L’isola dell’abbandono” edito da Feltrinelli.

Protagonista di questo romanzo emozionante e ricco di spunti di riflessione è la quarantenne Arianna che divenuta da poco mamma decide di ritornare sull’isola di Naxos sulla quale era stata abbandonata dal suo primo e disperato amore, Stefano. Su quell’isola suggestiva che richiama il mito greco di Teseo, Arianna ricomporrà i pezzi della sua esistenza. Tra mille dubbi, tentennamenti, interrogativi imparerà a fare pace con il passato e soprattutto con se stessa ricongiungendosi alla sua parte più vera e profonda.

Lisola dellabbandono è un romanzo che affronta la paura della solitudine e dell’abbandono che terrorizza tutti quanti perché ci pone di fronte alla nostra parte più vulnerabile e introspettiva con la quale è difficile farne i conti. Parla di amori impossibili, cambiamento e vita. Ancora una volta la scrittrice romana Chiara Gamberale si riconferma una grande conoscitrice dell’animo umano.

Del suo nuovo romanzo, degli amori impossibili, della solitudine e della maternità abbiamo parlato con lei in questa interessante intervista fonte di tante riflessioni sulle nostre esistenze.

Com’è nata l’dea di scrivere “L’isola dell’abbandono?”

Mi sentivo finalmente pronta per affrontare di petto la sindrome dell’abbandono che mi perseguita da quando ero bambina: e che porta con sé, come inevitabile conseguenza, anche una paura tremenda di fronte all’idea di potersi abbandonare a qualcosa, anche e soprattutto se è l’orizzonte di una qualche felicità…”Soffre tutto quello che cambia, anche per farsi migliore”, scriveva Pasolini. Credo che sia vero. E i miei personaggi, facendo la spola fra il rumore della città e il silenzio, il contatto con loro stessi a cui li chiama l’Isola, lo mettono in scena. In questo modo hanno rivelato a me per prima quanto è straziante venire abbandonati, ma quanto è spaventoso abbandonarsi, lasciarsi andare, rinunciare alle nostre difese…

Come mai la scelta dell’isola di Naxos come scenario della vicenda narrata?

Perché è un luogo denso di significato, grazie al mito di Arianna…Che viene lasciata da Teseo (dopo averlo aiutato a uscire dal labirinto grazie al fatidico filo) proprio lì, a Naxos: per questo si dice “piantare in asso”, perché Arianna viene piantata in-Naxos…E la presenza del mito minaccia e protegge i miei personaggi. Comunque li abbraccia, ci abbraccia. Come credo faccia l’intera mitologia greca con tutta l’umanità.

Come definirebbe il concetto di solitudine in questa società in cui si è costantemente connessi col mondo e disconnessi con se stessi?

La solitudine oggi rischia di essere ancora più pericolosa: perché ne siamo preda senza neanche rendercene conto, e siamo fragilissimi, come lo è chiunque non si conosce, proprio mentre ci sentiamo forti dei nostri infiniti contatti, dei mi-piace, degli “amici”….

Una delle tematiche affrontate nel suo romanzo è quello degli “amori impossibili”, Cosa ci attrae di essi secondo lei? Perché inciampiamo sempre in essi?

La mia protagonista dimostra che un amore impossibile è comodo: perché ti distrae dalla lotta contro i tuoi mostri spostando l’attenzione su quelli che infestano l’altro…Tanto è vero che quando nella sua vita arriva Di, un uomo “possibile”, che le dice: eccomi, sono qui…E’ lei che fugge. E ci metterà dieci anni per capire perché lo ha fatto, e tornare sull’Isola dell’Abbandono.

La protagonista Arianna ha paura di amare…c’è un modo per superare questa paura molto diffusa al giorno d’oggi?

Credo che quel modo sia solo uno: conoscere noi stessi. Non avere paura di entrare in contatto con le nostre zone d’ombra, la nostra infanzia, gli ossicini che, dentro, quand’eravamo bambini si sono incrinati o addirittura rotti…

La maternità aiuta da protagonista a superare le sue paure…quanto la maternità è in grado di arricchire umanamente una donna?

Moltissimo: ma bisogna trovare il coraggio di accettare la sfida che ci lancia la vita con la maternità, la paternità…Il cuore del lungo dialogo che accompagna la seconda parte del romanzo sta proprio qui, in questa domanda: quanto siamo disposti a cambiare, se l’Uragano Figlio ci travolge?

Quanto è cresciuta artisticamente Chiara Gamberale da “Qualcosa” a “L’isola dell’abbandono”?

Non so dirlo. Ma sicuramente scrivere una favola mi ha aiutata a scorporare dalla mia scrittura certi infantilismi…E in questo nuovo romanzo, forse per la prima volta, non ho nessuna paura del dolore dei miei personaggi. Perché ho smesso di temere il mio.

Perché il lettore de IlCorriereNazionale.net dovrebbe leggere il suo romanzo?

Perché magari, come me mentre scrivevo, non sa di che cosa ha bisogno. E “se non sapessimo di che cosa abbiamo bisogno, non avremmo bisogno dell’amore”.

Mariangela Cutrone

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