Padre Occhetta, ‘liberare giornalismo dall’essere megafono servile della politica’

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Padre Francesco Occhetta

di Veronica Marino

Accompagnare la trasformazione del servizio pubblico secondo uno stile preciso e rigoroso significa educare il proprio giornalismo a correggersi, rettificarsi e scusarsi; affinarlo nei contenuti e nei modi; vietare le forme di pubblicità occulta; liberare il giornalismo dall’essere megafono servile della politica; garantire il principio del pluralismo; dar voce alle minoranze; favorire il fatto che si parli di più e meglio di Europa; premiare il merito; motivare i delusi; investire in cultura e non sprecare le risorse. Innovarsi è soprattutto questione di sguardi e di linguaggio”. E’ il pensiero espresso all’Adnkronos da padre Francesco Occhetta, convinto che indietro non si possa più ritornare. “Le dimensioni del tempo e dello spazio dell’informazione sono cambiate – evidenzia – e la risposta positiva dell’attuale dirigenza è quella della Media Company, che favorisce l’accesso ai contenuti sulle piattaforme esistenti”.

Autore di ‘Ricostruiamo la politica. Orientarsi nel tempo dei populismi’ (Edizioni San Paolo), libro che domani alle 11 sarà al centro di una riflessione che toccherà, per l’appunto, anche il tema di una possibile riforma Rai nella sede dell’Agcom (in Via Isonzo 21/b, a Roma), padre Occhetta ritiene che la Rai necessiti di una riforma. Cosa, questa, che significa, innanzitutto, “investire sulla qualità dell’informazione e sul rapporto di fiducia con i cittadini, perché il servizio pubblico – rileva il teologo morale e giurista – si regge su logiche che sono il punto di equilibrio tra le esigenze del mercato dell’ascolto televisivo e le scelte valoriali di un Paese. Le trasmissioni radiotelevisive prodotte in uno Stato democratico – sottolinea entrando nel merito – sono chiamate a garantire imparzialità, completezza d’informazione e tutela dei bisogni presenti in una società. L’orizzonte di senso in cui si inscrivono i significati di ‘servizio’ e di ‘pubblico’ dipende direttamente dai valori di credibilità e di inclusività, e dal rapporto di fiducia tra la Rai e i suoi fruitori”.

“La Rai – è il ragionamento di padre Occhetta – deve continuare a garantire la formazione di una coscienza civile, da sempre riconosciuta nella tradizione della televisione pubblica. Non si tratta, come pensano molti, di rifondare una Rai insegnante (il cui etimo ricorderebbe un mettere dentro), bensì di costruire una Rai educante, e ciò nel senso più alto del termine, del ‘tirare fuori’ risorse, innovazioni e valori: dai cittadini e dalla società. Da un punto di vista comunicativo – spiega – passare dalla centralità dell’attenzione a quella della fiducia significa fare propria la dimensione del dialogo. E affinché questa trasformazione avvenga – approfondisce padre Occhetta – sono necessarie condizioni di natura tecnologica, come le infrastrutture abilitanti (biblioteca, teche…) e la riprogrammazione di competenze qualificate”.

Da parte della Rai, “il rapporto di fiducia con i cittadini – secondo Occhetta – presuppone proprio questa scelta: restituire e far condividere i contenuti del patrimonio dei suoi archivi, che contengono qualcosa come tre milioni di ore di trasmissione. Da parte loro, i cittadini verso la Rai sono chiamati alla responsabilità di collaborare a progetti e ad interventi mirati, perché la Rai è di tutti. Per l’importanza che la comunicazione riveste nel terzo millennio il servizio pubblico – questa è la convinzione da cui tutto discende – determina la qualità della democrazia. È per questo che il servizio pubblico dovrebbe essere un nuovo diritto fondamentale da inserire nella Costituzione italiana, perché gli venga attribuita la stessa dignità della sanità, della scuola”.

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