La tanto attesa nuova raccolta di poesie della scrittrice e poetessa Maria Rosaria Valentini si intitola “E il sonno non ha buio” ed è edita da Giulio Perrone Editore.
Gli scritti poetici che compongono la raccolta sono divisi in sezioni dedicate a tematiche specifiche. Esse sono tutte accomunate dal desiderio della Valentini di raccontare il ruolo del tempo nella nostra esistenza caratterizzato da attese e desideri. In questo intento l’abile e sensibile poetessa ci riesce a pieno attraverso il racconto di esistenze osservate nella loro semplicità apparente, colte nel loro quotidiano ma speciale vivere.
La Valentini con questa raccolta ha dimostrato una grande abilità nel raccontare storie di vita vera attraverso voci e immagini che le sue poesie sono in grado di evocare e alle quali il lettore non può fare a meno di affezionarsi
Dalla poetica della Valentini emerge la fragilità e la sensibilità dell’animo umano, i suoi limiti, i suoi desideri, le sue attese, tutte componenti della dimensione umana che la poetessa da investigatrice dell’anima, ha affrontato nella sua interezza.
Ce ne parla in questa interessante intervista in cui ci racconta da dove trae l’inedita ispirazione per la scrittura dei suoi indimenticabili versi poetici e della sua capacità di investigare nell’animo umano, dote innata del vero poeta.
Com’è nata l’idea di scrivere questa raccolta di poesie dal titolo “E il sonno non ha buio” edita da Giulio Perrone?
A dire il vero prima sono nate le poesie e solo dopo si è affacciata l’idea di una raccolta. Per diversi anni ho scritto su fogli sparsi dei testi poetici e li ho racchiusi dentro scatole di cartone. È stata poi la mia traduttrice francese – Lise Caillat – a incuriosirsi e a suggerirmi di portare ordine tra quelle carte. Così ho selezionato delle pagine che mi sono sembrate imparentate tra loro: accomunate da una mia insistente attenzione, quasi investigativa, nei confronti del tempo e della luce.
Da dove trae l’ispirazione per comporre i suoi versi?
I versi affiorano dall’osservazione delle minuzie, dall’attrazione per frammenti apparentemente comuni e banali della nostra esistenza. Sono i gesti di ogni giorno e gli oggetti modesti a trovare ampio spazio nella mia meraviglia. Insieme alla fragilità che ci riveste tutti. Il buio che ci circonda – che pure si lascia attraversare e offre varchi alla luce – mi cattura sempre. E poi, certamente, si fanno largo gli amori, gli affetti, le assenze, i ritardi, i vuoti, le mancanze che spesso si trasformano in radici inestirpabili. Impossibile e ovvio, infine, sottrarsi alla saggezza della natura, impossibile rimanere indifferente dinanzi al suo potente alfabeto.
Il tempo è la chiave di lettura di ogni suo verso…lei che rapporto ha con il tempo?
Il tempo è ciò che siamo. Forse per questo tutti noi non di rado ci auguriamo di fermarlo, di capovolgerlo, di incarcerarlo, di indagarne il mistero; magari anche di affibbiargli un volto. Occhi, naso, bocca. E un cuore piantato nel petto. Progetto irrealizzabile, si sa. Eppure l’idea di un fallimento annunciato non può frenare un’aspirazione. Ed ecco che per me il tempo diviene un esteso oggi dove a volte l’infanzia si fa filtro, voragine d’incantesimo.
Le attese e i desideri sono costanti creative della raccolta poetica…che cos’è il desiderio dell’attesa? Ci spieghi il suo concetto…
È importante saper aspettare e
saper scorgere nell’attesa gli indizi di ogni desiderio. Importante figurarsi
ciò che verrà e in quei disegni spiare i propri sogni, identificare la fame che
abbiamo per ogni domani. Necessario disvelare le ansie benefiche che lungo i
nodi dell’attesa definiscono il perimetro di un’intima anticamera dove accogliere
la speranza di ciò che succederà.
Ha diviso la raccolta in sezioni… c’è una sezione alla quale è più affezionata rispetto alle altre? E perché?
La sezione Stami è dedicata in gran parte agli affetti familiari, ai miei figli oppure alla memoria di persone che non ci sono più; a questa, dunque, mi sento particolarmente legata.
Qual è il ruolo del poeta nella società odierna secondo lei?
Purtroppo la società contemporanea non spalanca le porte alla poesia. Siamo tutti troppo frettolosi e trasformiamo il nostro tempo in una tagliola.
La figura del poeta è evanescente e marginale. Tuttavia possiamo ancora contare su voci resistenti che mi auguro possano comporre presto un coro fitto.
La poesia è un genere letterario che stenta ad affermarsi e a diffondersi. Secondo lei da cosa dipende questa difficoltà?
Talvolta la poesia è “temuta” perché considerata distante dalla realtà e troppo criptica nella sua forma. Forse la scuola ha contribuito, in parte, a creare questa distanza, a catapultare lontano i potenziali lettori. Oltre a ciò siamo tutti invasi dall’esigenza prepotente di dover sempre tradurre, decodificare, spiegare con un piglio chirurgico ogni spicchio della nostra vita, delle nostre esperienze. Credo invece che sia necessario – a tratti – sapersi liberare da questi vincoli. Credo sia urgente riuscire ad avvicinarsi alla poesia coltivando la capacità di abbandonarsi a uno scritto senza doverlo radiografare.
Perché il lettore de Il CorriereNazionale.net dovrebbe leggere la sua raccolta di poesie?
La poesia, a mio avviso, non racchiude obblighi. Invito il lettore de ILCorriereNazionale.net a leggere le mie poesie solo se ha voglia di partecipare a un volo, cominciando dalla dedica che apre la raccolta:
Una rondine non fa primavera.
Due sì.
A quelle, allora.
Mariangela Cutrone