6 domande sull’Euro-parlamento ai candidati alle europee

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Da oltre 15 anni nelle istituzioni europee, esperta di economia digitale e di comunicazione pubblica, ha ricoperto diverse funzioni a Bruxelles, in Lussemburgo e a Washington DC, dove è stata responsabile della nuova politica per l’economia digitale e la cybersicurezza transatlantica.
Nel 2018 è stata nominata Standout Woman per la sua competenza e determinazione.
L’abbiamo intervistata nell’ambito di una serie di incontri con i candidati dei diversi partiti alle prossime elezioni europee.
D. In questi cinque anni, secondo lei cosa avrebbe dovuto fare il Parlamento europeo e non ha fatto?
R. Forse tante cose, ma voglio elencarne soltanto tre che erano davvero possibili e che avrebbero anche lanciato un segnale verso chi, tra qualche giorno, tornerà a votare: il Parlamento avrebbe dovuto insistere per il regolamento comune sulle lobby, avrebbe dovuto fare pressione maggiore sui governi per abolire la doppia sede e, per finire, arrivare a permettere le liste transnazionali per queste Europee 2019.
D. Cosa invece ha realizzato di positivo il Parlamento?
R. I grandi pacchetti legislativi di riforma: dalla protezione dati al più recente copyright, alle liberalizzazioni nel campo dell’energia. Dossier che erano bloccati da anni e dove finalmente si è trovato un accordo per andare avanti in una visione sostenibile e che valorizza lo stile di vita europeo.
D. Secondo lei il Parlamento europeo funziona bene così com’è oppure sarebbe necessaria una riforma che ne aumenti i poteri?
R. All’inizio il parlamento era un organo consultivo, ma i suoi poteri sono aumentati con il procedere dell’integrazione. A differenza dei parlamenti nazionali, però, non ha l’iniziativa legislativa, che spetta alla Commissione europea. Io penso invece che dovrebbe avere potere di iniziativa legislativa e anche di approvare alcuni provvedimenti in urgenza.
D. L’Italia conta poco o molto in Europa?
R. L’ Italia conta, è uno dei Paesi fondatori, ma potrebbe contare di più prendendo un ruolo chiave nel Mediterraneo, costruendo alleanze e non mettendo in crisi rapporti consolidati, capendo che a Bruxelles bisogna essere presenti ai tavoli giusti con le persone giuste e competenti. Il Parlamento UE, le donne e gli uomini che arriveranno lì, saranno fondamentali per far contare l’Italia e gli italiani che, ricordo, si sono innamorati del sogno europeo.
D. Quale è stato il suo contributo all’Europa e all’Italia in questi anni di Capo Rappresentanza della Commissione Europea a Roma?
R. Nel ruolo che ho ricoperto con onore e orgoglio fino a qualche giorno fa ho cercato di trasmettere un’Europa dal volto umano, vicina ai territori e ai cittadini. Per questo ho viaggiato l’Italia in lungo e in largo: sono stata in comuni grandi e piccoli, nella Locride e a Riace, tra i sindaci delle Madonie, a Senigallia e Ostra Vetere, a Bassiano e a Poppi nella mia Toscana. Sono tornata spesso nelle regioni colpite dal terremoto, da Arquata del Tronto a Norcia ad Amatrice – con i giovani del corpo europeo di solidarietà ed esperti di euro-progettazione per ridare concretamente speranza. In tre anni ho percorso tutta la penisola perché convinta che ripartire dalla gente e dai territori sia l’unico modo per ridare senso all’essere europei, Ho anche voluto portare l’Europa fuori dalle sale di conferenze, negli eventi sportivi come la maratona di Roma e il Giro d’Italia, ma anche nei centri commerciali, nei teatri, nelle tante periferie di queste nostre città. Dove ci sono gli italiani ci deve essere l’Europa.
D. Il Parlamento ha votato la riforma del Trattato di Dublino, che affronta il problema dei migranti, ma questa riforma non è operativa. Come giudica la riforma, e come mai c’è questa impasse?
R. Su Dublino manca l’accordo politico. Ritengo sia un grave errore perché su altre cinque proposte riguardanti la riforma del diritto d’asilo l’accordo è stato trovato – incluso sull’armonizzazione delle condizioni dei rifugiati per evitare la corsa al paese con condizioni migliori e sulla condivisione delle banche dati. Dublino invece resta uno scoglio perché ci sono paesi e forze politiche che non accettano il principio di solidarietà quando si tratta di persone migranti e di rifugiati. La riforma proposta invece a mio avviso va approvata perché porta un miglioramento rispetto alla situazione attuale che prevede la responsabilità per determinare il diritto all’asilo dello stato europeo di primo approdo. Ricordiamoci che queste regole sono state approvate in un’epoca in cui solo in pochi sbarcavano sulle coste dell’Europa. Adesso sappiamo e non possiamo più ignorare che la migrazione è un fenomeno strutturale che richiede risposte comuni. E abbiamo il dramma della Libia alle porte. Per questo abbiamo bisogno di una leadership europea con idee chiare e capace di trovare soluzioni comuni.

alessandro butticé 

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