Luigi Di Maio ha chiesto agli iscritti della piattaforma Rousseau di votare giovedì 30 maggio sulla sua posizione di capo politico. La decisione è sembrata naturale dopo la debacle elettorale delle ultime elezioni europee che hanno visto il Movimento 5 Stelle crollare; di conseguenza la prassi politica impone, dopo una sconfitta, di far cadere qualche testa. La colpa è stata quella di aver accompagnato il M5S verso una caduta vertiginosa di consensi: passando dal 32,7% delle elezioni politiche al 17% di quelle europee. Bisogna stare attenti però: le consultazioni europee sono elezioni estremamente diverse rispetto a quelle politiche e di questo bisogna tener conto.
Sin dagli studi di Reif e Schmitt si era ipotizzato l’idea che le elezioni europee fossero un banco di prova per il governo, sostenendo che i partiti governativi subiscono una perdita mentre aumentano le opposizioni poiché maggiormente mobilitate. Questa analisi, esaminando l’attuale caso italiano, risulta in parte falsa soprattutto a causa della straordinarietà della compagine di governo: M5S e Lega sono due forze politiche costrette a governare insieme a causa della mancanza di un’alternativa possibile dopo le elezioni del 4 marzo 2018. Quindi il M5S ha indubbiamente perso quasi la metà dei suoi voti, se paragonati rispetto alle politiche, mentre la Lega ne ha guadagnati il doppio (34,3%).
Risulta dunque vincente, non solo la retorica nazionalista e sovranista, interpretata da Lega e dallo straordinario successo di Fratelli d’Italia (6,5%), ma anche la mobilitazione di un’opposizione di centrosinistra con la rimonta del Partito Democratico che è passato dal 18% al 22,7%, ma anche dal discreto successo del gruppo ancora più a sinistra (+Europa 3,09%, Europa verde 2,29%, La Sinistra 1,74%). Sicuramente da questa competizione il M5S ne esce sconfitto, sia per le percentuali, sia per l’assenza di una campagna elettorale incentrata su temi europei e basata quasi interamente sulla difesa estenuante dalle accuse di collusione con la retorica salviniana. Questa strategia difensiva evidentemente non è bastata ed è arrivato il conto da pagare.
Dunque il capo politico del Movimento 5 Stelle deve rimettersi necessariamente in discussione, ma qual è l’alternativa? E soprattutto, chi deciderà, in caso di mancata riconferma di Luigi Di Maio, sulla nuova dirigenza? Ricordiamo che la piattaforma Rousseau è stata multata dal Garante della Privacy poiché “inaffidabile e manipolabile”. Decidere di estromettere Di Maio potrebbe rivelarsi un grande errore per un movimento nato su presupposti diversi rispetto agli altri partiti: la classe politica del M5S è infatti composta da personalità senza alcuna esperienza politica, fattore che si ripercuote nel grado di legittimazione attribuitagli dalla cittadinanza. Il partito non convince sul territorio, i candidati non sono attraenti, il movimento non raccoglie abbastanza voti di preferenza evidenziando lo scollamento tra la struttura partitica e la classe politica. E questo è un enorme problema in un contesto storico altamente personalizzato dove la fiducia è sempre più riposta nella persona piuttosto che sul partito.
Luigi Di Maio è il colpevole della sconfitta del M5S? Si e No. Certamente, essendo il capo politico del Movimento, ha una responsabilità data dalla sua funzione di rappresentanza e dalla visibilità ma non può essere l’unico capro espiatorio. La colpa è della struttura fondante del partito che, dopo circa dieci anni di attività, sta mostrando i suoi limiti strutturali: mancanza di trasparenza, di formazione politica, di esperienza, di coerenza. Dunque estromettere Di Maio forse non è la soluzione migliore soprattutto perché manca un’alternativa credibile, ossia quella personalità politica in grado di presentarsi come un sostituto plausibile. Alessandro Di Battista o Roberto Fico potrebbero essere dei papabili successori ma non saranno di certo la soluzione alla crisi del partito. Le scorse elezioni europee hanno infatti evidenziato i problemi interni al M5S che potranno essere risolti solo con un ripensamento profondo, dotandosi di una struttura, di procedure formalizzate, di processi decisionali trasparenti funzionali alla rinascita necessaria di una forza politica che, ricordiamo, è una della compagini di governo.