Il Memoriale di Berlino
di Gabriele Nissim
Accettare le responsabilità morali nella propria storia non dovrebbe essere per un Paese un ostacolo e una punizione. Anzi dovrebbe diventare un valore e un indice di maturità. Chi poi è nato oggi in un Paese responsabile di crimini contro l’umanità nel suo lontano passato, non per questo dovrebbe vivere la sua vita con una sorta di peccato originale, ma dovrebbe sentirsi impegnato a difendere i diritti umani affinché ogni forma di prevaricazione non si ripeta. Un giovane non è responsabile per il passato, ma soltanto per come si comporta nel tempo in cui gli è capitato di vivere.
Oggi però, sulla scena internazionale, assieme all’intensificarsi delle Giornate della Memoria, assistiamo ad un fenomeno curioso. Molti Stati sentono la necessità di salvaguardare a tutti i costi la loro innocenza per negare responsabilità passate, come se ciò potesse diventare un marchio fastidioso. Così la Cina, soprattutto per non affrontare il tema della democrazia, rimuove la sanguinosa repressione sulla Piazza Tienanmen; la Russia di Putin non ricorda più i gulag e rivaluta Stalin come difensore degli interessi nazionali; la Turchia continua a negare il genocidio armeno, quando il riconoscimento dei massacri potrebbe migliorare l’immagine internazionale di Erdogan. In Europa, invece, molti Paesi che ricordano la Shoah hanno trovato un escamotage per salvaguardare la loro innocenza. Scaricano le responsabilità del genocidio ebraico sulla Germania e cercano di mettere un velo sulle complicità che i loro Stati o una parte della popolazione hanno avuto con il nazismo. La Polonia è il caso più clamoroso con l’approvazione di una legge che considera punibile chi in vario modo mette l’accento su delle responsabilità polacche nel dramma degli ebrei, ma anche in Ungheria, nei Paesi Baltici e in Ucraina si guarda con fastidio chi biasima i leader politici che si accordarono con Hitler.
Il caso della Germania di oggi merita un’analisi approfondita perché, dai tempi di Adenauer, le istituzioni tedesche hanno affrontato il tema della colpa per lo sterminio degli ebrei come mai nessun Paese ha mai fatto nella storia dell’Occidente. Potremmo dire oggi che i due Paesi che più di ogni altro tengono accesa la memoria della Shoah sono la Germania ed Israele.
Ancora pochi giorni fa Angela Merkel, in un’intervista, ha ribadito le tesi del discorso che il presidente Richard von Weizsäcker fece nel 1985 in occasione del quarantunesimo anniversario della sconfitta della Germania nazista. Allora aveva stupito il mondo quando aveva detto che la liberazione del suo popolo era cominciata con la sua sconfitta militare da parte degli alleati e che quindi i tedeschi erano grati ai liberatori che avevano combattuto contro di loro. Inoltre von Weizsäcker aveva sottolineato come il passato nazista ricadeva su tutti i tedeschi.
“Tutti noi, colpevoli o no, giovani o anziani, dobbiamo accettare il passato. Siamo tutti condizionati dalle sue conseguenze e responsabili per ciò che è avvenuto.”
Questa memoria esemplare è pero incrinata dall’attività della nuova destra tedesca, come spiega Gian Enrico Rusconi nel suo ottimo libro Dove va la Germania?La sfida della nuova destra populista (il Mulino).
Non si tratta però di un revisionismo storico o di una forma di negazionismo per negare le responsabilità del passato; nessuno, per intenderci sostiene che i campi nazisti non sono esistiti o che bisogna rimuovere le colpe dei nazisti.
L’obiettivo è un altro: non fare più della memoria del passato il riferimento della Politica tedesca in ogni sua scelta.
Per normalizzare la vita della Germania e dei suoi cittadini, il tema dell’Olocausto degli ebrei non dovrebbe essere più centrale, perché il riferimento alla colpa sarebbe un peso che renderebbe i tedeschi meno liberi.
Apparentemente in tutto questo non c’è un discorso antisemita, ma se si scava in profondità forse c’è il rischio che gli ebrei prima o poi siano indicati come coloro che, richiamando la colpa, costituiscano l’ostacolo fondamentale ad una vita normale dei tedeschi.
Varie sono state le affermazioni dei leader di Alternative für Deutschland cariche di ambiguità che hanno teso a sminuire le responsabilità tedesche. Il 2 giugno del 2018, Alexander Gauland al congresso dell’organizzazione giovanile ha creato scalpore quando ha dichiarato che “Hitler e i nazisti sono soltanto una stronzata [ein Vogelschiss] nella storia tedesca ricca di successi di oltre mille anni.”
Per difenderlo dalle critiche Björn Höcke, il più radicale tra i rappresentanti della nuova destra, ha dichiarato che il regime hitleriano è stata una dittatura che si è affermata contro la volontà dei cittadini.
“La maggioranza dei cittadini non ha mai sostenuto Hitler, il quale non ha mai ottenuto una maggioranza democratica attraverso libere elezioni. La libertà di stampa era oppressa e l’opposizione politica era repressa con i metodi più pregevoli che conosciamo. Questo popolo era intimidito. È importante sapere che nonostante la dittatura ci fossero ancora dei patrioti conservatori come von Stauffenberg che hanno avuto il coraggio di donare la vita.”Ma proprio perché il popolo tedesco non è stato compiacente, il 17 gennaio 2017 dichiara a Dresda che è inopportuno che i tedeschi continuino a vivere con lo stigma della colpa nel centro di Berlino.
“Noi tedeschi siamo l’unico popolo al mondo che ha eretto un monumento della vergogna [ein Denkmal der Schade ] nel cuore della sua capitale.” È il famoso Memoriale della Shoah vicino al parlamento e alla porta di San Branderburgo.
Il leader della nuova destra dichiara che è necessario fare una svolta di 180 gradi nella politica della memoria e dunque che bisogna ricordare anche il male che hanno subito i tedeschi, come il bombardamento di Dresda del 1945 equivalente al lancio della bomba su Hiroshima e Nagasaki. Poi attacca il discorso del Presidente Richard von Weizsäcker, sostenendo che associare l’idea di liberazione della Germania con quello della sconfitta militare è un “ discorso contro il suo popolo.”
Molto significativo, come osserva Rusconi, è il successo di pubblico che ha il libro con un titolo apocalittico, Finis Germania, dello storico Peter Sieferle, in testa alle classifiche di Amazon nel giugno e nel luglio del 2017.
L’autore si era suicidato nel settembre del 2016, ma il testo era uscito postumo a cura del suo amico Raimund Theodor Kolb, sinologo di professione, creando così un grande mito attorno al personaggio e alla sua profezia catastrofica.
Le argomentazioni del libro sono contraddittorie e confuse, ma vale la pena di cogliere e interpretare i punti essenziali e di cercare di capire cosa ha colpito i suoi numerosi lettori. Sieferle sostiene che la memoria della colpa imposta di vincitori avrebbe inferto un colpo micidiale alla stessa identità tedesca.
Poiché i tedeschi non possono più uscire da questa responsabilità terribile, alla stregua di un peccato originale, essi sono costretti ad annullarsi come popolo concreto e a diventare uomini astratti. Presentarsi quindi come tedeschi diventa una vergogna perché non c’è possibilità di espiazione e di perdono e si dovranno sempre portare sulla loro testa sempre questo marchio.
Se uno nasce tedesco è sempre quindi colpevole e non ha quindi nessuna possibilità di redenzione. Ecco perché deve diventare un altro da sé e un uomo generico senza identità. Dopo Auschwitz, il tedesco per sottrarsi alla sua colpa metafisica deve quindi scomparire. Ecco il ricatto terribile che pesa sul popolo tedesco costretto al suo annullamento.
Sieferle paragona la condizione esistenziale degli ebrei a quella dei tedeschi.
Con il cristianesimo gli ebrei sono passati alla storia come il popolo deicida. Il popolo eletto si è trasformato come il simbolo del male ed ogni cattedrale che ricorda Gesù Cristo richiama al tradimento degli ebrei e alla superiorità dei cristiani sugli ebrei.
Oggi anche i tedeschi vivono con uno stigma imperdonabile e sono gli ebrei a loro volta che, ricordando la memoria della Shoah, ogni giorno alimentano la colpa tedesca. Ciò che hanno fatto i cristiani agli ebrei, ora gli ebrei lo fanno ai tedeschi.
Scrive Sieferle: “La cristianità in ogni città ha costruito cattedrali al suo Dio ucciso, che suscitano ammirazione ancora oggi, sebbene la credenza che vi sta dietro con il tempo sia diventata incomprensibile. Gli ebrei, cui il loro Dio ha assicurato l’eternità, costruiscono ai loro compagni assassinati in tutto il mondo, monumenti nei quali non solo è assegnata alle vittime la forza della superiorità morale, ma anche la forza dell’eterna infamia ai loro assassini e ai loro simboli.”
Da queste osservazioni ne consegue che i tedeschi, per ritrovare la loro normalità, si dovrebbero liberare del condizionamento psicologico degli ebrei che così ricordando continuamente il nazismo e le responsabilità della Germania nazista si sono così vendicati per le sofferenze subite.
È un discorso che, portato alle estreme conseguenze può di nuovo creare nell’opinione pubblica l’idea che gli ebrei siano una nuova minaccia per il popolo tedesco, proprio per il valore che danno alla memoria, anche se Sieferle e la nuova destra tedesca non negano la Shoah e non fanno sconti al nazismo.
C’è dunque il rischio latente di un antisemitismo di nuovo tipo, da non confondere con quello nazista. Improprio infatti, come anche osserva Rusconi, sarebbe quello di etichettare in modo semplicista la nuova destra come neonazista.
Ma allora come affrontare in Germania le nuove discussioni sul problema della colpa? Non c’è una ricetta semplice. Prima di tutto è importante ribadire che le colpe dei padri non ricadono mai sui figli di qualsiasi nazione.
La colpa è sempre contingente in un periodo storico determinato e non continua nel tempo.
È essenziale però che venga sempre preservato un giudizio storico, perché la tentazione dell’innocenza può provocare prima o poi pericolosi cortocircuiti sul piano storiografico. Le nuove generazioni non devono essere mai condizionate da una colpa del passato, ma sono responsabili unicamente dei comportamenti nel tempo in cui vivono.
Essere responsabili nel proprio tempo significa sempre due cose: mantenere una visione autocritica del passato e quindi essere portatori di memoria per non ripetere gli errori dei periodi bui; rispettare nella vita pubblica e privata il valore della libertà e della dignità degli altro. Per intenderci una classe politica va sempre giudicata per come si comporta nella contingenza di oggi, nei confronti per esempio dei cambiamenti climatici, dell’accoglienza, dei problemi sociali del proprio paese e del mondo intero. Paradossalmente si può anche dire di condannare il nazismo, il fascismo, il comunismo e poi diventare attori di ingiustizie e di intolleranze in una nuova forma.
Come ebreo però ritengo che ci debba essere anche una responsabilità ebraica per gli esiti del dibattito contorto che si è aperto in Germania.
Ci dovrebbe essere una grande manifestazione di gratitudine per tutti gli intellettuali e i politici tedeschi che, come Jürgen Habermas, Armin Wegner, Konrad Adenauer, Willy Brandt, Richard von Weizsäcker, si sono assunti il compito di ricordare la colpa tedesca e non hanno mai rimosso nei loro atti politici le responsabilità del nazismo.
Immagino che nei Giardini dei Giusti ci dovrebbe essere un posto per questi tedeschi che hanno insegnato al mondo il valore della responsabilità verso il passato come un esempio di grande valore morale.
È un passo necessario per il dialogo ebraico tedesco che darebbe forza a quanti oggi in Germania, e fortunatamente sono ancora la maggioranza, continuano a credere che il valore della responsabilità e della memoria siano uno dei contributi fondamentali che la nuova classe politica tedesca dopo la seconda guerra ha dato alla comunità internazionale.
Personalmente credo che su questo riconoscimento ci sia un grave ritardo da parte di tutti gli europei.
Più complesso è il tema della definizione del nazismo come male unico, assoluto e quasi metafisico attorno a cui Sieferle ha costruito il suo saggio e che riprende una certa lettura dell’Olocausto.
Preferirei che venisse usata la definizione dello storico israeliano Yehuda Bauer che ha usato il termine non precedente per descrivere la specificità della Shoah e che ha sottolineato che è pericoloso parlare di male unico, metafisico perché non riguarderebbe più la responsabilità degli uomini in un contesto storico.
In questo modo i tedeschi non sarebbero sollevati dalle responsabilità storiche come vorrebbe Sieferle, ma non vivrebbero più con la colpa di un male metafisico da cui non si possono liberare. Il concetto di unicità assoluta può infatti diventare una colpa unica ed assoluta per il popolo che lo ha commesso. Su questo tema è necessario aprire un dibattito anche perché il rischio intuito da Yehuda Bauer è che la Shoah non sia ricordata come un genocidio commesso da degli uomini coscienti, anche se unico nel suo genere, ma come un male al di fuori dalla storia. Su questa ambiguità ha giocato Sieferle, che ha accusato gli ebrei di avere impresso il marchio di peccato originale sull’intero popolo tedesco.
Analisi di Gabriele Nissim, presidente di Gariwo