Simone De Rossi
Quello che è accaduto in Inghilterra con il referendum che ne ha sancito l’uscita dall’Europa, potremmo commentarlo come un segnale importantissimo alla classe politica della stessa Inghilterra ma anche della leadership dell’Unione Europea.
A poco servono le analisi sull’età dei votanti, in realtà l’Europa mostra i propri limiti, le contraddizioni di un modello europeo, tedesco centrico e tutto orientato su banche ed economia di mercato. Dovremmo dire che l’Inghilterra non ha mai espresso una incondizionata adesione al progetto politico europeo, l’impressione personale è stata sempre quella di una partecipazione vissuta dall’esterno, attenta a difendere la propria moneta e le prerogative di un Paese che nel suo dna non ha mai abbandonato il virus imperiale.
In campo agricolo l’Inghilterra è stata sempre tra i Paesi Membri più critici verso un mantenimento della PAC, degli aiuti al settore e alle aziende agricole europee.
La sua Agricoltura si caratterizza essenzialmente nella produzione da carne bovina e ovina, con una coltivazione significativa di cereali (frumento e orzo). Ovviamente l’ambiente climatico limita la diversificazione produttive e la produzione di ortaggi. Certamente le aziende, a forte caratterizzazione foraggera e pascolativa, sono di grandi dimensioni e numericamente contenute. Questo quadro d’insieme, giustifica in primo luogo l’ostilità verso gli aiuti comunitari indirizzati all’agricoltura previsti dalla PAC da parte di Inghilterra, Olanda, Danimarca e motiva il fatto che i Paesi Membri più produttivi del settore agricolo europeo come Francia e Italia, per esempio, per strane alchimie finalizzate a garantire equilibri economici e politici, compensassero con un pagamento diretto all’Inghilterra la minor percezione degli aiuti comunitari in agricoltura. Se questa è Europa!?
Quanto successo con la Brexit e soprattutto quanto impatterà sul sistema europeo e sull’agricoltura del vecchio continente la scelta inglese, sarà più comprensibile nelle prossime settimane. Possiamo però proporre qualche considerazione tornando a parlare di Ttip, cioè del progettato ed osannato accordo tra USA ed Europa per una completa apertura dei mercati agroalimentari e non solo, con il superamento di ogni dazio e la creazione di un’area di mercato straordinariamente grande che si contrapporrebbe ai rischi di infiltrazioni di altri grandi Paesi soprattutto orientali.
A Niente di Personale ho già raccontato le tante e gravi riserve che come agronomo ho su un matrimonio commerciale con dli Stati Uniti, di come la nostra agricoltura nonostante quanto sento dire da politici e opinionisti vari, non ha bisogno di aprire le porte ad una massa di prodotti americani la cui qualità organolettica non può certo competere con la nostra.
Certamente però, se l’accordo trovasse poi una conclusione positiva, vedremmo i nostri supermercati colmi di carne bovina a costi minori delle nostre carni, questo perché, e lo vedremo nel prossimo articolo, il costo della produzione della carne negli Stati Uniti è inferiore a quello dell’Europa in forma significativa. Ma è la stessa carne in termini di qualità sanitaria e organolettica? Personalmente ho i miei dubbi. Tra gli USA e l’Europa non abbiamo ancora una equivalenza dei metodi e criteri veterinari, abbiamo sistemi di produzione fondamentalmente diversi. Gli OGM sono legali e vige il principio dell’autorizzazione in assenza di riscontri di rischio della salute del consumatore, al contrario del nostro Paese dove si pratica il principio della precauzione agroalimentare. Gli ormoni da noi sono vietati. La dieta mediterranea dovrebbe essere un modello di riferimento per tutto il mondo senza se e senza ma.
Cosa centra la Brexit con il Trattato denominato Ttip? Potremmo rispondere che per gli Stati Uniti, la Gran Bretagna ha svolto nella UE, un ruolo di garanzia, quasi di rappresentanza più o meno occulto, pensare ad un Trattato così importante, così strategico per gli equilibri commerciali del Mondo, con gli Inglesi che resterebbero fuori, perché non più europei, tutto questo è a dir poco sconcertante per il mondo anglosassone.
Ora, tenendo fermo il mio personale giudizio sulla pericolosità della Ttip per la nostra Agricoltura e il nostro grande Mady In Italy agroalimentare, tutto quello che renderà complicato e spero insormontabile la conclusione positiva di un tale accordo è per me elemento positivo.
Concludendo, vorrei rassicurare i lettori che la mia visione del mondo non è certamente anti europeista. Al contrario, il mio auspicio è una Europa comune dei popoli, una Europa che non ragioni solamente di mercati e di banche, che ponga le sorti e le condizioni di vita degli europei al centro delle proprie energie. Una Europa meno burocratica (ricordo che solo a Bruxelles ci sono 25.000 uffici dedicati alle attività Europee) e poi c’ è Strasburgo. Vorrei una Europa diversa da quella che gestisce i rapporti con le troiche, che stringe nazioni dalla grande storia come la Grecia a pressioni politiche ed economiche insopportabili. Una Europa che valorizzi le sue specificità, le sue produzioni tipiche e che difendi i suoi confini con la logica del sistema europeo, senza inutili estremistiche intolleranze. Ci dobbiamo chiedere, imparerà la lezione della Brexit questa nostra Europa?