La miniera assassina

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Christian Franz Tragni 

(MINACU) Albertino de Oliveira è un uomo distrutto. Ha visto sette membri della famiglia morire negli ultimi dieci anni. “Mia moglie, mio ​​padre, un fratello, tre zii, un cugino”, dice l’uomo dai capelli bianchi di 54 anni. I suoi parenti avevano qualcosa in comune: erano tutti dipendenti della miniera di amianto della città di Minaçu.

Albertino ha un elenco di circa 30 persone che soffrono di mesotelioma o hanno macchie sulla pleura. Malattie tipiche dei lavoratori dell’amianto. Accanto ad alcuni nomi, Albertino scrive la lettera “F” di “falecidos” cioè, deceduti.

Dal 1973 al 1988, ha lavorato anche lui nella miniera, insaccando la fibra. “Quindici anni di lavoro in una nuvola di polvere con dei pezzi di cotone sul naso come unica protezione”, dice. Lui non è ancora malato, ma lotta per coloro che hanno respirato la fibra per anni e che oggi stanno morendo.

Albertino ha calcolato che nei prossimi anni, circa 500 persone svilupperanno malattie legate all’amianto, tra cui tanti ex dipendenti della miniera ma anche semplici abitanti della zona, che fino al 1987 era totalmente immersa nella polvere bianca di amianto.

In questo luogo dello stato del Goiás, che si trova a 400 chilometri a nord di Brasilia, nel centro del Brasile, gli ex dipendenti non hanno voce. Alcuni hanno ricevuto un risarcimento, altri ci stanno provando anni dopo aver lasciato l’azienda, senza essere ancora riconosciuti come malati. La Sama, di proprietà della più già tristemente nota, anche in Italia, Eternit, ottiene quasi sempre accordi extragiudiziali con le vittime, in modo da non essere citata in nessun procedimento penale. A Minaçu, città in cui abitano circa 30mila persone, criticare l’amianto mette in pericolo l’unico datore di lavoro locale. “È nata con amianto e scomparirà con lui” dice Albertino.

Circa il 70% delle tasse raccolte dal comune proviene dall’attività mineraria. Con un totale di 300mila tonnellate estratte ogni anno, è la terza più grande miniera di amianto del pianeta, dopo la Russia ed il Canada.

E l’unico ancora attivo in America Latina. Circa il 13% di tutto l’amianto venduto al mondo viene da Minaçu.

Per quelli della Sama, l’amianto non è pericoloso, non quando è gestito con cura, per esempio, limitando il contatto dei lavoratori con la polvere di amianto.

“I dipendenti sono stati costretti a lavorare con maschere e abiti da lavoro, lavati accuratamente dopo la fine di ogni turno. I luoghi di estrazione mineraria, oggi, sono bagnati con grandi volumi di acqua gettati dai camion per evitare la polvere”, sostiene Adelman Araujo, presidente del sindacato dei lavoratori dell’amianto di Minaçu, che riconosce che l’amianto provoca il cancro, ma nega ogni caso di contaminazione nella città. “Delle 16mila persone che hanno lavorato nella miniera dall’apertura nel 1967, solo il 2% ha malattie legate alla gestione dell’amianto, Minaçu non è una città che provoca il cancro” dice il sindacalista. Al numero 396 della via 13, tuttavia, il cancro ha già fatto la sua vittima in una piccola umile casa bruciata dal forte sole pomeridiano. Maria de Lourdes apre il cancello, si rifugia nell’ombra e si asciuga il sudore che copre il suo viso stanco. Su una delle pareti, la fotografia di suo marito, Claudivino, che è morto nel 2002 all’età di 56 anni. “Un mesotelioma lo ha ucciso, ha sofferto un dolore insopportabile”. Dal 1977 al 1990, aveva lavorato nella miniera. “Di notte, quando tornava dal servizio, sputava sangue senza fermarsi”, continua Maria de Lourdes. “Aveva così tanto dolore nei polmoni che persino bere acqua era un calvario. Sapevo che questa pietra aveva qualcosa di sbagliato, ci hanno sempre nascosto che l’amianto uccide”.

La Sama non ha mai riconosciuto la sua responsabilità nella morte dell’ex dipendente. La vedova non ha mai ricevuto alcun compenso. Non ha avuto nemmeno accesso all’autopsia di suo marito. Nel certificato di morte, i medici della Sama descrivevano l’uomo come una persona con una salute fragile a causa dell’uso eccessivo dell’alcol. “Claudivino non ha mai bevuto una goccia di alcol”, dice Maria de Lourdes.

Casi uguali a questo sono parecchi a Minaçu. Secondo un documento diffuso ad agosto 2012 dal ministero della Salute, tra il 2000 e il 2010 sono morte 2.400 persone a causa di malattie legate all’amianto. La tendenza è un rapido aumento del numero di casi nei prossimi anni, conclude lo studio.

Minaçu, “la grande miniera” in lingua Tupi Guarani, può, tuttavia, avere i giorni contati, nel novembre del 2017 la corte suprema brasiliana ha proibito l’estrazione e l’uso dell’amianto su tutto il territorio nazionale, ma nel dicembre successivo, Rosa Weber, presidente della corte suprema, ha sospeso questa misura, in attesa della sua pubblicazione ufficiale, che un anno dopo non è ancora avvenuta e per la quale non ci sono previsioni. La Sama (Ethernit), ad oggi, continua ad estrarre amianto.

“Se chiudesse sarebbe una catastrofe per Minaçu, la miniera ha 500 dipendenti e 400 fornitori di servizi”, dice Adelman Araujo, il sindacalista, che continua, “sostenta indirettamente 15mila persone. Se chiuderà, il 70% dei residenti fuggirà dalla città”.

Davanti a casa sua, Albertino si china per raccogliere un pezzo di bitume sollevato dal caldo. “Qui, calpestiamo l’amianto”, dice mostrando la fibra bianca mista al catrame. L’asfalto, che è stato recentemente rifatto, è formato da rocce derivate dalla miniera.

A Minaçu, la strada per l’inferno è lastricata di buone intenzioni

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