Arcudi: “Ecco che cosa faremo dopo l’apertura delle tombe al Teutonico”

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Intervista con l’antropologo forense, tra i maggiori esperti in questo campo, incaricato dalla magistratura vaticana di esaminare i reperti e prelevare i campioni per l’esame del DNA
 
Andrea Tornielli – Città del Vaticano

Mancano ormai poche ore all’inizio delle operazioni per l’apertura delle due tombe del Cimitero Teutonico dentro le mura vaticane per verificare – secondo quanto disposto dal Promotore di Giustizia dello Stato della Città del Vaticano – se vi siano contenuti i resti di Emanuela Orlandi. Saranno aperte la cosiddetta “Tomba dell’Angelo” in cui è sepolta la principessa Sophie von Hohenlohe, morta nel 1836, e quella attigua in cui è sepolta la principessa Carlotta Federica di Meclemburgo, morta nel 1840. Il supporto all’autorità giudiziaria sarà garantito da personale qualificato del Centro Operativo di Sicurezza della Gendarmeria vaticana. Ad occuparsi delle analisi dei reperti e del prelevamento dei campioni per il successivo esame del DNA, in presenza del perito e del legale della famiglia Orlandi, sarà Giovanni Arcudi, uno dei maggiori esperti di antropologia forense, professore di Medicina legale all’Università Tor Vergata. Lo abbiamo intervistato.

Professore, può spiegarci che cosa avverrà nel momento in cui inizierete le operazioni al Cimitero Teutonico?

Siamo impegnati nell’apertura di due tombe nelle quali presumiamo di trovare resti già allo stato scheletrico. Se sarà così, come possiamo presumere, io andrò ad applicare i protocolli internazionali che si utilizzano per l’identificazione di resti scheletrici per la loro classificazione e per la loro datazione e per tutte le altre diagnosi che si possono fare in antropologia forense, per stabilire età, sesso, statura e quant’altro.

Dunque in questa prima fase non saranno impiegate particolari strumentazioni?

In questa fase stiamo parlando di un’indagine di antropologia forense, che appunto ha la finalità di raggiungere delle diagnosi attraverso l’esame morfologico delle ossa. Prendiamo osso per osso e vediamo quali sono le sue caratteristiche e in base a questo definiamo tutte le diagnosi di cui ho appena parlato. Abbiamo predisposto, come si fa per questi casi, un ordine protocollare, che potrà subire modifiche in base a ciò che andremo a riscontrare dopo l’apertura delle tombe, nel caso ci trovassimo di fronte a repertazioni diverse da quelle che ci aspettiamo.

Facciamo l’ipotesi che sotto le tombe si trovino i due corpi delle persone che si suppone siano state sepolte lì. Che cosa avverrà?

Inizieremo – separatamente – a fare indagini sui due scheletri, incominciando con l’estrazione, la pulizia, la messa su un tavolo anatomico delle strutture ossee e facendo per ciascuna di queste strutture ossee tutti quei rilievi che si fanno in antropologia forense, cioè degli aspetti morfologici.

C’è una previsione rispetto ai tempi? Quanto durerà l’operazione?

Non posso prevedere ora quali saranno i tempi di esecuzione perché dipende, appunto, dallo stato, dalla qualità e dalla quantità dei resti che troveremo. Dalla possibilità di dire subito se si tratta di uno scheletro intero o meno, e così via. Sono tutte difficoltà che non sono al momento prevedibili esattamente con riferimento ai tempi di attuazione. I tempi di attuazione standard possono essere tre, quattro, cinque ore trattandosi di due tombe. Però questi tempi possono subire – e per esperienza mia dico che talvolta – spesso – subiscono degli ampliamenti dovuti appunto a quello che ci si prospetta di volta in volta, magari di inaspettato: qualche difficoltà di identificazione morfologica, difficoltà legate, ad esempio, all’usura delle ossa. Ricordiamoci che stiamo parlando di ossa – è un’ipotesi, ovviamente – di oltre 150 anni. È evidente che a seconda dello stato in cui sono state conservate possono aver subito un deterioramento pari a zero oppure importante. Molto dipende dalle condizioni ambientali, dal microclima in cui si trovano, dall’umidità, dalla presenza di infiltrazioni, da possibili azioni di microfauna. Lo stato di conservazione delle ossa è ciò che determinerà il tempo necessario. Ovviamente, non è prevedibile prima di aprire le tombe.

Già dal primo esame morfologico si potrebbe perciò avere un’idea di datazione?

Sì, da questa prima analisi delle ossa possiamo proporre sicuramente una datazione, certamente approssimativa, ma per i periodi che a noi servono – di 50, 100, 200 anni – la possiamo fare. Possiamo distinguere se è un osso di 10 anni o che è stato lì 50 anni o 150 anni. Possiamo fare già la diagnosi di sesso, se le strutture ossee risulteranno tutte ben conservate. Potremmo anche arrivare, dopo questo primo esame, ad escludere l’ipotesi che i resti scheletrici appartengano a persone diverse rispetto a quelle due che sono state sepolte lì.

Che cosa avverrà, invece, se si dovessero trovare altri resti umani?

È ovvio che se, per esempio, si trovassero ossa appartenenti a individui diversi nella stessa tomba, i tempi dell’operazione di allungherebbero. Potrebbe essere di aiuto l’identificazione odontostomatologica, lo stato dei denti, dai quali si può risalire all’età come pure se, faccio un’ipotesi, una lavorazione del dentista risale all’Ottocento o invece è più recente.

Professore, per escludere con certezza inequivocabile che i resti contenuti nelle tombe appartengano a Emanuela Orlandi dovremo comunque attendere il test del DNA?

A prescindere dall’esame morfologico delle ossa, l’esame del DNA verrà fatto in ogni caso per raggiungere delle certezze e per escludere in maniera definitiva e categorica che nelle due tombe ci sia qualche reperto attribuibile alla povera Emanuela.

Quali tempi di attesa si prevedono per il risultato del test?

L’esame del DNA non è di mia competenza, io mi occuperò di prelevare i campioni. I tempi di estrazione del DNA variano notevolmente – in qualsiasi laboratorio del mondo avvengano – a seconda dello stato di conservazione dei resti scheletrici. Possono variare, possono essere necessari 20 giorni, 30 giorni, e possono essere anche 60 perché talvolta bisogna ripetere l’esame. Tenendo presente che per l’identificazione noi abbiamo bisogno dell’estrazione del DNA “nucleare”, che subisce delle degenerazioni, delle variazioni importanti a seguito degli eventi atmosferici. Il DNA mitocondriale possiamo estrarlo più facilmente, ma quello non ci consente di fare analisi di comparazione o di fare il profilo genetico.

Lei lavorerà da solo?

No, sarò lì con la mia équipe, perché sono indagini che vanno fatte con un minimo di assistenza, per la misurazione delle ossa, per la descrizione di ogni reperto. Mi avvarrò di due miei collaboratori. Utilizzeremo i protocolli e le metodiche che si usano in tutte le indagini di antropologia forense, indipendentemente dall’importanza e dalla connotazione del caso. Questo è quello che si fa e che facciamo sempre, per arrivare a risultati che soddisfino tutte le richieste dell’indagine giudiziaria.

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