Come sarebbero cambiate le cose con il nuovo accordo sui migranti?

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Non è ancora disponibile un testo definitivo dell’accordo raggiunto a Malta. Ma sono emersi i punti principali su cui i Paesi coinvolti hanno trovato un’intesa

GUILLAUME PINON / NURPHOTO

Il 23 settembre i ministri dell’Interno di Italia, Francia, Germania e Malta si sono riuniti – presente anche la Finlandia, presidente di turno dell’Unione europea – a La Valletta e hanno trovato un accordo per modificare la gestione dei migranti che arrivano in Europa dopo essere stati soccorsi in mare. Vediamo dunque i contenuti di questo accordo e come sarebbe cambiata la gestione dei migranti nel recente passato se questo accordo fosse già stato in vigore.

I contenuti dell’accordo

Non è ancora disponibile un testo definitivo dell’accordo raggiunto a Malta. I suoi contenuti saranno definiti nel dettaglio, probabilmente, solo con il Consiglio europeo del 7-8 ottobre. Ma sono emersi su fonti di stampa i punti principali su cui i Paesi coinvolti hanno trovato un’intesa.

In primo luogo è stato concordato che tutti i richiedenti asilo che arrivano in Italia o a Malta – e non solo quelli che ottengono, o che hanno le maggiori chance di ottenere, lo status di rifugiati o altre forme di protezione internazionale – verranno redistribuiti in quote tra gli altri Paesi che aderiscono all’accordo (per ora Francia e Germania, ma al Consiglio europeo l’elenco dovrebbe allungarsi). Le quote verranno stabilite tenendo conto della popolazione e del Pil dei vari Stati coinvolti.

I Paesi verso cui verranno rapidamente – entro quattro settimane dallo sbarco – mandati i migranti si faranno dunque carico anche dell’esame delle domande di asilo e della gestione sia di chi ottiene risposta positiva, sia di chi invece riceve un rifiuto.

I migranti coinvolti, tuttavia, non saranno tutti quelli che sbarcano (a questo proposito è poi prevista anche una “rotazione”, ma su base volontaria, dei porti di sbarco) ma solo quelli arrivati via mare a bordo di navi militari o di navi delle Ong. Di quante persone stiamo quindi parlando?

Che impatto avrebbe questo accordo?

Secondo il calcolo fatto dai ricercatori dell’Ispi Matteo Villa ed Elena Corradi il 20 settembre, tra giugno 2018 e agosto 2019 (quando è stato in carica il governo Conte I, con Salvini ministro dell’Interno) sono sbarcati in Italia 15.095 migranti.

Di questi, quelli arrivati a bordo di navi militari o Ong – per cui il precedente governo apriva “crisi” con l’Unione europea per chiedere una ripartizione delle persone soccorse in mare – sono un’esigua minoranza: 1.346, pari al 9 per cento del totale.

Con l’accordo di Malta, Villa e Corradi stimano che – nell’ipotesi in cui all’Italia venga lasciata in gestione una quota del 10 per cento degli arrivi – il 90 per cento di questi 1.346 migranti sarebbe stato ricollocato: quindi avrebbe riguardato l’8 per cento del totale degli sbarcati. La percentuale scende se all’Italia venisse lasciata una quota superiore (ad esempio, se rimanesse nel nostro Paese il 25 per cento di chi sbarca, la redistribuzione riguarderebbe il 7 per cento scarso del totale). Si tratta in ogni caso di un’esigua minoranza.

C’è però da considerare che la riduzione degli arrivi tramite navi Ong e navi militari è anche il frutto di una precisa scelta politica del precedente governo, che ha varato norme punitive nei confronti delle organizzazioni umanitarie e ha di fatto affossato la missione militare comunitaria “Sophia”. Quest’ultima, come avevamo scritto in una nostra analisi, tra il luglio 2015 e il dicembre 2018 aveva recuperato in mare e portato in Italia 43.327 migranti, il 10 per cento circa del totale degli arrivi di quel periodo.

Prima dell’insediamento al Viminale di Matteo Salvini e del cambio di linea per quanto riguarda i migranti, ci ha confermato telefonicamente Villa, la grande maggioranza degli sbarchi in Italia avveniva con navi Ong, militari o comunque con l’assistenza della Guardia costiera. Non ci sono tuttavia numeri precisi, in quanto all’epoca non esisteva nei conteggi del Ministero dell’Interno la categoria degli “sbarchi autonomi”.

Comunque un miglioramento?

L’accordo di Malta, applicato alla politica migratoria del precedente governo, darebbe quindi un contributo scarso, l’8 per cento nella migliore delle ipotesi e il 6-7 per cento in ipotesi più pessimistiche.

In attesa di verificare se l’accordo di Malta stimolerà un cambiamento significativo nella gestione migratoria parte dell’Italia o dell’Europa, si può comunque sostenere che il risultato previsto sarebbe superiore rispetto a quanto fatto in precedenza.

La gestione da parte del governo Conte I aveva infatti portato al ricollocamento del 3,7 per cento del totale dei migranti sbarcati in Italia: dei 15.905 totali, infatti, 1.346 erano stati oggetto di crisi con la Ue – come abbiamo visto – e di questi solo 593 sono in effetti stati redistribuiti tra altri Paesi membri.

Non solo. Anche il precedente accordo trovato a livello di Unione europea, obbligatorio ma temporaneo (è stato in vigore solo tra settembre 2015 e settembre 2017), per la ricollocazione dei migranti – di cui avevamo parlato qui – aveva avuto un impatto percentuale inferiore a quello che avrebbe avuto l’accordo di Malta se applicato nel recente passato.

L’accordo del 2015 aveva infatti riguardato 12.706 migranti arrivati in Italia, su un totale nello stesso periodo di 318.256 sbarcati: il 4 per cento.

Conclusione

L’accordo di Malta riguarda tutti i richiedenti asilo, e non solo i rifugiati, arrivati a bordo di navi Ong o militari. Questi sono ad oggi una minoranza rispetto a chi arriva tramite “sbarchi autonomi”, ma questo è dipeso dalle scelte politiche del precedente governo e in particolare del precedente ministro dell’Interno Matteo Salvini.

In precedenza, la grande maggioranza di chi arrivava in Italia via mare arrivava su navi Ong, navi militari o navi comunque assistite dalla Guardia costiera.

In ogni caso, l’accordo di Malta – se fosse stato in vigore tra giugno 2018 e agosto 2019 – avrebbe consentito di ricollocare circa il doppio di migranti rispetto a quanto ottenuto dall’Italia con la politica dei “porti chiusi”.

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