Il maestro del Novecento Ezra Pound. Perché la scuola italiana lo evita?

Arte, Cultura & Società

Di

Pierfranco Bruni 

 “Se un uomo non è disponibile a correre qualche rischio per le proprie idee, o le sue idee non valgono nulla o è lui che non vale nulla”.
Ezra Pound

      Da epoche irrisolte e incompiute viaggio con accanto i libri e il pensiero di un uomo coraggioso e di un poeta unico che ha segnato il Novecento non solo letterario. Bistrattato. Ignorato per ignoranza da una società ignorante e da una scuola  da libri di testo devianti e banali. La scuola italiana in letteratura ha colpe e manchevolezze spaventose. Il mio “compagno” di strada”, ovvero Ezra Pound!  Frequentavo le scuole Medie. Il mio docente mi punì, allora, perché leggevo un poeta “fascista”. Ho avuto sempre problemi con i docenti. Certo, ignorava chi fosse Ezra Pound, come lo ignorano ancora oggi. Mentre il docente di francese buttò dalla finestre un libro con i versi di un altro grande del Novecento: Robert Brasillach.  La scuola “democratica” è questa.

Comunque, quando Fabrizio De André in “Via della povertà” cantò: “E bravo Nettuno mattacchione/ il Titanic sta affondando nell’aurora/nelle scialuppe i posti letto sono tutti occupati/e il capitano grida: ‘Ce ne stanno ancora’./Ed Ezra Pound e Thomas Eliot/fanno a pugni nella torre di comando/i suonatori di calipso ridono di loro/mentre il cielo si sta allontanando./E affacciati alle loro finestre nel mare/tutti pescano mimose e lillà/e nessuno deve più preoccuparsi/di via della Povertà”, si spaventarono un po’ tutti. Andarono alla ricerca di Pound sulle enciclopedie. Soffiò Zeus e i cielo si aprirono al vento dello scandalo. Io ero e sono un poundiano nella casa della mia eredità storica e culturale senza nulla rinnegare.
      Ezra Pound. Il mio! Un rimando che diventa fondamentale sia sul piano della comparazione letteraria sia per una tipologia di rapporti all’interno di un vissuto storico e generazionale. De André pone nella torre di comando, metaforicamente, sia Pound che Eliot. La torre della poesia di un Novecento che non si è occupata solo di poesia o di letteratura ma anche di idee, di pensiero, di cultura, diciamo, in senso molto più ampio. Il raccordo con Eliot diventa, chiaramente, fondamentale.
 
      Infatti è proprio Thomas Eliot ad offrire, sul piano di una ricostruzione teorico – letteraria, delle sottolineature importanti che ci permettono, tuttora, di intraprende un singolare incontro con la poesia (o con gran parte della poesia) di Ezra Pound. Ezra Pound  moriva il l° novembre del 1972 a Venezia, era nato il 30 ottobre del 1885 a Hailey, (nel midwest americano).
      Un poeta che ha sperimentato il sentiero del linguaggio su una dimensione più complessa e delicata dell’arte: la poesia. Ma è stato soprattutto un attento osservatore (nel momento stesso in cui sperimentava il linguaggio poetico) delle poetiche e della poesia nei vari contesti epocali. Non è soltanto un viaggio nella coscienza dell’esistenza del Tempo quello di Pound. E’ anche un viaggio nei labirinti della poesia.
      Proprio per questo Eliot disse di Pound: “Penso che Pound sia stato originale nell’insistere che la poesia è un’arte, un’arte che esige l’applicazione e lo studio più ardui: e nell’osservare che nel nostro tempo essa debba essere un’arte consapevole al massimo grado”. Teorico della poesia e poeta. La lezione e l’influenza di Pound nel contesto del Novecento restano pietre miliari in un processo di comparazione tra percorsi letterari – artistici e percorsi fisiologicamente culturali.
      Fu Ernest Hemingway a sottolineare che “qualsiasi poeta nato in questo secolo o negli ultimi dieci anni del secolo scorso, che può dire onestamente di non essere influenzato o di non aver imparato molto dell’opera di Ezra Pound, merita più la nostra compassione che il nostro biasimo”. Questo nostro Novecento passato i conti con Pound deve continuare a farli perché non si può parlare di “poesia moderna” senza chiamare in causa la sua esperienza e la sua presenza.
      “Quella di Pound, ha scritto G. Singh, – ed egli occupa nel campo della poesia la stessa posizione che ha Picasso nel campo della pittura e Stravinsky nel campo della musica – era una mente concreta e concentrica, e in quanto fondatore dell’Imagismo e del Vorticismo, esponente dell’ideogramma e ammiratore di Confucio, Ovidio e Dante, non poteva essere diversamente. Concisione e chiarezza da una parte, concretezza e obiettività dall’altra – somme virtù dantesche – Pound le considerava elementi indispensabili del poetare moderno, e cercava di realizzarle nella propria opera – nella prosa non meno che nella poesia. Condensare pensiero ed espressione era non solo una virtù, ma anche un dovere per chi considerava tutto il pensiero creativo e critico la propria provincia ed effettuò una vera rivoluzione poetica in questo secolo. Infatti, dopo Leopardi, nessun poeta ha pensato e teorizzato sull’arte del poetare, sul linguaggio, sullo stile e sulla stessa natura della poesia quanto Pound…”.
      D’altronde lo stesso Pound, nel 1918, amava sottolineare: “I poeti che non s’interessano alla musica sono, o diventano, cattivi poeti”.
      Pound, in realtà, ha disegnato una visione di un percorso poetico dentro il quale il critico diventa il creatore e il poeta non può fare a meno della conoscenza oltre che della fantasia. Infatti la sua poesia è un intreccio completamente nuovo e originale rispetto ai poeti del suo tempo (ma anche rispetto a quelli precedenti) la cui centralità poetica è data da un processo tra alcune componenti che pongono come modello fondamentale il viaggio – viaggiare.
      E’ tutto un viaggiare la sua poesia. Non solo perché, come vedremo in seguito, il tema omerico – dantesco – joyciano resta riferimento ma anche perché, come dice, appunto, Eliot “la sua critica acquista significato dall’essere la critica di un poeta sulla poesia”.
      Un critico che affronta il testo poetico e analizza le poetiche stesse e i gli autori da poeta. Questo mi sembra un dato fondamentale che per quei tempi fu, in un certo qual modo, rivoluzionario nell’ambito del contesto letterario e il suo approccio con il testo non è stato mai mutuato da una critica dello sguardo ma da uno spessore che combinava una forte valenza umana, stilistica e lirica.
      A giusta ragione ancora Eliot ebbe modo di scrivere che la critica di Pound “deve essere letta alla luce della sua poesia, come della poesia di altri che egli sostenne. Una critica come quella di Pound è la difesa di un certo genere di poesia; è l’affermazione che la poesia scritta in un futuro immediato, se deve essere buona poesia, deve osservare certi metodi e prendere certe direzioni”.
      Da questo punto di vista il suo linguaggio poetico è nel costante rinnovare formule ed elementi letterari che derivano da una tradizione che ha fatto la storia della poesia stessa. Ma Eliot, più volte citato, deve molto a Pound. Quella sua “Terra desolata” è un emblematico segno di un’epoca che ha smarrito i valori della tradizione e il disincanto non è ancora poetica. Ma la tradizione per Pound aveva un valore in sé non solo sul piano letterario.
      “La tradizione, scriveva Pound, è una bellezza da conservare, non un mazzo di catene per legarci”. Sul concetto di tradizione Pound prese le distanze, attraverso la visione del “vortice”, dal futurismo motivando dialetticamente la sua posizione. Scrisse: “Il vorticista non ha questa curiosa mania del futurismo di distruggere le glorie passate. Non dubito che l’Italia avesse bisogno di Marinetti, ma egli non ha covato l’uovo da cui io sono nato. E poiché sono del tutto contrario ai suoi principi estetici, non vedo perché ci si aspetta che io e le varie persone che con me
consentono, ci chiamiamo futuristi. Noi non vogliamo evitare il confronto col passato. Preferiamo che il confronto venga fatto da qualche persona intelligente la cui idea di tradizione non sia limitata dal gusto convenzionale di quattro o cinque secoli di un solo continente”.
      La “Terra desolata” di Eliot raccoglie queste istanze in un clima in cui il bisogno di modelli anche letterari diventa necessario. Pound viene considerato dallo stesso Eliot, riconoscendone l’influenza, nella dedica al suo libro, come il “miglior fabbro”. E’ stato definito da Mary De Rachewiltz “uomo di estreme frontiere”.
      Un poeta di frontiere perché oltrepassò ogni schematismo e lasciò dei segni particolari in quelle generazioni poetiche immediatamente successive alla sua. Ancora Eliot: “I poeti dovrebbero continuare a studiare … la poesia di Pound, che getta un ponte sulla frattura che separa Browning e Swinburne dai nostri giorni…”.
      Una frattura tra il moderno e il contemporaneo che ha tracciato una emblematica fessura tra i valori linguistici e i contenuti che hanno caratterizzato modelli poetici. Dal testo critico, dunque, alla poesia. In Pound ci sono argomenti e trasmissioni, come già si sottolineava, che hanno antichi rimandi. Questi rimandi sono chiaramente dovuti alle sue profonde conoscenze sui poeti greci e latini. Sta qui il primo nucleo.
      Il senso epico che si ascolta nei suoi “Canti” (ma anche nella precedente produzione poetica, la quale ha una tensione lirica meravigliosa) ha una derivazione omerica e virgiliana. Non ci sono dubbi. Ed è questa derivazione che lo proietta nel mondo dantesco che diventa, tra l’altro, mondo provenzale, stilnovista e medioevale in senso più generale.
      Omero, Ovidio, Virgilio (“e dal suo modo di camminare/simile a Anchise…), Catullo (“farfalle, menta e passeri di Lesbia”) sono alla base della sua ricerca letteraria ed umana perché è qui che comincia il sentimento del viaggio che troveremo simbolicamente raffigurato nei suoi “Canti”. Siamo già ad un secondo nucleo con Dante. Con quel Dante che veniva considerato da Pound come “uno dei poeti più personali. Egli porge lo specchio alla natura, ma lui stesso è quello specchio”.
      Un altro aspetto è il suo soffermarsi e il suo tuffarsi nel confucianesimo che trova poi (non so se in termini di lettura mitica o soltanto di sintesi letteraria) nella interpretazione dei testi egiziani non un completamento ma una ulteriore frattura tra storie poetiche e realtà umane. Si pensi, tra l’altro, ai suoi studi non trascurabili su Lope de Vega (su questo autore impostò la tesi di laurea), su Teresa d’Avila, su Guido Cavalcanti oltre ad un interessante scritto su Villon. Poi c’è il nucleo che è quello rappresentato dal suo contesto contemporaneo: Eliot, Joyce, Lawrence.
      La poesia del viaggio è sempre un dato fondamentale. Joyce con il suo Ulisse è un tracciato le cui ramificazioni, come si sa, si trovano in altri due capisaldi poundiani: Omero e Dante. I suoi “Canti” sono un navigare tra i mari della indefinibilità e gli approdi che arrivano e poi si perdono.
      “Al pari di Ulisse, Pound conobbe la tecnica del navigante. Come preparazione al grande viaggio studiò e meravigliosamente ci rese il Seafarer, andò cioè alle radici del ‘parlar materno'” (è un inciso di Mary De Rachewiltz). Infatti l’Odissea e la Divina Commedia nei Pisan Cantos ci riportano alle maschere, alle invenzioni, alle finzioni, ai miti di un ulissismo che non è soltanto una figura classica ma si inserisce nelle diverse temperie raccontate con tensione e spirito sublime da Pound. Metafore e simboli si applicano al viaggio dei Cantos.
      Omero come centralità del viaggio. Ma è la leggenda, la favola, la trasmissione di parole, la traducibilità proprio della storia che si è tramandata dietro ogni avvenimento. Un avvenimento che diventa un fatto e il fatto è un intreccio di processi culturali ed esistenziali. Ovvero è il mito che si impossessa di ogni forma immaginativa. Alla base del mito c’è Omero. Ma anche alla base del viaggio laico c’è Omero.
      “Il miracolo di Omero, scriveva Pound nel 1935, è che la grande poesia è nascosta ovunque e che la finezza letteraria appartiene a Henry james”. Nell’Omero odissiaco si avverte un “uomo conscio del mondo al di fuori di lui” perché, oltre tutto, ancora Pound, però nel 1911 – 1912, “aveva il vantaggio di scrivere per un auditorio in cui ogni membro sapeva qualcosa circa una nave o una spada. Poteva così alludere alle cose che tutti comprendevano”. Sostanzialmente Pound, nel 1935, era convinto che: “La principale impressione che si ha leggendo Omero è quella dell’attualità. Che si tratti di un’illusione o meno, questa è la qualità classica. Vecchio di 3000 mila anni ed ancora attuale”.
      Ulisse, in una esemplare decodificazione metaforica e meta – reale, è il paundismo che traspare con una luce esemplare attraverso un linguaggio che è unico. Ha scritto Alfredo Rizzardi: “…nei Canti Pisani si avverte una semplificazione e un affinamento del linguaggio poetico che non ha precedenti, frutto anch’esso di una nuova aderenza alla realtà del sentire, alla verità riscoperta nella sofferenza di cui il poeta non lesina l’espressione: amo ergo sum (LXXX), nulla conta tranne la qualità dell’affetto (LXXVI e LXXVII)…”.
      Quanto è attuale nella contemporaneità. Ezra Pound, una liricità che ha un profilo fortemente sentimentale. E’ presente nella coscienza della poesia contemporanea. I suoi rimandi creano radici per le generazioni future. Nel tema del viaggio dei “Canti” le presenze omeriche e dantesche creano flussi che sono elementi significativi in ciò che è stato più volte identificato come percorso della poesia del ritorno. Il sentimento del ritorno non è solamente una chiarificazione di estrema valenza letteraria, è qualcosa di più. E’ oltre.
      Il ritorno, dunque, è un sentire, un percepire, un emozionarsi attraverso i luoghi della memoria. Luoghi interiori, luoghi del tempo, luoghi dell’immaginare, luoghi del fantastico. Canto CXIII: “…conoscere la bellezza, la morte e la disperazione/pensando che il passato tornerà a essere,/in perenne fluire (…) Gli déi non sono tornati. ‘Non ci hanno mai lasciato.’/Non sono ritornati./Sfilano nuvole che sono vive e smuovono l’aria”. Non sono soltanto rimandi metaforici ma ci sono espressioni che hanno un profondo valore letterario. Letteratura che si confronta con la vita.
      Ezra Pound è uno dei poeti più “duri” ma più vitali e contemporanei. Vi sono quelle immagini che documentano poeticamente una sofferenza che è testimonianza di un’anima nel tempo. Un tempo fatto di valore, il cui valore stesso è una eredità culturale. In questa eredità, sottolineava Pound, “Noi non conosciamo il passato in sequenza cronologica… ciò che conosciamo, lo conosciamo attraverso ondulazioni e spirali che sgorgano a vortice da noi e dal nostro tempo”.
      Il richiamo alla classicità e alla grecità sembra un patto tra il mito e il reale, tra la nostalgia e il futuro. Canto II: “E il povero vecchio Omero cieco, cieco come un pipistrello,/Orecchio, orecchio alle onde del mare, mormorio di voci senili:/’Lasciatela tornare alle navi,/Tra visi greci, che sventura non ricada su noi,/Sventura e poi sventura, e una maledizione gettata sui nostri figli,/Incede, sì, come una dea/E ha il viso d’un dio/e la voce delle figlie di Schoeney,/E la malasorte con lei cammina,/Lasciatela tornare alle navi,/tra voci greche’./E presso la spiaggia, Tiro,/Le attorte braccia del dio marino,/Gli agili tendini dell’acqua, afferrandola, s’incrociano e la tengono stretta,/E il grigio – azzurro vetro dell’onda li ricopre,/Abbaglio azzurro d’acque, tumulto di gelo, aderente copertura,/Quieta striscia da sabbia fulva nel sole,/I gabbiani allargano le ali,/beccando tra le penne spiegate…”.
      Omero, Dante, Joyce. Ma non trascuriamo Witman perché questo tendere costante ad un viaggio – labirinto (che sia ritorno o costante partenza) è la sublime allegoria dell’uomo – maschera tanto emblematizzato dalla classicità primo Pound. Ma le metafore, comunque, insistono. Il mare colore del vino di Omero odissiaco si ritrova in questo verso di Pound: “l’onda, colore della polpa d’uva…” (sempre nel Canto II).
      Il gioco del colore ha una sua forma in Pound. L’azzurro, il grigio, il rosso vino e poi ecco il colore del tramonto: “…un vinoso stendardo imprigiona il tramonto…” (Canto XLIX). Ogni immagine è un simbolo.
      Il poeta dell’Imagismo. Di quell’Imagismo, anche nei Canti postumi(2002, curati da Massimo Bacigalupo) si sottolinea ciò, “per cui la mente è quieta/e il cielo è chiaro/libertà non un privilegio//Il fuoco non fa la bellezza, la terra non fa la bellezza/ma il NOUS, il conoscere. Più vicino del fuoco: più sottile dell’aria/Questo splendore, spargere questo splendore/immerso nello splendore”.
      Nella poesia la storia diventa quel tragico che modella le dimensioni del tempo. Ma la storia dentro la sua poesia c’è, ci sono anche i dettagli, c’è la vita e ci sono le passioni cucite sulla carne. Essere poeta restando uomo. E avere coscienza di ciò. “Se la brina afferra la tua tenda/Renderai grazie che la notte è consumata” (Canto LXXXIV). L’uomo che è nel poeta. O il poeta che è dentro l’uomo, con il sentimento ma anche con la consapevolezza.
      E’ questo che chiedeva Pound. Lo aveva cesellato nei suoi scritti critici. Lo aveva individuato persino nei suoi scritti dedicati all’economia, all’usura, al mercato. Un rapporto tutto giocato tra economia ed etica. Nel 1935: “Tu non puoi fare una buona economia con una cattiva etica”. O meglio nel 1933: “Un sistema economico in cui è più proficuo produrre fucili per fare a pezzi gli uomini, che coltivare il grano o costruire delle macchine utili è un oltraggio, e chi lo sostiene è nemico della razza”.
      Ma Pound sapeva andare molto oltre soprattutto quando sosteneva che: “La storia che trascura l’economia è pura sciocchezza; una mostra di ombre, e non più comprensibile di quanto lo sia la lanterna magica per un selvaggio ignaro della causa delle immagini. È una sorta di magia, come il grammofono o il telefono per un beduino che li ascolta per la prima volta”. Resta fondamentale l’affermazione: “La fonte del valore è l’eredità culturale”. Un monito, in fondo, che ha accompagnato tutta la sua ricerca.
      Lo ha raccontato nei “Canti”, ma lo ha dimostrato soprattutto vivendo, con coraggio e onestà, nel suo tempo il viaggio del suo destino perché era ben consapevole che “Quello che veramente ami rimane, il resto è scorie/Quello che veramente ami non ti sarà strappato/Quello che veramente ami è la tua vera eredità…” (Canto LXXXI). Nel 1917 scriveva: “Le sole cose che contano sono cose che rendono la vita individuale più interessante”. Perché, in fondo, ciò che veramente “resiste” è “solo l’emozione”. Agli indifferenti non è dato fare la storia perché non l’hanno mai capita.
      L’ulissismo non è soltanto un concetto. E’ un sentire. E’ un vivere. e’ un costante emozionarsi. In Ezra Pound è l’indefinibile viaggio. Ricostruisce il mosaico di quel racconto che solo la letteratura restituisce con il suo mistero e con le attese, le consapevolezze e le comprensioni della memoria. Proprio per questo l’opera di Pound non invecchia come ebbe a dire nel 1955 Archibald MacLeish: “La maggior parte dell’opera poetica .
invecchia col tempo; ma non quella di Pound: essa mantiene la sua dura affilata lucentezza – il suo taglio mordente”. “Ah, sono spossato/E il vagare per le molte strade ha fatto dei miei occhi/Rossi cerchi scuri pieni di polvere” (da “Lode di Ysolt”).
      Il poeta, dunque, si raccoglie nelle pieghe della conchiglia che nasconde maschere e verità. Ma qual è il compito del poeta? Spesso Pound si è interrogato su questo. In uno dei Canti postumi si legge: “Lettore sconcertato, qual è il compito del poeta?/Riempire il caos, popolare solitudini, moltiplicare immagini/o segnare la via sterile al paradiso/ al paradiso/(qui stava il rinascimento)/stendere strati di bei colori, riempire il vuoto di stelle/e fare d’ogni stella un nido di voci nobili”.

Il compito del poeta? Pound è un orizzonte di senso. Diventa sempre più tale anche se chiudono le case poundiane e non altre case. Resta sempre ilò riferimento del Novecento dal quale molti hanno copiato e tanti hanno trascritto senza citarlo. Bisogna avere il coraggio di viverlo e di raccontarlo. La scuola dorme e i docenti si affidano alle antologie ancora marxistizzate. Pound è il Novecento poetico!

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