La misericordia del Signore di Francesco

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(prendendo alla lettera le Fonti Francescane…)

Francesco, «poiché non aveva ancora completato nella sua carne quanto mancava alla Passione di Cristo (Col. 1,24. Elio Peretto (La Bibbia, Edizioni Paoline, 1981) così commenta il passo: «Non è facile capire come Paolo completi nel suo corpo ciò che manca alle sofferenze di Cristo»), sebbene ne portasse nel corpo le stimmate, incorse in una gravissima malattia d’occhi, come se Iddio mandasse a lui un nuovo segno della sua misericordia» (Vita prima, 98).

Non poteva camminare il santo d’Assisi, a causa dei chiodi nei piedi, che gli aveva donato il Signore sul monte della Verna, e così, ormai ridotto solo pelle e ossa, si faceva trasportare dai compagni per città e villaggi, per predicare. Una volta un frate, vedendolo più oppresso del solito, a causa dei dolori lancinanti, gli disse: «Fratello, prega il Signore affinché ti tratti un po’ meglio; sembra, infatti, che faccia pesare la sua mano su di te più del dovuto». Il santo, persuaso com’era che fosse davvero il buon Dio la cagione dei suoi dolori, rimproverò l’incauto compagno: «Se non conoscessi la tua semplicità, da questo momento io avrei in odio la tua compagnia, perché hai osato mettere in discussione i giudizi di Dio su di me», e disperatamente si gettò a terra, facendo scricchiolare le ossa. Poi, baciò più volte il suolo, dicendo: «Ti ringrazio, mio Signore per tutti questi dolori; ti prego di darmene cento volte di più, se così ti piace. Io sono contentissimo; perché adempiere alla tua volontà è per me una grande consolazione».

Lo sconcertante Signore dispensatore di dolori, immaginato da Francesco, trovava, tuttavia, belle similitudini per consolarlo, e spingerlo a sopportare con pazienza le sofferenze che gli elargiva. Un giorno così gli disse: «Supponi che la terra e l’universo intiero siano oro prezioso di valore inestimabile e che, tolto ogni dolore, ti venga dato per le tue gravi sofferenze un tesoro di tanta gloria che, a suo confronto, sia un niente l’oro predetto, neppure degno di essere nominato; non saresti tu contento e non sopporteresti volentieri questi dolori momentanei?».

Il santo d’Assisi, “pazzo nel mondo”, se fosse improvvisamente rinsavito, avrebbe potuto rispondere: «Signore mio, non sei tu lo stesso Signore che ebbe pietà della folla che rischiava di venir meno per la via? Non sei tu colui che, con la sua predicazione ed i suoi miracoli, cercò di evitare che gli uomini andassero incontro a gravi sofferenze sin dalla vita terrena? Non sei forse il Signore che mentre annunciava il vangelo del Regno, guariva ogni malattia e infermità? Non sei il Signore che pianse per la morte di Lazzaro? Non sei il Signore che per risparmiare inutili sofferenze ai suoi apostoli, raccomandò loro di essere prudenti come serpenti, di guardarsi dagli uomini, di fuggire dai persecutori, e che, al momento della cattura, cercò di evitare che essi fossero coinvolti nel suo sacrificio? (Gv 18,8.). E a tutti coloro cui desti sollievo, al cieco, all’emorroissa, all’uomo dalla mano rattrappita, al lebbroso, al fanciullo epilettico, non serbasti ugualmente un posto nel tuo Regno? Perdonami, mio Signore, se do l’impressione d’impicciarmi dei fatti altrui, ma non donasti pure il tesoro, al tuo discepolo prediletto, Giovanni, che ebbe la fortuna di vivere vicino alla tua dolce Madre, e che morì tranquillamente di vecchiaia, forse centenario? Tuttavia, Signore, se questa mia sofferenza e il sacrificio della vita fossero necessari come lo furono per te, allora io sarei contento».

Francesco, invece, che non era rinsavito, rispose al suo Signore: «Certo sarei contento, e sarei contento smisuratamente!». Così riferisce Tommaso da Celano, ed aggiunge: «Quanta esultanza pensi che abbia provato quest’uomo, beato per una promessa così felice? Con quanta pazienza, non solo, ma anche con quanto amore avrà abbracciato le sofferenze fisiche? Soltanto lui lo sa adesso perfettamente, perché allora non fu in grado di esprimerlo. Tuttavia ne fece cenno ai compagni come poté» (Vita seconda, 213).

E tale fu la felicità del santo d’Assisi per la promessa della vita eterna che proprio in quella circostanza lodò il Signore, per sora nostra morte corporale, che sentiva vicina, non pensando certamente che essa troppe volte è cieca e crudele.

 E sora morte arrivò per Francesco, un paio d’anni dopo il dono delle stimmate. Il frate, volendo «essere conforme in tutto a Cristo crocifisso, che, povero e dolente e nudo rimase appeso sulla croce» (Leggenda maggiore, 14,4), ormai vicino alla morte, deposta la veste di sacco, si prostrò tutto nudo sulla nuda terra; la faccia rivolta al cielo, e la mano sinistra a coprire la ferita del fianco destro, affinché non si vedesse.

Gesù, a differenza del santo d’Assisi, non depose spontaneamente le vesti, e queste non erano di sacco, ma avevano un certo valore, giacché i quattro soldati romani se le divisero, e tirarono a sorte la tunica, essendo cucita tutta di un pezzo (Gv 19, 23-24).

Renato Pierri

P.S. Il pezzo è gran parte di un capitolo del libro “Sesso, diavolo e santità” (Coniglio Editore). A riguardo, l’insinuazione malevola di un bacchettone su Wikipedia, mi induce a precisare che il sottoscritto non ha mai pubblicato un libro a proprie spese, ma è sempre stato ricompensato dalle case editrici. 

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