Cosa prevede il Memorandum Italia-Libia sui migranti e cosa si vorrebbe modificare

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Venne firmato nel 2017 e si rinnova ogni tre anni, automaticamente. Al patto firmato da Gentiloni, si dovrebbero aggiungere modifiche sulle condizioni di vita nel Centri e l’implementazione di corridoi umanitari 

Il Memorandum di intesa Italia-Libia venne firmato nel febbraio 2017 dall’allora presidente del Consiglio dei ministri Paolo Gentiloni e dal primo ministro del governo di riconciliazione nazionale libico al-Serraj. L’accordo, che ufficialmente disciplina “la cooperazione nel campo dello sviluppo”, “il contrasto all’immigrazione illegale, al traffico di esseri umani e al contrabbando” e “il rafforzamento della sicurezza delle frontiere tra lo Stato della Libia e la Repubblica Italiana”, fu raggiunto nell’ambito della crisi europea dei migranti, quando a sbarcare sulle coste italiane erano decine di migliaia di uomini, donne e bambini.

Gli aiuti economici e il supporto formativo, addestrativo, tecnologico e di mezzi garantiti dall’Italia alla Guardia costiera di Tripoli, numeri alla mano, hanno sicuramente aiutato a ridurre drasticamente le partenze dal Paese nordafricano (-97,2% negli ultimi due anni) ma la Libia non è riuscita a migliorare, come promesso, le condizioni di vita dei migranti ammassati nei Centri di accoglienza.

Centri ai quali le Nazioni Unite e le organizzazioni umanitarie hanno sì accesso, ma solo in modo molto limitato, come denunciato da rapporti governativi e da reportage giornalistici. A far discutere è soprattutto il ruolo della Guardia costiera libica, che secondo diverse fonti sarebbe formata almeno in parte da milizie locali colluse con i trafficanti: è recente l’inchiesta di Nello Scavo, giornalista di “Avvenire”, che ha documentato come Abd al-Rahman al-Milad, noto come Bija, ritenuto tra gli organizzatori del traffico di migranti, abbia partecipato in Italia a incontri ufficiali tra autorità italiane e libiche.

Il Memorandum ha durata triennale e si rinnova automaticamente tre mesi prima della scadenza e in assenza di indicazioni diverse: è per questo che lo scorso 1 novembre, in extremis, l’Ambasciata d’Italia a Tripoli ha formalmente proposto alle autorità locali, tramite una nota verbale, la convocazione di una riunione della Commissione italo-libica prevista dall’articolo 3 dell’intesa al fine di concordarne un aggiornamento attraverso “modifiche volte a migliorarne l’efficacia” e da formalizzare nel prosieguo attraverso uno scambio di note. E “la controparte libica – ha ricordato oggi nella sua informativa alla Camera il ministro dell’Interno, Luciana Lamorgese – ha accolto favorevolmente la proposta italiana dichiarandosi disponibile a rivedere il testo”.

Le modifiche dovrebbero concentrarsi proprio sulle condizioni di vita nei Centri, che secondo la stessa Onu sarebbero stati teatri non episodici di “inimmaginabili orrori”: compravendite di esseri umani, torture, violenze sessuali, stupri e abusi di ogni tipo. Obiettivo del nostro Paese, ha assicurato il ministro, “dovrà essere quello di migliorare le condizioni dei Centri e quelle dei migranti ivi ospitati in vista della graduale chiusura dei Centri attualmente esistenti per giungere progressivamente a strutture gestite direttamente dalle Nazioni unite”.

Seconda linea di intervento, sarà l’implementazione dei cosiddetti “corridoi umanitari”, per i quali l’Italia intende ritagliarsi un ruolo sempre piu’ centrale, con il coinvolgimento di altri Paesi e la regia e il finanziamento dell’Unione europea. Terzo asset, il proseguimento delle iniziative nel sud della Libia mirate al rafforzamento delle capacità di sorveglianza dei confini terrestri meridionali e al sostegno delle municipalità locali. Una strategia dai tempi non brevi, destinata a deludere il fronte trasversale dei contrari all’intesa, che ne chiede la cancellazione tout court e che comprende le Organizzazioni non governative, le associazioni che tutelano i diritti dei migranti e i diritti umani in genere – raccolte sotto l’egida del Tavolo Asilo – e parlamentari di Pd e Leu.

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