Venduto a un fondo Usa il dominio simbolo del no profit

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L’estensione .org – che su internet contraddistingue le Ong – diventa proprietà di un’associazione a scopo di lucro. E ciò mette in questione l’intera governance della rete 

AccessNow e altre ong del comparto digitale hanno chiesto all’Icann, l’ente internazionale che ha tra i suoi compiti la gestione dei domini primari dei siti internet, di bloccare la vendita a un fondo statunitense del dominio ‘.org‘, che contrassegna le organizzazioni no profit. Lo scorso 13 novembre l’associazione no profit Usa Internet Society ha ceduto per una somma sconosciuta il Public Interest Registry (Pir), la società che gestisce materialmente i domini .org, a Ethos Capital, un fondo di private equity, ovvero un’ente a scopo di lucro. La cessione era stata preceduta sei mesi prima dalla decisione dell’Icann di rimuovere i limiti di prezzo per l’utilizzo dell’estensione. L’eliminazione dei tetti ha reso quindi potenzialmente lucroso per una società finanziaria l’acquisto del Pir, che lo scorso anno, con i limiti in vigore, ha generato ricavi per 101 milioni di dollari.

Un marchio che rischia di perdere senso

L’Internet Society ha parlato di una transazione che genererà “benefici incredibili” per il Pir. Il timore dell’universo no profit è invece che quel .org che era marchio distintivo del terzo settore venga snaturato, diventando merce. Ethos Capital, ha garantito Internet Society, si è impegnata a mantenere il dominio “accessibile e con un prezzo ragionevole”. Ma, obiettano le Ong, quello che era un “prezzo ragionevole” per una no profit come Internet Society non sarà necessariamente tale per un fondo di private equity

Nato 35 anni fa, agli albori della rete, l’estensione .org “è stata sin dall’inizio una parte cruciale” dei marchi delle organizzazioni benefiche, ha spiegato Marc Rotenberg, ex presidente del Pir, tanto che alcune la avevano inclusa nel loro stesso nome. Dopo la cessione, .org rischia di non essere più sinonimo di etica e cause umanitarie. 

Una transazione tutt’altro che trasparente

La rimozione dei limiti di prezzo e la successiva vendita sono state, secondo Rotenberg, “due delle decisioni più controverse della storia della governance di internet“. E le promesse di Erik Brooks, presidente di Ethos, di mantenere irrilevante la somma chiesta alle organizzazioni no profit, attualmente pari a 9,93 dollari all’anno, non sono servite a placare la polemica. A suscitare rabbia è stato infatti il segreto nel quale è avvenuta la vendita e il ruolo di Fadi Chehade, che fu presidente dell’Icann fino al 2016.

Secondo quanto scrive il Financial Times, Chehade, che ha relazioni d’affari con Brooks, registrò infatti il marchio Ethos Capital subito dopo la rimozione del limite ai prezzi, lasciando intendere quanto tale decisione fosse funzionale alla cessione. E l’Icann non sembra affatto intenzionata ad accogliere l’appello delle Ong perché blocchi la vendita: uno stop, ha spiegato, sarebbe possibile solo se “la stabilità e la sicurezza dell’infrastruttura del dominio fossero a rischio”. A giudizio di alcuni manager del settore dei domini, come Nao Matsukata, la vicenda mette in questione l’intero sistema di governance della rete. “La domanda resta quella: a chi deve rendere conto l’Icann? Con la struttura di governance attuale, rende conto solo a se stessa”, ha osservato Matsukata.

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