Na’ vota a befana era brutta e vecchia ed ora è bona scosciata e arrapante

Arte, Cultura & Società

Di

 Sorridere è una virtù e raccontare un mistero

Pierfranco Bruni

Bisogna sempre credere che le feste portino bellezza. Sono mobili. Una fiesta è un sorriso mobile come mi ha insegnato il  vecchio che dialogava con il mare. So che bisogna che si scriva sempre di ciò che si vive vissuto attraversato abitato. Mai di ciò che hai studiato letto descritto. Lo scrittore deve scrivere sempre della sua vita. Altrimenti resta uno scrivano.
Oh cuore mio cuore brigante della colonna dorsale dell’anima.

Caro amico scrittore scrivi sempre ciò che abiti ciò che conosci  con il cervelletto erotico della tua sensualità. Rendi il tragico immortale e la gioia infinita e l’amore paziente viaggio e il tuo stare in poltrona con la copertina scozzese sulle gambe mentre pensi e leggi le righe delle tue mani eterne.

Voglio raccontarmi una favola anche se Bea mi dice che bisogna vivere nell’eros del caminetto. Con la legna ardente come i baci dell’abbondanza e senza alcuna malinconia. Ha ragione. Ma sono così vissuto… Tanto vissuto che per vivere devo inventarmi una magia che solo Bea conosce. Ma ora voglio raccontarmi una favola che tale non è ma tale sarà…

C’era una volta…
Non smetto di credere alla Befana perché è come recuperare i biscotti proustiani nell’andare del tempo e ritrovare la nonna che prepara il suo thè. La Befana ha la nostalgia, ma non  è nostalgia. Ha il senso dell’incanto perché noi non possiamo, non dobbiamo e non vogliamo mai perdere la verità dell’incantesimo.
Una volta, tanto tempo fa, c’era la Befana. Pensavo che fosse carnevale. Girandole di luci. Poi la neve. I camini accesi con legna a schioppetta. Le tradizioni sono tradurre il tempo in riti memorie immagini. Vanno via le ore ma il tempo resto.
È, invece, il giorno della Befana. Epifania del Signore. Tutte le feste porta via. Quando i miti si strappano alla tradizione le civiltà muoiono. Comunque la morte è sempre in agguato.

C’era na’ vota na vecchia ca scappava supra na scupa e si firmava a certi casi e ad altri no. Ma mio padre e mamma mia mi ordinavano  ad andare aru liettu dopo carosello. E cussí ché stato. Cussi era bellu.

Dicevo.
C’era una volta la Befana tutta vestita e con il cappello da mago. Veniva di notte cavalcando una scopa e portava sulle spalle sacchi di doni. Una volta c’era.
Gli armeni direbbero “Forse c’era una volta…”.
La morte è un agguato. Per la Befana , la vecchia vestita da romana, che non era tale senza le scarpe rotte, il compito è quello della immortalità. Una strega dea. Ecco perché la semantica presente un artificio di parole complesse.

Sí cumi na’ befana! Cu u’ nasu a pippa e i baffi alla chevalier.
Oppure, se non ti comporti bene, la  Befana non ti porta in dono nulla. Insomma si é  costruito un immaginario di bellezza. Ordine e bellezza.
Non solo porta via le feste, ma porta  via anche il tempo dell’infanzia e soltanto il ricordo resta nel mosaico della mia vita invecchiata lentamente troppo in fretta. Ora percepisco. Più che farmi una passeggiata osservando la neve sul mare aspetto la sua venuta.

Una volta nel mio paese questo della Befana  era il tempo delle ghiacciate e dei pinzuorri. Cosa sono? Se dovessi spiegarlo non sarei uno scrittore, ma un saggista o peggio un docente bravo certamente, ma sono uno scrittore. Vero! Quindi non spiega. Lascia tutto nel mistero perché è il mistero il vero segno di una scrittura mai rarefatta dal sogno.

A proposito dei professori. Chiedo scusa a loro. Ci sono prof bravi a rappresentare la categoria e altri, pochissimi, meravigliosi a testimoniare la letteratura come esempio di esistenza intrecciando segreto e mistero. Per i quali la  Befana vien di notte con le scarpe tutte rotte e vestita ara romana. Raccontando così  la Favola bella che ieri ci illuse e che ora non smette di essere bella.
Dovete sapere, cari lettori, che io ironizzo ma di docenti non vi è certezza se non attraverso la purezza.

La letteratura è vita altrimenti si leggano soltanto le antologie scolastiche per fare mercanzie. Pochi sono veri altri sono impostati. Pochi per dire pochissimi, e tra questi mi onoro e sono onorato di chi non dimentica mai l’incipit e dice… “Ora vi condurró dove ha vissuto Ariosto… Seguitemi”. Anzi c’è un Prof bravo anzi una Prof in gamba che dice: “Vi porterò per mano dove l’incipit è tutto…”.

Bhe! Facciamola finita. Qui è tempo di Befana. Cosa mi porterà? Vorrei trovare sul mio cammino un libro. No. Anzi un trattorino di quelli che mi regalava mio padre e una piccola pista per trenino. Così spedirei in paradiso tutti i cretini e lascerei qui sul mio trattore chi sa trottellare senza inficiare le mie intelligenze.
Ma so che vien di notte perché di notturni è la sua corsa e di notte si resta a pensare.

Cosa mi porterà?
Un bel dono. Un libro di uno scoiattolo o forse una poesia di un ghepardo che possa allontanarmi dalle tante rimembranze o una seppia scoiata senza osso. Ma si.  Accetterei però con voluttà e piacere la rossa Veronica che di Magdala ha il coraggio e la virtù ma non la sua  bellezza.
I suoi versi duellanti a primeggiar raccontano che la befana non è vero che sia vecchia e annappata, ma scosciata e ballerina sul vetto di una scopa a sigaro infiorato.

Cosa mi porterà? Sorpresa. Vi dirò il 18 gennaio il regalo ricevuto perché 1 piu 8 fa nove. Tre volte tre. Meglio 6 per 3 fa 18! E ancora si pensi che 6 più 5 fa undici. Si pensi ancora che 1 più 1 fa due. Sei per cinque fa trenta. Trenta più 1 per 1. Trentadue. Ovvero tre più 2 fa cinque. Ma cinque è una stella. Il cinque fa una stella.
Carnevale non è, ma sempre uno scherzo può valere. Con la vasca ghiacciata nel giardino e il libro delle favole belle me ne  vo’ a carbonare con il canto delle galline nella neve delle befanine.

Datemi carbone, solo carbone  fate a meno di almanacchi, mo’ ne ho piene le palle dell’albero da disfare, carbone a volontà per un freddo di coscienze che sento avvicinarsi in questo tempo di miseria e false nobiltà.

La Befana vien di notte con le scarpe da principessa e vestita alla romanina per un canto  di risatina.
Ohibò!  Dove è finita la mia metafisica?
Quando sento arrivare la Befana divento il dottor Stranoamore e mi fo’ na’ canciata per un tempo viziato da erotica missione per ciò che sarò nella mia prossima vecchiaia.
La Befana non viene solo di notte scosciata e non virtuale ma apprendista sciamana e decorata.

C’era una volta una vecchina chi si chiamava Befana. Una volta in groppa ad una scopa. Con la luna che faceva da lampione e scialli e cappello. Portava sulle spalle il peso dei regali. Oggi tutto è dovuto.  Tutto non ha favola. Ma ad arrivare è solo una scopa.
Tutto ciò che ho scritto è frutto di un immaginario scrittore e ogni riferimento risponde alla pura verità pur non essendo casuale.
Ed eccoci qua a raccogliere come custodi di musei, anzi assistenti museali, lo sguardo di chi ci sta accanto conservando con i pezzi del tempo tutto il tempo che abbiamo vissuto e che ci ha visto ridere .

Sorridere non è ridere. Ridere cosa è. Bea lo chiedo a te! Intanto navigo nel mio vento d’altura con le bruciature del sale sulle mani e da vecchio marinaio mi trascino l’esca delle sardine che non sono altro che nu’ strusciu i’ scopa nova… Chi ci vo fa’… ghe miegliu na fumata ca na cretinata …

C’era una volta il canto di un gabbiano sul mare dello Jonio che annunciava l’arrivo della Befana. Il suo Eros era magnificamente arrapante e sul letto della stanza sul mare si faceva l’amore senza alcuna play social… C’è un tempo per tutto nella tempesta del vivere…

Sorridere è sempre una virtù e raccontare è un paziente mistero!

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