I 2800 di Almaviva ora temono il contagio: “Dateci lo smart working” 

Economia & Finanza

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Il popolo del call center di Palermo convive in un edificio in piena emergenza coronavirus. L’azienda, “dato l’aggravarsi della situazione”, ha chiesto “il massimo contributo. Il Paese ha bisogno di te”

coronavirus call center Almaviva smart-working © GUILLERMO LEGARIA / AFP  –  Un call center per il telemarketing

​Salvate i ‘soldati Ryan’. Circa 2.800 operatori di call center, quasi un piccolo paese, costretti a convivere in un edificio del centro di Palermo in piena emergenza coronavirus. Nei giorni scorsi al popolo di Almaviva – in particolare a quella parte che è impegnata a rispondere al numero di pubblica utilità 1500, attivato per fare fronte alle domande dei cittadini sul Covid 19, una sorta di paradosso – l’azienda, “dato l’aggravarsi della situazione della nazione”, ha chiesto “il massimo contributo di presenza. Il Paese ha bisogno di te”.

Una chiamata alle armi vera a propria per l’esercito di via Cordova. Che compone, nei fatti, un vero e proprio e temibile assembramento. I dipendenti hanno chiesto – e continuano a chiederlo – l’applicazione dello smart working e la possibilità di valutare il part time verticale diurno. Almaviva, però, non intende, almeno al momento, determinare automaticamente questa modalità lavorativa.

Ha avviato una ricognizione con la quale chiede a ogni lavoratore di comunicare le dotazioni informatiche di cui è in possesso al fine di poter lavorare da casa, “previo consenso da parte dei committenti”. Insomma, non è una soluzione scontata, nonostante l’ulteriore stretta decisa dal governo sul fronte della sicurezza: bisognerà, infatti, dichiarare di disporre di una dotazione tecnologica adeguata e, soprattutto, servirà il via libera dei clienti. 

I sindacati continuano a chiedere “l’applicazione basilare delle norme di prevenzione nazionali nonché regionali. Tra le richieste anche che vengano affisse comunicazioni diffuse rispetto all’emergenza coronavirus sia in forma cartacea che informatica”, pulizie più accurate e frequenti; lasciare più spazio possibile tra un operatore e l’altro; la sospensione degli affiancamenti, ascolti in doppia cuffia e aule di formazione; fornire ai lavoratori guanti monouso e mascherine, l’implementazione dei dispenser.

L’azienda ha risposto che sarà prestata particolare attenzione alle distanze tra i lavoratori e alla pulizia delle tastiere, le quali verranno sanificate e pulite con l’utilizzo di aria compressa e disinfettante. Si sposteranno in settimana, inoltre, i lavoratori della commessa Sky nella sede di via Ugo La Malfa. Saranno sospesi gli affiancamenti e aule di formazione a partire da subito e saranno forniti i guanti monouso; le mascherine, invece, risultano carenti per mancanza di approvvigionamento e i dispenser sono già ordinati.

Ma i timori sono forti come emerge dai commenti della pagina Facebook dei dipendenti: “Un solo collega positivo potrebbe contagiare migliaia di persone. Hanno previsto delle mascherine? Hanno valutato la possibilità di sospendere le attività?”. L’amministratore del gruppo ha postato un articolo del sito AGI: “Lo studio cinese che rivede la distanza minima per evitare il contagio. Il coronavirus può rimanere in aria per almeno trenta minuti e coprire una distanza di circa 4,5 metri”.

Così una lavoratrice si sfoga. “Ho paura, mi sento un soldato mandato alle armi, ma sono costretta ad andare a lavorare”. E c’è chi sottolinea: “Ricordo che si lavora in open-space con centinaia di lavoratori ammassati tra loro. Il datore di lavoro risponde in prima persona della salute dei propri dipendenti e dovrebbe mettere in campo tutte le azioni per proteggere la loro salute”. 

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