Salvato a 75 anni da intervento cardiochirurgico complesso
Intervista a Sergio Caparrotti
È iniziato con aprile il terzo mese della guerra che vede il Servizio sanitario nazionale impegnato contro le armate del coronavirus, il nemico invisibile e atroce che ha stravolto vite e comportamenti di tutti noi. Nella prima linea le strutture sanitarie hanno dispiegato uomini e mezzi affinché il genere umano possa riprendere al più presto la normalità dei giorni passati. La fredda aridità dei numeri fa prevedere un lungo periodo di trincea e gli amministratori non devono lesinare risorse per la cura e l’assistenza di quanti sono colpiti da tutte le altre patologie. In medicina non esistono tregue e considerando gli aspetti collaterali di questa congiuntura, sedentarietà, cambio delle abitudini alimentari, stress e ansia, riduzione dei controlli a fini preventivi, le malattie cardiovascolari e oncologiche sono destinate a crescere. L’emergenza Covid 19 dimostra il valore dei nostri operatori sanitari. Umanità e professionalità non sono prerogative del momento, ma il frutto di esperienze e conoscenze maturate negli anni. L’esempio viene da Bari, da Mater Dei Hospital, dove il 2 aprile, Sergio Caparrotti, primario della Cardiochirurgia ha con successo operato una persona di 75 anni, P.N. affetta da una endocardite batterica su una protesi aortica. Una grave patologia ad alto rischio di embolia periferica e cerebrale complicata da shock che aumentava di molto il rischio operatorio. Un perfetto gioco di squadra messo in campo da un efficiente collettivo, dalla Medicina interna diretta da Doda Renzetti, alla cardiologia di Enzo Pestichella, alla Terapia intensiva post chirurgica di Cataldo Labriola, all’Ecocardiografia di Dino Memmola, al Laboratorio di microbiologia di Daniela Volpe, che ha permesso ai cardiochirurghi il buon esito dell’intervento.
Il dott. Caparrotti ci ha concesso un’intervista
Cos’è l’endocardite infettiva e se è contagiosa
È una patologia subdola, non contagiosa, che colpisce le superfici interne delle camere cardiache e si infiltra in profondità fino a distruggere tutte le strutture anatomo funzionali del cuore stesso, se non si pone immediatamente rimedio dopo una diagnosi precoce. È apparentemente rara e determina una mortalità del 20% nelle fasi del ricovero ospedaliero e del 35-40% ad un anno dalla diagnosi. Supera per mortalità la cardiopatia ischemica. Avevamo organizzato un congresso di rilevanza nazionale nei primi giorni di marzo per presentare la nostra esperienza e la gestione multidisciplinare in un’ottica di rete assistenziale ospedale territorio; purtroppo l’emergenza Covid 19 ha annullato l’evento
Poteva essere evitato l’intervento
Assolutamente no. Bisognava intervenire subito perché c’era il rischio di embolia e setticemia, diffusione su tutti gli altri organi della infezione. Questo paziente, giunto alla nostra osservazione tardivamente, già operato per sostituzione della valvola aortica presso altra struttura, aveva completamente compromessa la “crux cordis”, l’anima del cuore, da cui si diparte tutto l’apparato anatomo funzionale dell’organo.
Può descrivere la procedura chirurgica
Accurata e completa eliminazione dei tessuti infetti, ricostruzione con tessuti e protesi completamente biologici, salvataggio delle valvole native e sostituzione della protesi valvolare aortica. Il tutto nella maniera più fedele possibile per assicurare una funzione idonea a supportare adeguatamente la vita del paziente.
L’immaginario collettivo evidenzia nel trapianto l’intervento cardiochirurgico più complesso
Portare a compimento un trapianto cardiaco è una procedura fondamentalmente organizzativa; prevede molti passaggi che devono assolutamente armonizzarsi fra di loro nei tempi e nei luoghi. Il dettaglio tecnico chirurgico e l’attenzione post operatoria sono momenti assolutamente standardizzati perché si agisce su pazienti fondamentalmente sani salvo la grave patologia cardiaca che si risolve con il cuore nuovo. L’intervento che abbiamo eseguito, prevede un attento, particolareggiato quanto veloce iter diagnostico. Sono necessari dettagli di tecnica chirurgica ideati al momento, non si può sapere quanto vasto possa essere il danno anatomico. Il buon esito non è legato al solo atto chirurgico. Serve una gestione post operatoria complessa considerando che il paziente era giunto al tavolo operatorio in gravi condizioni generali e con un cuore molto compromesso prima dell’intervento chirurgico.
Ecco un caso di buona medicina di cui ci piace scrivere e raccontare. Non mancano gli Angeli a Mater Dei Hospital che mantiene alto il livello di allerta e attenzione, continuando in silenzio a garantire cure efficaci e assistenza di qualità.