di Lorenzo Nuozzi
Con il progredire della società e, soprattutto, delle nuove tecnologie che attribuiscono all’uomo la possibilità di intervenire sull’evolversi dello studio e dell’ambiente, molti studiosi si sono posti il problema della regolamentazione dello sviluppo degli studi scientifici sia in fase di ricerca sia in quella di utilizzo.
Nessuna formula o definizione, però, potrà portare a identificare ciò che è giusto o sbagliato che sia valida per tutti gli individui di ogni tempo e luogo. Spesso le decisioni vengono assunte più per conformismo a tradizioni culturali e contesti socio – educativi piuttosto che in base ad una critica riflessione su di esse. Tra queste opportunità si trova quella di indagare le proprie convinzioni e le proprie personali risposte etiche alla luce di quelle altrui, assumendo un atteggiamento tollerante in modo da contribuire ad uno scambio di vedute tra gli essere umani.
riflettere sugli interrogativi etici sollevati dal progresso scientifico che ha condotto a nuove situazioni e a nuovi contesti è nata la bioetica.
Il termine “bioetica” è stato usato per la prima volta nel 1970 dall’oncologo americano Van Rensselaer Potter, nel suo articolo “Bioerhics. The sciense of survival”, il quale riteneva che si dovesse creare una nuova disciplina che racchiudesse in sé sia la conoscenza biologica, sia i valori umani: “ho scelto la radice bio per rappresentare la conoscenza biologica, la scienza dei sistemi viventi; ed ethics per rappresentare la conoscenza del sistema dei valori umani”[1]. Potter ha inteso la bioetica come una scienza il cui raggio d’azione sarebbe dovuto essere l’uomo ma anche ogni suo intervento sulla vita in generale.
L’ambito proprio della bioetica deve far riferimento alle nuove condizioni nelle quali si verificano il nascere, il morire e il prendersi cura degli esseri umani. La sua natura è multidisciplinare perché include al suo interno varie materie quali la biologia, la medicina, la filosofia, il diritto, la religione.
Le problematiche legate alla bioetica sono numerose, infatti le sue tematiche tipiche sono quelle che riguardano l’aborto, l’accanimento terapeutico, la contraccezione, l’utilizzo delle cellule staminali, la clonazione, l’eutanasia, l’ingegneria genetica, la procreazione assistita, la sperimentazione clinica dei farmaci, la sterilizzazione, il suicidio, il trapianto di organi.
Nel corso degli anni la bioetica diventa una vera e propria disciplina ed entra a pieno titolo nell’ambito della scienza, diversificandosi secondo i valori di chi la sviluppa: si creano due grandi correnti la bioetica laica rappresentata dalla nozione di qualità della vita come valore dell’esistenza umana e la bioetica cattolica di matrice religiosa centrata sul concetto di dignità della persona come valore fondante e quindi sulla sacralità della vita.
BIOETICA LAICA
La bioetica laica pone a suo fondamento la responsabilità umana di prendere decisioni in merito all’inizio e alla fine della propria esistenza: la cosiddetta “etica della disponibilità della vita, l’individuo deve essere libero di poter scegliere, in situazioni particolarmente difficili, secondo le sue considerazioni, le sue credenze.
La bioetica laica non vuole essere antireligiosa ma più semplicemente areligiosa: “essere laici, quindi non implica affatto né l’agnosticismo né l’ateismo, ma solamente l’esclusione di premesse metafisiche o religiose che pretendono di valere per tutti”[2].
In sostanza la laicità indica la dottrina di coloro che non si limitano ad una generica adesione ai valori dello spirito critico e della tolleranza ma ragionano indipendentemente dell’ipotesi dell’esistenza di Dio e non credono:
- né nell’esistenza e conoscibilità di Dio,
- né nella creaturalità dell’uomo e del mondo,
- né in un progetto divino delle cose,
- né in un valore trascendente della persona,
- né nella sacralità della vita e bontà intrinseca della vita,
- né nella sua assoluta inviolabilità e indisponibilità,
- né in una verità che precede o orienta la libertà,
- né in una legge morale naturale,
- né in una legge eterna di Dio,
- né in precetti etici assoluti capaci di fungere da fondamento oggettivo o immutabile dei nostri comportamenti[3].
In altri termini come osserva Papa Benedetto XVI “si parla di pensiero laico, di morale laica, di scienza laica, di politica laica. In effetti alla base della concezione c’è una visione areligiosa della vita, del pensiero e della morale: una visione, cioè, che trascende la pura ragione, per una legge morale di valore assoluto, vigente in ogni tempo e situazioni”[4].
Oggi la bioetica laica è un insieme di diverse visioni ideologiche, comunque anche in mezzo a queste differenze è possibile individuare alcuni valori che concorrono a definire l’approccio “laico” alla bioetica e a distinguerli da quelli ispirati dalle religioni. Per i laici il pluralismo è un valore fondamentale da indicare e da ampliare per la sua conoscenza. Altri aspetti che accomunano e identificano i criteri del porgersi alla bioetica sono:
- La centralità dell’autonomia e della libertà individuale nelle decisioni che riguardano la vita e la morte nel senso che non devono esistere limiti alla volontà di autodeterminarsi e di automanipolazione;
- Il valore attribuito alla qualità della vita;
- La disponibilità della vita in relazione alle personali convinzioni e quindi piena autonomia decisionale dell’uomo nello scegliere come vivere e come morire rispetto agli ordini sacri o profani precostituiti, e di conseguenza il diritto di accettare o di rifiutare le cure dopo opportune informazioni.
In Italia la bioetica si è data un documento di riferimento nel “Nuovo manifesto di bioetica laica” presentato a Torino il 25 novembre 2005. In questo documento sono presentati i principi fondamentali sui quali si fonda la bioetica laica:
- Il principio della qualità della vita, non sempre la vita è degna di essere vissuta. In determinate situazioni essa deve poter essere modificata o interrotta. Per garantire questo diritto deve essere tutelato il principio di autodeterminazione e di autonomia individuale, nel rispetto degli spazi di scelta altrui, che a sua volta porta ad una scelta liberale.
- Una società può dirsi liberale quando i suoi cittadini hanno la libertà di esercitare la propria autonomia e tutte le posizioni morali sono ritenute degne di uguale rispetto.
- Il principio di autonomia, ogni individuo ha pari dignità e non devono essere autorità superiori ad arrogarsi il diritto di scegliere per lui le questioni che riguardano la sua salute e la sua vita.
- Il principio di equità, cioè garantire ad ogni individuo un eguale accesso alle cure mediche.
- Il principio della separazione della morale dal diritto, dove i principi morali si fondano sull’adesione volontaria da parte degli individui nello sviluppo, soprattutto, nel campo biomedico, il legislatore deve intervenire solo nei casi in cui vi sia una lesione ai danni di altri individui.
- Il principio del diritto alla qualità della vita, rappresentato dallo stato di benessere fisico, psichico e sociale per vivere una vita piacevole, produttiva e ricca di significato.
Il concetto di qualità della vita non è riconducibile soltanto ai dibattiti in merito alla circostanza di fine vita, ma anche riguardo all’inizio della vita umana e durante il suo iter.
La vita non è sacra, né in senso biologico né in senso biografico, quello che può essere ritenuto sacro, nel senso di intoccabile e irrinunciabile, è il diritto del singolo individuo all’autodeterminazione nel rispetto della sfera altrui. In questo caso l’individuo ha il diritto di decidere per sé il criterio che determina quando una vita sia decorosa e biologicamente funzionale.
A proposito del principio dell’autodeterminazione, che ispira la bioetica laica, interessante sono le parole di Demetrio Neri: “Questo principio conferisce ad ognuno di noi il diritto di definire e ridefinire per sé lo stile di vita che intende perseguire, i valori che intende condividere insieme al diritto di poter assumere le decisioni che riguardano la propria vita in modo indipendente e libero da interferenze esterne. In quanto autonoma (e salvo personali limitazioni, come la giovane età o una malattia mentale), ogni persona ha diritto al rispetto delle decisioni che assume per governare la propria vita in accordo ai valori che condivide e alla propria visione del bene. Naturalmente questo diritto trova una limitazione nell’eguale diritto altrui e quindi è del tutto appropriato, su questa base, porre dei limiti alle azioni che ognuno di noi può compiere per realizzare il proprio piano di vita. Questi limiti riguardano le azioni, ma non il diritto all’autodeterminazione in sé considerato: nessuno infatti può arrogarsi il diritto di decidere al posto mio ciò che è bene per me”[5].
Concludendo si può affermare che l’impostazione laica parte da alcuni presupposti quale la difesa del principio di autonomia e del rispetto dell’autodeterminazione dell’individuo limitato solamente alla possibilità di un eventuale danno ai terzi che implichi una diseguaglianza tra i cittadini in base al principio secondo il quale la mia libertà deve essere garantita dagli altri e garantire a sua volta la libertà altrui.
La bioetica laica vede “nel progresso della conoscenza la fonte principale del progresso dell’umanità, perché è soprattutto dalla conoscenza che deriva la diminuzione della sofferenza umana.
Ogni limitazione alla ricerca scientifica imposta nel nome dei pregiudizi che questa potrebbe comportare per l’uomo equivale in realtà a perpetuare sofferenze che potrebbero essere evitate”[6].
BIOETICA CATTOLICA
Mentre a fondamento della bioetica laica è la qualità della vita e la libertà dell’individuo, in quella cattolica è il principio della dignità e della sacralità della vita umana dal concepimento alla morte naturale.
Questo principio si basa sul fatto che ogni persona è stata voluta da Dio per sé stessa ad immagine e somiglianza del Dio vivente e santo, rendendo la vita di ogni persona non disponibile né nella fase iniziale (esempio pratica dell’aborto) o nella fase terminale (con la sospensione dell’alimentazione e della idratazione artificiale e quindi con l’eutanasia o “suicidio assistito”).
Secondo la bioetica cattolica la vita è un dono che l’essere umano deve solo gestire con cura e attenzione, il solo a poterne disporre è Dio: “la vita che Dio offre all’uomo è un dono con cui Dio partecipa qualcosa di sé alla sua creatura”[7].
Il principio che l’uomo è stato creato a immagine di Dio è stato chiamato in causa da molti studiosi per sostenere le posizioni del Magistero della Chiesa Cattolica sulle problematiche sollevate dall’evolversi della scienza nel campo medico: “Dio, essere personale, dona all’uomo la dignità di persona: tale dignità è essenziale, riguarda il significato più profondo della vita umana e quindi non può essere diminuita o annullata da niente e da nessuno. Da queste premesse deduciamo che neppure malformazioni fisiche e menomazioni psichiche, per quanto gravi possano essere, sono in grado di affievolire il valore della vita umana, al punto da farle perdere il diritto che è fondamentale per ogni uomo: il diritto alla vita”[8].
Il concetto della “inviolabilità” e dell’“immutabilità” della vita porta alcune conseguenze nell’ambito della biomedicina: il precetto di non uccidere che orienta e regolamenta le decisioni dei medici, operatori sanitari e familiari che devono affrontare situazioni estreme e complicate. Un esempio lo si può riscontrare nell’ambito dei problemi sollevati, nell’ambito dell’opinione pubblica, da aborto ed eutanasia i quali devono sempre essere risolti a favore della vita: nel caso dell’aborto non è lecito ricorrervi neanche in presenza di grave rischio della salute della madre o in quello dell’eutanasia non è giustificato né in situazioni di grande sofferenza né nei casi di una volontaria e consapevole riflessione.
Il diritto di salvaguardare la vita è prioritario rispetto a tutto in quanto entità sacra non a disposizione dell’uomo.
In sostanza i principi cui si ispirano i documenti del Magistero cattolico che si occupano di questi temi possono così riassumersi:
- Principio dell’inscindibilità del significato unitivo e procreativo dell’atto coniugale, il dono della vita umana deve realizzarsi nel matrimonio con atti specifici ed esclusivi degli sposi secondo le leggi inscritte nelle loro persone e nella loro unione.
- Principio cui ciò che è tecnicamente possibile non è moralmente ammissibile. Questo principio è particolarmente applicato alla fecondazione assistita, soprattutto nel campo della ricerca non terapeutica dell’embrione.
Il giudizio morale sui metodi di procreazione artificiale riconosce che l’embrione sin dal suo concepimento è già un essere umano e la loro manipolazione è una offesa alla sacralità della vita umana, e le parole dell’Evangelium Vitae ne sono la dimostrazione: “Anche le varie tecniche di riproduzione artificiale, che sembrerebbero porsi al servizio della vita e che sono praticate non poche volte con questa intenzione, in realtà aprono la porta a nuovi attentati contro la vita. Al di là del fatto che esse sono moralmente inaccettabili, dal momento che dissociano la procreazione dal contesto integralmente umano dell’atto coniugale, queste tecniche registrano alte percentuali di insuccesso: esso riguarda non tanto la fecondazione, quanto il successivo sviluppo dell’embrione, esposto al rischio di morte entro tempi in genere brevissimi. Inoltre, vengono prodotti talvolta embrioni in numero superiore a quello necessario per l’impianto nel grembo della donna e questi cosiddetti “embrioni soprannumerari” vengono poi soppressi o utilizzati per ricerche che, con il pretesto del progresso scientifico o medico, in realtà riducono la vita umana a semplice “materiale biologico” di cui poter liberamente disporre”[9].
Secondo l’ordine morale cattolico nessun atto può essere lecito se rappresenta una manipolazione dell’embrione:
- La fecondazione artificiale eterologa non è conforme alle proprietà oggettive ed inalienabili del matrimonio (il figlio, quale immagine vivente dell’amore dei genitori, può scoprire la sua identità e le sue origini parentali per ricostruire la sua identità personale solo nel matrimonio e soprattutto nella sua indissolubilità).
- La maternità sostitutiva è moralmente inammissibile in quanto contraria agli obblighi di una madre verso il proprio figlio perché offende la sua dignità e il suo diritto ad essere concepito, portato in grembo, messo al mondo ed educato dai genitori legati nel matrimonio.
- La sofferenza per la sterilità coniugale, pur rappresentando una sofferenza per gli sposi non poter avere figli, non può essere una giustificazione, infatti la Chiesa chiede di tener presente che il matrimonio, inteso come vita coniugale, non perde di valore nell’ipotesi non vi sia procreazione. In questo caso l’amore può essere donato attraverso l’istituto dell’adozione perché il rapporto che scaturisce fra l’adottato e l’adottante è così forte, intimo e duraturo da non essere inferiore a quello fondato sull’appartenenza biologica.
- Il ricorso all’aborto, la Chiesa lo definisce come “omicidio” che non può essere giustificato in nessun caso e da nessuna ragione, neanche se serve a salvare la vita della donna: la vita è un dono e come tale deve essere difeso.
La posizione ufficiale della Chiesa nel rapporto tra morale e bioetica è ben chiara nell’Enciclica Veritatis Splendor: “il rapporto tra fede e morale splende in tutto il suo fulgore nel rispetto incondizionato che si deve alle esigenze insopprimibili della dignità personale di ogni uomo, a quelle esigenze difese dalle norme morali che proibiscono senza eccezioni gli atti intrinsecamente cattivi. L’universalità e l’immutabilità della norma morale manifestano e, nello stesso tempo, si pongono a tutela della dignità personale, ossia dell’inviolabilità dell’uomo, sul cui volto brilla lo splendore di Dio. L’inaccettabilità delle teorie etiche teleologiche, consequenzialistiche e proporzionaliste, che negano l’esistenza di norme morali negative riguardanti comportamenti determinati e valide senza eccezioni, trova conferma particolarmente eloquente nel fatto del martirio cristiano, che ha sempre accompagnato e accompagna tuttora la vita della Chiesa”[10].
Ed ancora: “Di fronte alle norme morali che proibiscono il male intrinseco non ci sono privilegi né eccezioni per nessuno. (…) Così le norme morali, e in primo luogo quelle negative che proibiscono il male, manifestano il loro significato e la loro forza insieme personale e sociale: proteggendo l’inviolabile dignità personale di ogni uomo, esse servono alla conservazione stessa del tessuto sociale umano e al suo retto e fecondo sviluppo”[11].
Il massimo principio morale da rispettare secondo la Chiesa è quello di “non uccidere” che determina, di conseguenza, la condanna, senza appello, dell’aborto e dell’eutanasia: “la scelta deliberata di privare un essere umano innocente della sua vita è sempre cattiva dal punto di vista morale e non può mai essere lecita né come fine né come mezzo per un fine buono. È, infatti, grave disobbedienza alla legge morale, anzi a Dio stesso, autore e garante di essa; contraddice le fondamentali virtù della giustizia e della carità. Niente e nessuno può autorizzare l’uccisione di un essere umano innocente, feto o embrione che sia, bambino o adulto, vecchio, ammalato incurabile o agonizzate. Nessuno, inoltre, può richiedere questo gesto omicida per sé stesso o per un altro affidato alla sua responsabilità, né può acconsentirvi esplicitamente o implicitamente. Nessuna autorità può legittimamente imporlo né permetterlo”[12].
Le Leggi che non tutelano la vita umana, in qualsiasi momento, devono essere rifiutate e ostacolate da chiunque: “le leggi che autorizzano o favoriscono l’aborto e l’eutanasia, si pongono dunque radicalmente non solo contro il bene del singolo, ma anche contro il bene comune e pertanto sono del tutto prive di autentica validità giuridica. (…) Ne segue che, quando una legge civile legittima l’aborto o l’eutanasia cessa, per ciò stesso, di essere una vera legge civile, moralmente obbligante”[13].
Questi principi della Chiesa e della loro influenza sulle decisioni da parte di legislatori e politici italiani lo si è visto in occasione dell’approvazione delle leggi sul divorzio e sull’aborto, sulla procreazione assistita e sull’iter legislativo della proposta di legge sull’eutanasia.
Secondo la Chiesa la scienza e la tecnica devono rispettare i criteri fondamentali della morale cioè devono essere al servizio dell’uomo, dei suoi diritti inalienabili ma soprattutto secondo il progetto e la volontà di Dio.
CONCLUSIONI
La contrapposizione tra bioetica laica della qualità della vita e la bioetica cattolica della sacralità della vita ha portato ad un contrasto incolmabile tra le due etiche: “la contrapposizione tra bioetica cattolica e bioetica laica è stata sviluppata, in buona misura artificiosamente. E’ una polemica di alcuni centri e studiosi per contrapporre a una visione aperta e rispettosa delle scelte di tutti – quale sarebbe quella laica -, la visione cattolica indicata come chiusa e intollerante, inaccettabile in una società pluralistica ed eterogenea come la nostra. L’opposizione tra bioetica cattolica e bioetica laica è dunque fuorviante e fittizia”[14].
La contrapposizione tra bioetica cattolica e bioetica laica può essere ridotta con una elaborazione teorica che sia più vicina possibile alle molteplici realtà in cui viviamo, che tenga conto delle differenze reali che caratterizzano la società e che non si basi solo sulla volontà di voler imporre dei principi generali da far valere per tutti senza nessuna distinzione.
Solo un costante e reale confronto tra modelli di valori diversi potrà evitare le prevaricazioni di alcune correnti ideologiche sulle altre, in questo modo si consente di collocare nella giusta prospettiva i vari problemi che la scienza e la sanità devono affrontare al loro interno.
Bisogna lasciare più spazio possibile perché un individuo possa svilupparsi secondo le proprie personali aspirazioni, convinzioni e valori, ma anche con la consapevolezza e la necessità di porre dei limiti solo nel momento in cui ci sia la possibilità di procurare un danno ad altri.
Solo con il dialogo si può favorire un atteggiamento che tiene conto delle differenze e che non si nasconde dietro degli intenti e delle volontà inesistenti, il dialogo “contribuisce alla realizzazione personale e alla mutua fecondazione fra le tradizioni dell’umanità che non possono vivere più in stato di isolamento, separate tra loro da muri di diffidenza reciproca”[15].
Nuozzi Lorenzo
[1] P. Van Rensselaer, Bioethics, Bridge to the future, Englewood Cliffs, N.J. 1971.
[2] G. Fornero, Bioetica cattolica e bioetica laica, Mondadori, Milano, 2005, p. 71.
[3] G. Fornero – M. Mori, Laici e cattolici in bioetica storia e teoria a confronto, Edizione La Lettera, p. 101
[4]Benedetto XVI, Discorso ai giuristi italiani, 9 dicembre 2006.
[5] D. Neri, Filosofia morale. Manuale introduttivo, Guerrini Associati, Milano, 2003, p. 184.
[6] Manifesto di bioetica laica.
[7] Enciclica Evangelicum vitae. 25 marzo 1995, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano, 1995, p. 39.
[8] B. Magliona, Un percorso comune. Sacralità e qualità della vita umana nella riflessione bioetica, Giuffrè editore, Milano, 1996, pag. 52.
[9] Enciclica Evangelium Vitae, op. cit, p.34.
[10] Giovanni Paolo II, Enciclica Veritatis Splendor, 6 agosto 1993, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano, articolo 90.
[11] Ivi, articolo 97.
[12] Enciclica Evangelium Vitae, op cit, articolo 59.
[13] Ivi, articolo 72.
[14] E. Sgreccia, Manuale di bioetica, vol. I, Vita e pensiero, Milano, 1988, p. 68.
[15] R. Panikkar, Il dialogo intrareligioso, Cittadella Editrice, Assisi, 2001, p. 21.