La preghiera del Papa per il pentimento degli usurai

Attualità & Cronaca

Di

di Raffaele Vairo

La preghiera del Papa per invocare il pentimento degli usurai pronti ad approfittare dell’attuale crisi economica causata dall’epidemia.

Leggendo un articolo del Corriere della Sera del 24 aprile 2020 i miei ricordi sono volati indietro nel tempo e mi hanno portato alla memoria un poema goliardico di Gualtiero di Chatillon della fine del XII secolo. La lettura del poema è avvenuta nei mie anni di Liceo quando il docente di Italiano ci imponeva l’esame e il commento di opere oggi fuori moda. L’articolo del Corriere faceva riferimento alla messa celebrata, a Casa Santa Marta, da Papa Francesco, il quale, raccolto in preghiera, invocava l’intervento del Signore per indurre gli usurai al pentimento e alla conversione. La preghiera aveva anche lo scopo di liberare le famiglie, ridotte in miseria, dalla necessità di ricorrere a presti usurari. Non vi è dubbio che oggi, anche a causa del diffondersi del virus, molte persone, perso il lavoro, sono cadute in gravi difficoltà economiche con conseguente necessità di ricorrere a prestiti per soddisfare i bisogni primari delle proprie famiglie. Ad approfittare di queste situazioni normalmente sono organizzazioni che prestano denaro pretendendo tassi di interesse esorbitanti. Quando, ovviamente, le famiglie, private di ogni legittima prospettiva, non cadono nelle trappole della mafia.

Il Papa interpreta correttamente il suo apostolato e, spesso, proprio per questo, diviene oggetto di critiche, anche feroci, da parte di organizzazioni cattoliche facenti capo a movimenti internazionali ultra conservatori (rappresentati in Italia da personaggi privi di qualsiasi scrupolo) che ritengono e descrivono il Papa come un eretico di sinistra solo perché predica libertà, uguaglianza e solidarietà in favore dei meno fortunati e degli immigrati che considera, tutti, figli dello stesso Padre.

Ma torniamo all’usura.

L’usura nasce e si afferma in un preciso contesto giuridico legato all’affermarsi dell’economia monetaria. Dante colloca l’usura molto opportunamente tra i peccati di violenza. Tutta la società medievale affronta la questione con grande severità. Teologi e filosofi cristiani scrivono, ad uso dei confessori, trattati e summae al solo scopo di bollare gli usurai come peccatori incapaci di riscatto e, prigionieri delle loro ricchezze, di anelare alla vita eterna. Il Cristianesimo medioevale non ha mai avuto tentennamenti nella condanna dell’usura che viene dipinta come un mostro dalle molteplici facce, un’idra che può essere annientata solo da una fede molto profonda. E, si badi, il concetto di usura nel Medioevo è molto rigido: l’usura è la riscossione di un interesse, di qualsiasi interesse, da parte di chi presta denaro.

Dedicarsi ad un’attività finalizzata esclusivamente al guadagno, costi quel che costi, nella mentalità ecclesiastica del Medioevo, equivaleva ad escludere qualsiasi sentimento di solidarietà. Secondo il Salmo XIV (XV) sarà accolto nella tenda del Signore “chi presta denaro senza fare usura, e non accetta doni contro l’innocente”. Di conseguenza, il cristiano che anela alla vita eterna deve attenersi rigidamente all’insegnamento di Luca (Lc 6, 34-35): Mutuum date, nihil inde sperantes.

Nell concezione medievale l’offerta di doni alla Chiesa non purga l’usuraio dai suoi peccati dai quali si poteva essere liberati solo con la rinuncia ai beni terreni e con la scelta di una vita tutta da dedicare agli altri. L’usuraio è considerato come un leone predatore, in quanto riduce il malcapitato debitore alla disperazione pur di soddisfare la sua avidità senza limiti. Il suo destino non può essere che la morte eterna.

Certo, oggi il concetto ha subìto una certa evoluzione anche nella concezione cristiana che ammette l’interesse su prestito. Purché sia un interesse onesto, non esagerato, in modo che il debitore nel pagarlo non sia costretto a svenarsi. Altrimenti è una grave violenza, peggiore persino dell’assassinio, come ben dice Dante “… e perché l’usuriere altra via tene,/ per sé natura e la sua seguace/ dispregia, poi ch’in altro pon la spene” (Inferno, canto XI, vv 109-111).

La preghiera del Papa cade in piena crisi epidemica a tutela dei più deboli, possibili prede del feroce strozzinaggio degli usurai e di altre organizzazioni che operano contra legem.

 

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