Il Venezuela: l’occhio del “ciclone” coronavirus

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Nel Paese sudamericano gli effetti più nefasti della pandemia: il virus si diffonde e si confonde con la fame. Sistema sanitario smembrato, censura e controllo militare.

Il Venezuela si può considerare oggi al centro della tempesta perfetta. Il Covid-19 si è affacciato a Caracas nella situazione migliore per garantirsi la diffusione e la sopraffazione sui suoi abitanti. Chi resterà dopo la pandemia troverà il Paese ridotto allo stremo, pronto a essere svenduto al peggiore offerente.

Missioni Don Bosco ha lanciato fra i primi in Italia l’allarme già nel 2018: la nazione più promettente del Sud America, appoggiata su giacimenti di petrolio consistenti quanto quelli arabi, che gode di una natura favorevole per ogni coltivazione, che almeno nelle città garantiva uno standard da Paese sviluppato, si trova oggi chiusa in un cerchio mortale.

L’arrivo del COVID-19 potrebbe dare il colpo di grazia alla popolazione.

Emergenza sanitaria

La prevenzione minima contro l’epidemia è fatta di frequente lavaggio delle mani, di distanziamento fisico per tenere a bada il virus. La disponibilità di guanti per medici e infermieri copre il 25% del fabbisogno, quella delle mascherine il 60%, quanto risultava a fine 2019. La disponibilità di questi minimi dispositivi sanitari si è ulteriormente ridotta (e non possiamo meravigliarcene più di tanto, visto cosa è successo in Italia). Un ospedale su dieci in Venezuela registra grave carenza di sapone, ma il problema più grave è che con quel poco di sapone non si può fare molto se manca l’acqua corrente (nel 70% degli ospedali arriva due volte alla settimana), se l’energia elettrica per far funzionare gli impianti degli ospedali va e viene.

I dati che l’Organizzazione Mondiale della Sanità riesce a raccogliere dal Venezuela sono scarni e filtrati dal governo locale. Al momento in cui scriviamo si segnalano 256 casi di contagio e 9 decessi, ma la confinante Colombia – con la quale si può fare un paragone – denuncia per sé 3.792 casi e 179 decessi. Qualche dato sulla situazione sanitaria del Paese emergeva dal rapporto che i medici venezuelani raccoglievano sul campo e diffondevano da una piattaforma col consenso dall’Assemblea Nazionale (il Parlamento): ma la Organización Médicos por la Salud dopo il seyttyembnre 2019 non ha più pubblicato un suo dossier. A mettere il silenziatore devono essere state fatali le ultime dichiarazioni:

“Oggi, dal momento che non ci sono dati ufficiali sui problemi di salute in Venezuela, ENH (l’inchiesta negli ospedali realizzata dalla stessa Organizzazione) è diventata l’unica informazione reale e affidabile su questa crisi. Il nostro obiettivo è quello di essere la voce di migliaia di medici e pazienti in tutta la nazione, che oggi stanno subendo il peso di una crisi che sta causando più vite ogni giorno.”

Il “Programa Venezolano de Educación- Acción en Derechos Humanos”, un’organizzazione non governativa di Caracas che si occupa dei diritti umani, collegata alle rete mondiale Red-DESC, ha dichiarato il 31 marzo scorso che lo Stato “non sta rispettando una delle azioni raccomandate come di alta priorità dall’Organizzazione mondiale della sanità: migliorare i meccanismi di coordinamento dell’intera società per sostenere la risposta alla pandemia, che aumenta le attuali condizioni di rischio per la popolazione nel contesto dell’emergenza umanitaria più generale”.

Emergenza alimentare

La stessa Ong afferma che la situazione del Venezuela “rende drammatica qualsiasi misura di contenimento del contagio”. Secondo alcuni sondaggi, il 59% delle famiglie venezuelane non ha soldi abbastanza per mangiare decentemente e 2,3 milioni di persone non si nutre abbastanza.

Missioni Don Bosco ha raccolto gli ultimi dati sull’aumento dei prezzi nella capitale in queste settimane:

Stipendio minimo: 250.000 Bolivares Venezuelano, equivalenti a un euro (se mai si potesse fare una vera conversione)

Prezzi al consumo:

– farina di mais per fare le arepe, le tipiche focaccine, una delle cose che si mangiano di più (come il pane in  Italia)                                         

110.000 BV

– 15 uova                                                                                                                         300.000 BV

– 1 kg di pasta                                                                                                                 110.000 BV

– formaggio bianco                                                                                                       800.000 BV

– 1 kg di prosciutto                                                                                                   1.100.000 BV

– 1 kg di pomodori                                                                                                       250.000 BV

– 1 kg di carne                                                                                                                650.000 BV

– papaya, al kg                                                                                                                150.000 BV

– avocado, al kg                                                                                                                             500.000 BV

– 1 lt di alcool                                                                                                                 300.000 BV

– detersivi, a confezione                                                                                               100.000 BV

I prezzi salgono tutte le settimane e dipendono anche da dove si riesce a fare la spesa: per avere prezzi migliori bisognerebbe spostarsi verso i centri commerciali, ma non si può usare l’auto perché non c’è benzina.

Emergenza istituzionale

L’emergenza sanitaria ha smosso qualcosa sul piano finanziario: l’Organizzazione mondiale della Sanità ha inserito il Venezuela fra i beneficiari di risorse fresche per fronteggiare l’acquisto di mezzi per la sicurezza del personale medico e di test per il rilevamento del COVID-19.

La vicepresidente del Venezuela, Delcy Rodriguez, ha visto in questa decisione un occhio benevolo dell’Onu a fronte del perdurare dell’embargo degli Stati Uniti. Il Segretario generale Antonio Guterres in realtà ha affidato a un generale “Piano di risposta globale all’emergenza coronavirus” il senso di questa decisione: due miliardi di dollari da dividere con altri Stati che si trovano nelle condizioni peggiori al mondo. Essere classificati in tale gruppo non dovrebbe essere di per sé un motivo di vanto.

Come riferisce l’agenzia Nova, altri soccorsi sono già pervenuti a Caracas dagli amici russi, 10.000 apparecchi per la diagnosi dallo Stato e 100.000 test dal Servizio per la tutela del consumatore della Federazione, mentre da quelli cinesi, in attesa di un aereo carico di aiuti non meglio definiti, per ora uno scambio di informazioni e di esperienze. Qualche incertezza nell’invio di aiuti da altri Paesi deriva dall’interpretazione dei limiti dell’embargo: non a caso l’Alto rappresentante dell’Unione europea per la politica estera e di sicurezza, Josep Borrel, ha tenuto a precisare “che il commercio di beni umanitari non è colpito dalle sanzioni statunitensi”.

Finché non sarà sbloccata la situazione politica interna, il Venezuela non potrà sperare di incontrare porte aperte, soprattutto in tempi di ristrettezze e di nazionalismi. Il Fondo monetario internazionale giustifica la sua prudenza nell’accogliere richieste provenienti da Caracas in quanto non c’è unanimità di giudizio sul governo Maduro.

Se la pandemia può far allentare i cordoni stretti intorno al Paese, la caduta precipitosa del prezzo del petrolio sta ulteriormente indebolendo il valore di ciò che resta nella pancia del Venezuela. E toglie risorse non solo ai governanti ma anche agli oppositori: a stomaco vuoto e schiacciati dal timore del contagio, non si può verificare alcun coagulo della volontà popolare. Anzi, le misure di limitazione della libertà di movimento imposte dalla prevenzione del contagio sono una buona scusa per potenziare il controllo di polizia e di militari sul territorio, nelle città e nelle campagne. Pensare al futuro prossimo del Venezuela sembra essere sempre più vietato.

 

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