L’attacco di Trump alla Cina scuote Wall Street

Economia & Finanza

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Il presidente degli Stati Uniti accusa Pechino per il virus e minaccia nuove sanzioni. Torna la paura sui mercati, con forti ribassi a New York. L’Indice manifatturiero Ism crolla ai minimi dal 2009 e Moody’s rivede l’Outlook del Paese in negativo da stabile. In ‘rosso’ anche Londra, unica piazza europea aperta, -2,34%.

 
trump contro cina wall street

Un trader con una mascherina a Wall Street

Chiuse le piazze finanziarie del Vecchio Continente, affonda Wall Street dopo che il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha attaccato la Cina a causa della crisi del coronavirus, riportando a galla brutti ricordi di un dannoso stallo commerciale tra i due Paesi. A fine seduta l’indice Dow Jones perde il 2,5% a 23.723,69 punti, il Nasdaq cede il 3,2% a quota 8.604,95 mentre lo S&P 500 perde il 2,81% a 2.830,71 punti.

Gli investitori sono stati spaventati dai commenti di Trump, secondo i quali potrebbe varare nei confronti della Cina tariffe aggiuntive come ritorsione per la gestione della pandemia COVID-19. Trump sostiene inoltre di aver visto prove che collegavano un laboratorio di Wuhan al contagio.

Wall Street è stata ulteriormente messa alla prova dall’annuncio di Amazon che non realizzerà profitti nel secondo trimestre a causa del costo della protezione della salute dei suoi dipendenti e nonostante la crescita dell’e-commerce dovuta al lockdown. Anche il gigante tecnologico Apple, ha dipinto un quadro simile: ricavi in crescita ma utili comunque in calo.

Ad appesantire gli indici, last but not least, l’indice Ism manifatturiero ad aprile, e il taglio dell’outlook da parte di Moody’s: l’indice Ism e’ sceso a 41,5 il mese scorso da 49,1 a marzo. Si tratta del livello più basso dall’aprile 2009. Una lettura inferiore a 50 indica una contrazione nel settore manifatturiero, che rappresenta l’11% dell’economia statunitense. Gli economisti stimavano un calo a 36,9 in aprile.

Il calo è inferiore alle attese perché l’indice che misura le consegne dei fornitori e’ salita a 76,0 il mese scorso, da 65,0 a marzo. Un allungamento dei tempi di consegna dei fornitori è normalmente associato a una forte economia e a una maggiore domanda da parte dei clienti, il che sarebbe un contributo positivo. Ma in questo caso il rallentamento delle consegne dei fornitori indica una carenza di offerta legata alla pandemia di coronavirus e non una domanda più forte.

Ha influito, inoltre, seppur in misura inferiore la notizia che Moody’s ha tagliato l’outlook degli Stati Uniti, abbassandolo da stabile a negativo: secondo l’agenzia internazionale di rating, la recessione economica durerà anche oltre la riapertura dal lockdown mentre le entrate erariali non ricominceranno a crescere fino al 2022. È sceso anche il dollaro nei confronti dell’euro a causa delle preoccupazioni per la salute economica degli Stati Uniti e delle aspettative di un ulteriore allentamento monetario da parte della Fed.

Sembrava una giornata positiva per il petrolio ma non lo è stata: dopo un inizio seduta grintoso, grazie all’entrata in vigore dell’accordo tra paesi Opec e Opec + per ridurre la produzione globale e riequilibrare cosi’ il mercato, l’oro nero ha inverito la rotta e il Wti si è posizionato al di sotto dei 20 dollari al barile, trascinato in particolare dai dati di bilancio delle compagnie petrolifere americane Exxon e Chevron e soprattutto dalle prospettive scoraggianti dei prossimi mesi.

Il pessimismo non ha risparmiato nemmeno Londra, l’unica aperta in Europa: minato dalle novità che provengono da Ryanair che taglierà 3.000 posti di lavoro per “sopravvivere” alla crisi del trasporto aereo e influenzato anche da Amazon, oltre che dalle minacce di ritorsione di Trump nei confronti della Cina, l’indice Ftse 100 è sceso a fine seduta a 5.763,06 punti, con un calo del 2,34%.

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