Mozione di sfiducia. Alfonso Bonafede e l’insidia salviniana

Politica

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di Raffaele Vario

Tutta la destra (Lega, Fratelli d’Italia e Forza Italia) ha presentato al Senato una mozione di sfiducia nei confronti del Ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, motivata dalle seguenti accuse: 1) la scarcerazione dei boss mafiosi ristretti al 41 bis durante l’emergenza coronavirus; 2) le rivolte scoppiate nelle carceri a inizio febbraio; 3) le polemiche con il magistrato Nino Di Matteo sulla direzione del DAP (Dipartimento Amministrazione penitenziaria).

Ma veniamo ai fatti.

Durante la trasmissione televisiva “Non è l’Arena”, condotta dal giornalista Massimo Giletti, si discuteva con una certa animazione della scarcerazione di alcuni boss mafiosi ristretti al 41 bis. Per alcuni la pandemia, entrata anche nelle carceri italiane, giustificava i provvedimenti presi dalla magistratura di sorveglianza che destinava alcuni reclusi, boss mafiosi compresi, agli arresti domiciliari. I provvedimenti dei giudici di sorveglianza non sono stati commentati come tali, ma sono stati interpretati quale segno dell’inadeguatezza del Ministro Bonafede. Con l’intenzione di venire in soccorso del Ministro l’on. Giarrusso diceva di una trattativa tra Bonafede e Di Matteo finita senza esito o con un esito diverso.

Il dr. Di Matteo, ascoltate le dichiarazioni dell’on. Giarrusso, si metteva in contatto telefonico con Giletti e negava qualsiasi trattativa, spiegando che nel giugno 2018 sarebbe stato contattato dal Ministro che gli avrebbe offerto la direzione del DAP (Dipartimento Amministrazione Penitenziaria). Al fine di valutare la proposta avrebbe chiesto 48 ore di tempo per la risposta. Il ministro, senza attendere, avrebbe cambiato idea, affidando l’incarico ad altro magistrato. Di Matteo, sempre nella telefonata, avanzava il sospetto che la marcia indietro del Ministro sarebbe avvenuta per interferenze – dirette o indirette – della mafia che temeva una maggiore severità nell’uso del 41-bis.

Bonafede, in risposta a tutte le allusioni da parte di politici dell’opposizione e alle critiche di certa stampa che ritiene colpevole il Ministro “a prescindere”, il 14 maggio si è presentato alla Camera dei deputati per respingere tutte le accuse e per affermare la correttezza del suo operato. Ma soprattutto per ricordare che la Magistratura, ivi compresa quella di sorveglianza, è un potere autonomo e, quindi, sottratta ad ogni influenza, diretta o indiretta, da parte degli altri poteri costituzionali.

Le contraddizioni delle opposizioni, secondo Bonafede, appaiono chiare se solo si consideri che: a) Forza Italia prima si è schierata in favore di Di Matteo, il PM che ha indagato sulla trattativa Stato-mafia e su vicende che vedevano implicate personalità del suo partito; b) poi ha fatto marcia indietro evidenziando la scorrettezza del magistrato che ha usato una trasmissione televisiva per attaccare il Guardasigilli. Ma ancora più strumentali sono le accuse provenienti da Salvini, al tempo dei fatti Ministro degli Interni e vice Presidente del Consiglio dei Ministri, che ha scelto come suo consigliere Paolo Arata, noto per essere socio occulto di un noto imprenditore, Vito Nicastri, sospettato di finanziare la latitanza di Matteo Messina Denaro.

Quale la verità?

Il Ministro ha ora la possibilità di chiarire la sua posizione e allontanare il sospetto di essersi piegato alla mafia o di aver subito il veto dell’alleato di Governo. Ricordo che nel giugno del 2018 il Governo era retto dalla coalizione Lega-5 Stelle e il Ministro dell’Interno era capitan fracassa che esercitava grande influenza nell’azione del Governo. Dica la verità il Ministro e, subito dopo, rassegni le dimissioni senza attendere il voto del Senato. La mozione di sfiducia al Ministro della Giustizia è un ordigno pericoloso che potrebbe significare sfiducia all’Intero Governo. La verità potrebbe svelare il doppio gioco di Salvini e riconfermare a Bonafede la stima che ritiene di meritare. 

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