Bonafede, il Ministro che le opposizioni vorrebbero sfiduciare per provocare la caduta del Governo.

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Il 20 di maggio al Senato si svolgerà un rito che vedrà gli schieramenti politici in contrapposizione tra loro. L’occasione è offerta dalla mozione di sfiducia individuale presentata dal centro destra ricompattato dalle presunte colpe di Bonafede, Ministro Guardasigilli. Il dibattito si concluderà con un voto che, se dovesse prevalere la tesi dell’inadeguatezza del Ministro, potrebbe condurre diritto diritto alla crisi di Governo. Io non so se il Ministro si sia reso conto della gravità delle accuse dei promotori della mozione, ma resistendo non fa che renderli più aggressivi i promotori della mozione e indecisi alcuni senatori della maggioranza che non sono stati mai teneri nei suoi confronti. Certo è che i fatti a lui addebitati trovano fondati riscontri nei suoi atteggiamenti specialmente nei riguardi del dr. Di Matteo che, con un intervento, a mio avviso, irrituale nella trasmissione televisiva “Non è l’Arena”, ha insinuato che la scelta del direttore del DAP, da parte del Ministro, non sia stata autonoma ma condizionata da interventi diretti o indiretti di altre persone o organi.

Ma vediamo di capire qual è la natura della mozione di sfiducia.

Prima osservazione è che è il contrario della mozione di fiducia prevista dall’art. 94 della Costituzione. Come sappiamo, la nostra è una Repubblica parlamentare. La nomina del Governo, regolata dagli articoli 92 e seguenti della Costituzione, si consolida solo con il voto di fiducia delle Camere che viene accordata con mozione motivata e votata per appello nominale. La fiducia può essere revocata mediante presentazione di mozione di sfiducia firmata da almeno un decimo dei componenti della Camera e non può essere messa in discussione prima di tre giorni dalla sua presentazione.

A leggere le norme costituzionali viene il dubbio che la mozione di sfiducia non potrebbe riguardare il singolo Ministro. Nel passato, precisamente il 4 luglio del 1995, un altro Ministro, il dr. Filippo Mancuso, fu sottoposto, mediante mozione di sfiducia, al giudizio del Senato per un comportamento non ritenuto appropriato ma, anzi, confliggente “con il recupero della serenità istituzionale necessaria ad assicurare l’indipendente esercizio della funzione giudiziaria”. Il giudizio si concluse con l’approvazione della mozione di sfiducia avverso la quale il dr. Filippo Mancuso, Ministro di Grazia e Giustizia-Guardasigilli pro-tempore, propose giudizio per conflitto di attribuzione presso la Corte Costituzionale. Asseriva il Ministro che il Senato avrebbe dovuto rigettare la mozione, in quanto la Costituzione non prevede l’istituto della mozione di sfiducia individuale ma solo quella avverso l’intero governo. Rilevava che il rapporto fiduciario Camere-Governo nel suo complesso appariva “insuscettibile di essere parzializzato, e parzialmente revocato, a scapito della unitarietà delle funzioni del Governo stesso (art. 95 della Costituzione e art. 2 della legge n. 400 del 1988) e della sua collegialità”. Ergo, il singolo Ministro non potrebbe essere sfiduciato con una mozione che la Costituzione prevede per l’intero Governo e che potrebbe qualificarsi come un’indebita interferenza del Senato nell’attività amministrativa del Guardasigilli.

La Corte Costituzionale non accolse il ricorso del Ministro e stabilì la possibilità della proposizione della mozione di sfiducia individuale con la sentenza n. 7 del 1996.

Secondo la Corte il problema dell’ammissibilità, nell’ordinamento costituzionale italiano, dell’istituto della sfiducia individuale, quale responsabilità dei singoli Ministri, era stato posto già dalla “Commissione dei settantacinque all’Assemblea costituente e considerato possibile nei confronti del “primo ministro e ministri”. Solo in seguito fu adottata la formula più sintetica “il Governo”.

La Corte precisava: “Nella interpretazione della Costituzione, occorre privilegiare l’argomento logico-sistematico: si tratta, allora, di accertare se la sfiducia individuale, benchè non contemplata espressamente, possa, tuttavia, reputarsi elemento intrinseco al disegno tracciato negli artt. 92, 94 e 95 della Costituzione, suscettibile di essere esplicitato in relazione alle esigenze poste dallo sviluppo storico del governo parlamentare”.

Concludeva, quindi, con l’ammissibilità della sfiducia individuale giustificandola con la previsione di cui al secondo comma dell’art. 95, che “conferisce sostanza alla responsabilità politica dei ministri, nella duplice veste di componenti della compagine governativa da un canto e di vertici dei rispettivi dicasteri dall’altro”. Ne consegue che la Costituzione prevede, secondo la Corte, sia la responsabilità collegiale che quella individuale.

Nello specifico si tratta di mozione di sfiducia nei confronti di un Ministro molto importante per le funzioni che gli sono attribuite, per cui, ove la sfiducia individuale fosse dichiarata, il rischio che corre il Governo nella sua interezza sarebbe enorme. L’unico modo per scongiurare una crisi di Governo in questo momento così delicato per l’emergenza pandemica sarebbero le dimissioni del Ministro prima che la questione sia posta ai voti.

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