Ulisse di Joyce, dopo 60 anni arriva la traduzione ‘definitiva’

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La Nave di Teseo pubblica il capolavoro dello scrittore irlandese affidando la traduzione allo scrittore e poeta Mario Biondi che ha lavorato al testo a partire dagli anni ’70 facendo riferimento all’edizione inglese degli Oxford World Classics del 1922

‘Ulisse’ di James Joyce traduzione di Mario Biondi (La Nave di Teseo – 2020)

​Torna oggi in libreria, a 60 anni da quando uscì in Italia la prima traduzione (di Giulio de Angelis con la consulenza di Glauco Cambon, Carlo Izzo e Giorgio Melchiori per la Mondadori), ‘Ulisse’ di James Joyce pubblicato da La Nave di Teseo (pag. 1056, euro 25,00). Una versione ‘nuova’ tradotta da Mario Biondi che fa riferimento all’edizione inglese degli Oxford World Classics del 1922. Nel suo lavoro ha poi utilizzato, per incrociare le ricerche, il testo elettronico pubblico realizzato dal Project Gutenberg aggiornato al 30 ottobre 2018 che si basa sulle prime edizioni del libro (1922-1923), tenendo sempre come riferimento per risolvere i dubbi l’edizione Odissey degli anni Trenta, ritenuta la più attendibile fra quelle pubblicate quando Joyce era ancora in vita.

Uno dei romanzi più importanti del Novecento

Testo difficilissimo, originale, rivoluzionario nella forma, nello stile e nella struttura, ‘Ulisse’ è considerato uno dei romanzi più importanti del Novecento, una delle pietre miliari nella genesi del romanzo moderno. Caratteristica che rende quest’opera così unica è, oltre allo stile narrativo che varia su tutti i registri, una tecnica di scrittura denominata ‘monologo interiore’ che descrive il flusso di coscienza in cui i pensieri del protagonista scorrono in assoluta libertà, e finiscono su carta senza punteggiatura, per definire l’intricato procedimento cognitivo che è alla base dei processi mentali dell’io narrante. 

Mario Biondi: progetto nato negli anni ’70

Mario Biondi, poeta, scrittore (con ‘Gli occhi di una donna‘ ha vinto il Campiello nel 1985) e uno dei nostri più apprezzati traduttori dall’inglese, racconta nella prefazione che il suo “progetto di tradurre l’Ulisse, avventurosamente e presuntuosamente avviato agli inizi degli anni Settanta, si era dovuto arenare al primo centinaio di pagine o giù di lì. Anzitutto, per campare dovevo tradurre quello che mi commissionavano gli editori, ma soprattutto l’Ulisse era troppo difficile. Dopo aver ripreso più volte in mano il progetto negli anni Ottanta e Novanta, nel Duemila avanzato – aggiunge – essendomi lasciato 71 traduzioni e con esse ‘un grande avvenire dietro le spalle’ (come dice il turpe Lenehan all’Episodio 7 del libro, ndr), ho creduto di potermi finalmente sentire adeguato al compito, quindi eccolo qui. È un testo di grandissimo fascino, in larga misura anche proprio per le sue oscurità volute o indotte, i suoi giochi di parole, le sue onomaturgie”, ovvero invenzioni di parole nuove.

Quattro traduzioni italiane prima di quella di Biondi

A 80 anni, dopo aver ha tradotto numerosi autori di lingua inglese, tra cui Bernard Malamud, John Updike, Edith Wharton, Anne Tyler, Irvine Welsh e i premi Nobel Isaac B. Singer, William Golding e Wole Soyinka, Mario Biondi firma oggi una nuova traduzione, un volume di oltre mille pagine edito da La nave di Teseo che sembra destinato a mandare per sempre in soffitta la storica edizione di Giulio De Angelis del 1960, ma anche quelle più recenti di Enrico Terrinoni con Carlo Bigazzi del 2012 (Newton Compton) e Gianni Celati del 2013 (Einaudi). Per non parlare, ovviamente, della traduzione del 1995 firmata dall’allora 25enne Bona Flecchia (Shakespeare & Company) che ha avuto vita brevissima, per questioni di diritti (la Mondadori li ha ‘persi’ per 15 giorni, e questo è stato il tempo di ‘vita editoriale’ del libro pubblicato dalla casa editrice toscana).

Uso delle virgolette e i ‘portali di scoperta’

Per la sua traduzione dell’Ulisse, Biondi si rifà alle indicazioni dello stesso Joyce per quanto riguarda i dialoghi, inserendo però una variante interpretativa utile alla comprensione: per contrassegnare i suoi dialoghi lo scrittore irlandese si serviva della linea lunga ‘-‘ mentre il traduttore utilizza i sergenti <<>> di cui Joyce non fa cenno, mentre è noto che esecrava le virgolette. Come spiega Biondi, all’autore dell’Ulisse “non importava niente che i dialoghi complessi potessero risultare oscuri per il lettore, anzi: più oscurità c’era, più – secondo lui – si introducevano possibili ‘portali di scoperta’. E come tali arrivava persino ad accogliere in qualche caso gli errori dei tipografi, senza correggerli e ridendone beato; in altri casi, però, poteva essere maniacale nelle sue correzioni. Comunque sia: una cosa è l’oscurità dell’autore, voluta o imposta dalla furia creativa (e come tale subita? Chissà…), una del tutto diversa è quella del traduttore, che potrebbe ingenerare il dubbio: ha voluto rispettare l’oscurità dell’autore o non ha capito bene? Meglio, secondo me, cercare di evitarla”, dice ancora Biondi.    

Poi aggiunge: “Come traduttore ho il dovere di offrire un testo chiaro, dimostrando di averlo capito al meglio”. E conclude, citando lo stesso Joyce: “È del tutto possibile che qualche errore mi sia scappato. Prego il lettore di perdonarmi e di ricordarsi che, gli ‘errori sono […] i portali della scoperta’… O magari, semplicemente, interpretazioni personali dell’autore-traduttore”. 

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