Il Dante di Raffaello tra il velo e la Commedia nel canto delle Rime

Arte, Cultura & Società

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Dalla prospettiva alle innovazioni tra due anniversari

Di Pierfranco Bruni

La “Velata” di Raffaello, questa donna misteriosa, affascinante, la troviamo nella poesia di Dante Alighieri. Anzi, Dante propone a Raffaello, in termini allegorici e metafisici, il racconto di una Beatrice velata.

Dal Dolce stil novo al Rinascimento, il passaggio diventa onda in un attraversamento in cui la cultura dell’Umanesimo è marcata dal ritmo delle rime di Poliziano e soprattutto in questo contesto, che va dalla fine del 1200 fino al 1500, il rapporto tra pittura e poesia diventa fondamentale. Diventa fondamentale perché all’interno di questa temperie si incontrano due modelli di civiltà, che è quella persiana, quindi orientale (di un certo Oriente) e la cultura profondamente occidentale. O meglio, la cultura che ha nel suo insieme una sacralità pagana e un modello sacro-teologico. Perché, se in Dante c‘è questa visione di un Oriente persiano, in Raffaello c’è il recupero di una teologia che supera l’immaginario stesso dell’Oriente, anche se i colori in Raffaello restano profondamente marcati all’interno di un percorso onirico che è quello degli Orienti.

Perché sostengo questo? Perché lavorare su Raffaello significa lavorare su una metafisica dello spazio che diventa metafisica del colore e il colore ha in sé questa dimensione che ci porta ai colori degli Orienti che hanno dato un segno marcato all’interno delle civiltà, perché le civiltà del Mediterraneo vivono all’interno di un modello di atmosfere in cui il senso della dimensione è sì la dimensione panica ma è anche una dimensione patica, in cui il pathos unisce il sogno e la memoria della realtà.

Io parlo di memoria della realtà e la donna diventa un punto nevralgico.

Dalla donna stilnovista, completamente velata, si passa alla velata di Raffaello. Una donna che ha in sé l’erosione del mascheramento, quindi è la trasparenza in cui l’eros prende il sopravvento. In Dante è l’eleganza dello stile che diventa dolce, ovvero dolcezza. In Raffaello è la sensualità che attraversa queste trasparenze. Ma tra Dante e Raffaello avevamo avuto sul piano poetico due grandi rappresentanti di queste trasformazioni, ovvero la trasparenza dell’acqua di Petrarca, ma soprattutto la sensualità trasparente della Fiammetta di Boccaccio. In Raffaello si mettono insieme Laura e Fiammetta con un occhio fisso a Beatrice.

Leggo:

“Chi guarderà già mai sanza paura
ne li occhi d’esta bella pargoletta,
che m’hanno concio sì, che non s’aspetta
4per me se non la morte, che m’è dura?

Vedete quanto è forte mia ventura,
che fu tra l’altre la mia vita eletta
per dare essemplo altrui, ch’uom non si metta
8in rischio di mirar la sua figura.

Destinata mi fu questa finita
da ch’un uom convenia esser disfatto,
11perch’altri fosse di pericol tratto;

e però, lasso!, fu’ io così ratto
in trarre a me ’l contrario de la vita,
14come vertù di stella margherita” (LXXXIX).

Quattro versi tratti dalle Rime di Dante. In questi versi la descrizione (perché potremmo parlare di “descrizione”) si identifica nella donna raffaellita, ma in quella donna che non è più “ la Velata ” ma è la Fornarina. Quindi entriamo in un contesto in cui la visione diventa giammai senza paura perché già dentro questa dimensione che è la dimensione della prospettiva della parola che diventa prospettiva dello sguardo.

E su questo argomento credo che partendo dalla prospettiva dell’oriente si è soffermata la filosofa Maria Zambrano nel suo libro Dante specchio umano. Perché “specchio umano”? Perché la Zambrano va con la parola nel pensiero o con il pensiero che ascolta il paradosso stesso in un confronto in cui il senso della follia in fondo diventa romanticismo della parola. In questo libro Maria Zambrano fa un confronto, al di là della questione esoterica e il suo dibattere con René Guénon, fa un confronto importante con Dulcinea , Beatrice e Dulcinea del Cervantes, quindi il don Chisciotte con la Divina Commedia o meglio il Don Chisciotte con le Rime, la Vita Nova e la Divina Commedia.

Qui si apre un grande capitolo di natura mitico-simbolica in cui la favola dovrebbe essere al centro di questa situazione. Zambrano dirà, parafrasando questo legame tra Beatrice e Dulcinea, ma si potrebbe anche inserire la Velata di Raffaello, e questa comparazione infatti fa dire alla Zambrano: “è una situazione da favola, da mito, archetipica”.

La Zambrano usa tre concetti, parlando di Dante e Cervantes, e io aggiungo, inserendo all’interno di questa temperie letteraria e artistica, anche il Raffaello delle madonne che diventano donne o delle donne che diventano madonne. Penso alla Madonna della seggiola, in questo caso specifico. Quindi Zambrano pone lo sguardo sul concetto di favola.

In fondo la Divina Commedia nasce all’interno di una lettura precisa che è quella ovidiana delle Metamorfosi. E qui c’è il mito ma ci sono gli archetipi che vengono recuperati da Cervantes. La bellezza è la ricerca della identità. Allora le rime, l’amore e la sensualità diventano un vero e proprio viaggio per capire lo specchio dell’anima e interiorizzare questa grande metafora che esula dalla maschera per diventare sempre più specchio.

Un altro tema interessante, che credo possa riguardare questo argomentare, sia dato dal concetto di chiarore o di tenebra. Ed è una visione platonica quella dell’anima mundi, perché in questa anima del mondo la Divina Commedia assume la visione epistemologica che supera l’aspetto teologico. Maria Zambrano sottolinea con forza questo aspetto: il mondo terreno e il mondo celestiale, la grazia è luce, la pesantezza che diventa buio. Metafore che pongono l’attenzione su un grande tema: quello del pellegrinaggio. Raffaello in Dante aveva visto questo pellegrinaggio, il pellegrino che cerca l’amore, ovvero il pellegrino che diventa l’esilio e in questo abitare l’esilio, come dice Maria Zambrano, c’è il senso dell’esistere.

Due esiliati: Dante e Zambrano.

La Zambrano dirà: “Si tratta di un viaggio senza ritorno?”. Questo è l’interrogativo. Siamo alla soglia decisiva per definire il percorso che ha compiuto Dante e che ha vissuto Raffaello raffigurando le sue madonne-donne o le sue donne-madonne. Una trasfigurazione importante perché non sappiamo fin dove arriva la femminilità o la grazia della Madonna e dove arriva, o da dove parte, il senso ancestrale della sensualità della donna nella visione onirica della Madonna.

La Zambrano , che sottolinea questo aspetto, esperta anche di arte, che è l’arte senza luce che penetra il buio per ritrovare la luce, la soglia decisiva è quella di ritrovare il pensiero del ritorno. Metafore, bisogna trovare il pensiero del ritorno anche nella donna. “Si tratta di un viaggio senza ritorno? Senza ritorno anche quando non si tema di dover rimanere lì, in quel luogo”.

Quel luogo. Il luogo che diventa nostos per eccellenza e Dante nelle sue Rime dirà:

“De gli occhi di quella gentil mia dama
esce una vertù d’amor si pina
ch’ogni persona che la ve’ s’inchina
a veder lei, e mai altro non brama.
Beltà e Cortesia sua dea la chiama,
e fanno ben, ché l’è cosa si fina
ch’ella non par umana, anti divina,
e sempre sempre monta la sua fama.
Chi l’ama come pò esser contento
guardando le vertù che ‘n lei son tante!
E s’ tu mi dici: «come ‘l sai?», che ‘l sento.
Ma se tu mi dimandi e dici: «Quante?»,
non ti so dire, ché non son pur cento,
anti più d’infinite ed altrettante” (XXIV).

Metafora del riposo. Metafora della pausa. Metafora del silenzio. Perché questa beltà, questo sentire il senso della divinità che diventa l’anti-divinità, perché in Dante, superando Beatrice, non c’è più la profonda religiosità teologica ma c’è il divino. E il divino non è solo il sacro. Il divino sono gli dei che vivono all’interno di questo concetto che è il concetto di mito. Profondamente dentro il mito.

Dante, specchio umano di Maria Zambrano, sottolinea questo recupero del pellegrino che supera il mondo islamico per essere punto di riferimento del mito. Ma sul mito giocherà la sua partita importante proprio Raffaello.

Quel Raffaello che crea l’immaginario profondo, reale, rappresentativo che è la Scuola di Atene. La Scuola di Atene di Raffaello è la grecità profonda che incontra la latinità e che pone insieme Dante con il mondo di Dulcinea. A questo mondo farà riferimento l’isola delle parole che si specchiano nell’anima di Maria Zambrano.

Tre elementi, tre personaggi in cui la poesia diventa filosofia, ma la filosofia con la Scuola di Atene diventa il marchio dell’arte. L’arte come filosofia e quindi come poesia. Dante e Raffaello anticipano lo stile e la modernità. La dolcezza e il mistero tra letteratura e arte.

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pierfranco bruni
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15:03 (1 ora fa)
a direttore


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