Vita e morte di un aeroporto, nelle mani delle low cost

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Alitalia lascia l’aeroporto di Trapani Birgi, che in questi anni aveva puntato sulle low cost. Una scelta “temporanea” secondo il governo, ma la Sicilia protesta

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© Davide Grotta / AGF  – L’aeroporto civile di Trapani Birgi

Quello di Birgi è un case study di aeroporti che hanno affidato la propria vita alle low cost. La crisi di queste ultime e i tagli delle rotte di Alitalia e rischiano di portare alla chiusura dell’aeroporto di Trapani. I vertici dell’Airgest, la società di gestione dello scalo, la considerano una “vendetta” per le denunce fatte nei giorni scorsi contro gli aiuti alla compagnia di bandiera. Come emerge anche da un’inchiesta della Procura di Trapani, da sempre però il nome dello scalo è stato legato a quello delle compagnie low cost, che in questi mesi hanno fatto schizzare in alto i prezzi dei biglietti. 

All’indomani della scelta di Alitalia, i sindacati e le forze politiche hanno denunciato di temere l’isolamento della Sicilia, ma la scelta della compagnia di bandiera è soltanto l’ultimo dei tasselli di un momento delicato. La lenta ripresa dal lockdown ha portato a una riduzione del 70% delle sue rotte, fiaccando ulteriormente lo scalo di Birgi gestito dall’Airgest, società interamente partecipata dalla Regione siciliana. Alcuni biglietti erano perfino stati messi in vendita, ma Alitalia dice di aver registrato una diminuzione del 60% rispetto allo scorso anno.

“Senza le low cost non c’è futuro per nessuno, il Governo corregga la rotta”, aveva detto nei giorni scorsi il presidente di Airgest, Salvatore Ombra, (storico manager dell’azienda, tornato alla guida nell’agosto 2019) nel corso della presentazione delle rotte della stagione estiva. “Non voglio pensare che sia una vendetta – ha detto Ombra, dopo il taglio delle rotte di Alitalia – ma la tempistica è sospetta ed è fuori da ogni logica. La compagnia Alitalia così ampiamente sostenuta dallo Stato non può, riteniamo, abbandonare senza conseguenze un aeroporto e il suo territorio”.

Le proteste dell’isola

La scelta, sebbene il governo Conte l’abbia definita “temporanea”, ha scosso l’intero territorio e certamente andrà chiarita anche nelle sue forme contrattuali. Per anni Airgest è stata legata con Ryanair da un accordo di co-marketing, basato sui contributi erogati dai comuni che speravano in un ritorno in termini di presenze turistiche sul territorio. Poi fu pubblicato un bando, ma il Tar di Palermo nel febbraio 2018 lo annullò, su ricorso di Alitalia, che lo definì “tagliato su misura” per Ryanair.

Nel frattempo Ombra è uno dei quindici indagati in un processo in corso davanti al gup di Trapani, in cui i pm chiedono il rinvio a giudizio per peculato e malversazione di fondi pubblici, riferiti al co-marketing che ha permesso la permanenza della Ryanair tra i vettori operanti nella base aerea di Birgi. Secondo la procura “a fronte di costanti perdite d’esercizio subite, capitalizzavano detti costi (riferiti al co-marketing, ndr) tra le immobilizzazioni immateriali alla voce “costi di ricerca, sviluppo e pubblicità”. In questa maniera la società “concorreva a determinare il risultato di esercizio per la sola quota del 20% annuo anziché per l’intero”.

Poi c’è il mancato versamento della tassa addizionale comunale, un’imposta riferita “ai diritti d’imbarco dei passeggeri degli aeromobili” che avrebbe “generato improprie disponibilità finanziarie all’Airgest per sopperire alle difficoltà strutturali della società stessa”. Ma a margine dell’inchiesta, i pm hanno acquisito anche delle consulenze che – analizzando i bilanci della società – hanno registrato “cronica carenza di liquidità” e “una gestione economica dipendente” dagli accordi con Ryanair, oltre che “consistenti immissioni di capitale di provenienza pubblica”, cioè della Regione Siciliana.

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