La lettera conservata in un libro

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«Anch’io nel bar sotto casa trovo una Elisabetta cassiera, bravissima cassiera. Al posto della tua Valentina c’era fino a qualche mese fa Alice, ma con l’arrivo del corona-virus ha perso il posto di lavoro. Da molti mesi volevo scriverti, ma mi pareva che, non avendo per così dire la “dimensione” di Augias, la cosa …,  ma insomma alla fine oggi mi sono autorizzato. Pur non conoscendoti ti invidio un po’ e per l’affettuosità un po’ intrigante con cui entrambe si rapportano e ti accolgono e per la carineria con cui hai descritto, con poche righe, ma efficacissime, il tuo stare ed essere ad una età… A proposito di quel libro di Norberto Bobbio io lo comprai, forse, oltre quindici anni fa e da oltre quindici anni lo tengo sul mio comodino. E quando la notte mi sveglio, tutte le notti immancabilmente, lo apro più o meno a caso e leggo e rileggo quelle righe e mi commuovo, ma anche mi incoraggio, poiché ha il potere di annientare la mia solitudine. I temi che affronta sono aspri, ma il suo dire è vero, profondo, intelligente. Si, vivo prevalentemente da solo, scendo anch’io al bar ogni mattina, scambio qualche battuta, non ho più amici, abito di fronte al mare di Pegli: il mare di giorno e il De Senectute di notte sono le mie risorse. Grazie per avermi letto, mi accorgo ora che ti ho dato del tu: me ne scuso, ma spero che lo potrai accettare. Non sono solito prendere queste iniziative, ma le tue dieci righe mi sono giunte come una poesia, non esagero: e grazie. Buone cose. Buona fortuna».

Sono alcune righe di un signore sconosciuto, Norberto Fucini, che oggi mi scrive da Genova, riguardo ad una mia lettera di ben cinque anni fa. La pubblicò Corrado Augias, citando nella risposta un passo del libro De Senectute di Norberto Bobbio. Il signor Fucini ritagliò la lettera e la conservò per l’appunto in quel volume che tiene sul comodino. Piacere per me ed un po’ di malinconia ad un tempo, come allora quando scrissi quelle righe. Le riporto qui di seguito. Augias intitolò:  “I richiami irresistibili di un bar pasticceria”. «Essendo da tempo in pensione, potrei fare comodamente lo spuntino di metà mattinata a casa, ma nel quartiere dove abito a Roma c’è un bar pasticceria dal quale vengono richiami irresistibili, e così un paio di volte la settimana accontento la gola. E poi c’è Elisabetta, la cassiera, tanto carina, e c’è Valentina, la barista, pure tanto carina. Elisabetta, la cassiera,  non è come Valentina la barista. Elisabetta non mi dice: “Ciao caro, che cosa prendi caro, ecco caro”, mentre io continuo a dirle: “Buongiorno Valentina”, e non le ho mai detto cara.  Lei mi chiama sempre caro e la cosa mi fa sempre piacere.  Elisabetta  no, non mi considera un caro nonno. Elisabetta mi considera un rispettabile cliente, e non mi dice caro. Mi saluta, mi chiama signore, e mi chiede: “Come sta?”. Io le rispondo che sto bene e lei mi risponde che le fa piacere. E sorride ogni volta che le faccio un complimento e mi dice: “Grazie, lei è troppo buono”. Una volta mi ha anche detto: “Signore, la bellezza esteriore svanisce e non ti rimane niente se non c’è la bellezza interiore”. Valentina non fa discorsi. Insomma sono diverse Elisabetta la cassiera e Valentina la barista. Assocerei Valentina ad un cornetto squisito alla crema, e Elisabetta, così signorile, aristocratica, ad un dolcissimo montblanc. Mancanza di rispetto per le donne? Assocerò il sottoscritto a uno di quei biscotti secchi con sopra un velo di glassa, appena un po’ stantii. Brioches e paste profumate non solo mi chiamano caro, ma mi dicono anche mangiami mangiami. Elisabetta mi chiama signore, Valentina mi dice caro, nessuna delle due dice mangiami mangiami.  E il vecchio signore, mentre gusta leccornie,  è preso da lieve malinconia» (La Repubblica 6 maggio 2015).

Renato Pierri

 

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