di Marco Castelli
L’ingiustificabile tragedia di Elena e Diego, i due bambini gemelli uccisi dal padre la scorsa settimana, sembra avere fornito nuova linfa ad una surreale guerra tra sessi, ad uno scontro femmine contro maschi come quello che a volte si fa alla scuola elementare. Pare che Mario Bressi, il padre dei due gemelli, abbia accusato la madre di avere distrutto la famiglia; sarebbe giunto ad uccidere i propri figli, oltre che se stesso, scrivendo sui social “con i miei ragazzi…sempre insieme”.
Gli immancabili commentatori, i tuttologi del web e gli haters non hanno ignorato un episodio così doloroso. Sui social si legge di tutto e, in questo caso, c’è chi parla dell’annosa tematica separazioni/affido dei figli, chi della violenza maschile come male da estirpare (come se la violenza femminile non esistesse), chi addirittura scrive su Facebook: “la violenza ha un genere ben specifico, quello maschile, e che attraverso di essa costoro (ri) affermano il loro potere”. Qualcun altro scrive, sempre su Facebook: “…un vero padre è disposto a fare un passo indietro per il bene e la serenità dei propri figli anche se sta soffrendo per la separazione. Quest’uomo, come tutti i padri che lottano per avere i figli ad ogni costo, … , non sono padri, ma uomini egoisti che non sanno cosa vuol dire amare”. Francamente, si ritiene impossibile pensare che la separazione dei genitori possa costituire per i figli il distacco da uno dei genitori. Si ritiene impossibile pensare che uno dei due genitori, anche in caso di separazione, debba fare alcun passo indietro rispetto al suo ruolo genitoriale. Eppure c’è chi sembra affermare proprio questo.
Insomma, la tragedia dei due bambini uccisi sembrerebbe avere scatenato la guerra tra sessi o, meglio, quella di qualche fanatico/a contro tutti i papà. Sembrerebbe che qualcuno stia strumentalizzando questa tragedia per far credere che tutti i papà sono pericolosi, che i figli andrebbero tenuti distanti da loro e che solo le madri sarebbero in grado di accudirli. Insomma, si torna alla solita questione dell’affido condiviso e di una legge (la 54/2006) che stabilisce: “Anche in caso di separazione personale dei genitori il figlio minore ha il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno di essi”. Sì, la legge stabilisce questo ma la realtà sembra essere ben diversa. Nella stragrande maggioranza dei casi i figli minori vengono “collocati” presso un solo genitore (di solito la madre), come se fossero dei pacchi postali, e con l’altro (di solito con il padre) riescono a stare insieme solo per poche ore a settimana.
Una legge, la 54/2006, che più parti definiscono tradita e disattesa, una legge che avrebbe dovuto segnare il cambio di passo rispetto al vecchio affido esclusivo ma che, invece, sembra essersi rivelata inadeguata. Inadeguata perché le sentenze di affidamento dei figli sembrano essere tutte uguali le une alle altre, sembrano confermare (con parole diverse) il vecchio affido esclusivo, quasi sempre a favore della madre. Altro che bigenitorialità, altro che rapporto equilibrato e continuativo.
Una legge che, unita alla prassi giurisprudenziale consolidatasi dal 2006 ad oggi, sembra non avere cambiato affatto la sostanza.
Questa situazione, secondo più parti, favorirebbe la conflittualità tra i genitori e, spesso, anche solo quella di un solo genitore nei confronti dell’altro. Questa situazione sembra portare enormi vantaggi economici (e non solo), sì, ma a chi?
Chi ha interesse a portare una separazione in Tribunale, ad intraprendere una causa lunga e costosa (magari pagata dallo Stato, in caso di gratuito patrocinio) anziché gestire la questione tramite un accordo? Chi ha interesse ad ostacolare la mediazione o la conciliazione, a fare ricorso al Giudice anche per piccole cose? Chi ha interesse a sporgere le ben conosciute denunce penali contestualmente alla richiesta di separazione, pur sapendo che quelle denunce verranno probabilmente archiviate?
Il dolore per una separazione può essere elaborato e la ferita di un trauma può diventare cicatrice. Sempre che non ci si imbatta in qualcuno interessato a trasformare il dolore in odio.