Una passeggiata nella riserva naturale “Tevere-Farfa”

Attualità & Cronaca

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 di: Giovanni  Pipi

A bordo di un battello sulla sponda del Tevere sottostante il grazioso paesino di Nazzano Romano inizia, risalendo la corrente, il gradevole tragitto sul Biondo Tevere.

L’antico idronimo del fiume era Albula, in riferimento al colore chiaro delle sue acque bionde, ma va ricordato anche il nome di Rumor, di origine etrusca, da molti collegato al nome di Roma.

La sorgente del fiume Tevere si trova sulle pendici del Monte Fumaiolo a 1268 m s.l.m e le sue acque dopo aver scorso per oltre 400 km, si gettano nel mar Tirreno.

La passeggiata fluviale nella riserva naturale “Tevere-Farfa” nel suo lento scorrere presenterà una serie di piccole ma piacevoli sorprese.

Prima inaspettata è quella che la riserva è nata grazie all’opera dell’uomo.

Ebbene si, sia chiaro senza volerlo. Fra le due guerre è stato studiato e poi portato a termine dopo la seconda guerra, un sistema di sbarramenti, per frazionare il percorso del fiume in varie grosse “vasche”, questo per evitare che il fiume possa esondare a Roma,

In previsione di un ondata di piena, vengono svuotate le singole “vasche” secondo necessità, ciò per poter poi assorbire in modo adeguato la successiva ed effettiva piena.

In questo tratto, circa 40 km, a nord lo sbarramento sotto Orte e a valle la diga di Meana, il Tevere si è innalzato e rallentato notevolmente la sua “corrente”, allagando le sponde circostanti rendendole paludose, fatto che ha permesso la crescita del canneto, isolotti e canneto si sono formati alla confluenza del torrente Farfa che avviene a ridosso della diga di Meana.

Il Tevere è un importante via di transito per i flussi migratori, i quali risalgono il fiume fino alle sue origini per poi proseguire il viaggio verso il nord Europa.

Trovando un ambiente ideale dove poter nidificare, abbondanza di cibo e la temperatura permette loro di rimanere per l’intero anno, sono aumentate le specie stanziali, aumentando la biodiversità del luogo, inizialmente è stata inserite nell’elenco delle zone umide d’importanza internazionale tutelate dalla “convenzione di Ramsar”.

Successivamente, nel 1979 è stata dichiarata “riserva regionale”, la prima del Lazio, e fra le prime d’Italia.

Grazie a periodici controlli, l’acqua risulta poco inquinata, non essendoci in questo tratto scarichi industriali e i comuni che si susseguono in questo tratto hanno il depuratore.

Il poco inquinamento dà la possibilità all’Iris di fiume o “giaggiolo” di attecchire e fiorire.

Il giaggiolo è una pianta bioindicatrice, che conferma, laddove fosse necessario, la buona salute dell’acqua, oltre tutto il suo rizoma insieme a quello delle canne palustri, filtra e ossigena ulteriormente l’acqua.

In riserva è permessa la pesca, 4 giorni a settimana, necessita la licenza di pesca e un permesso che viene rilasciato dai bar della zona. C’è l’ordinanza di “no-kill” eccetto per il pesce siluro. Il suddetto pesce è predatore, è facilmente comprensibile quanto possa essere dannoso per la fauna ittica preesistente, a farne le spese sono: carpe, lucci, cavedani ed alborelle.

In questo tratto il fiume presenta una profondità che varia fra gli 8 e i 12 metri, fino a metà degli anni sessanta veniva dragato, gli operatori, essendo pagati a cottimo hanno esagerato nel loro lavoro, creando un danno al letto del fiume, nei momenti di piena poi, è ben differente la forza impattante di un muro d’acqua alto 8-12 metri contro i 5-6 originali.

Altresì non necessita di alcun permesso la frequentazione del fiume in canoa, barca a remi e a motore elettrico da 5 cv.

Proseguendo nella navigazione, si passa sotto “ripa bianca”, uno spaccato geologico della media valle del Tevere. E’ una parete di roccia arenaria, sabbie cementatesi fra loro con l’azione del mare, li studiosi analizzando i vari strati delle rocce e i fossili trovati in esse, sono potuti risalire che circa un milione di anni addietro la zona era coperta dal mare, le successive spinte del continente africano hanno innalzato il nostro appennino, il mare ritirandosi ha dato la possibilità al fiume di scavare il suo letto.

Ed ecco un’altra piccola sorpresa, a parte l’aspetto geologico, la parete è importante perché su di essa nidifica il falco pellegrino, che da diversi anni ha stabilito il suo nido su questa rupe.

Oltre al falco, la parete è un luogo ideale per la nidificazione del gruccione, uccellino migratore proveniente dal Madagascar nel periodo estivo.

Oltre agli esempi riportati, l’avifauna comprende un’ampia varietà di stanziali e migratori.

La riserva non è un bioparco, con un pizzico di fortuna si possono osservare ardeidi, il martin pescatore, famigliole di anatre, germani reali, gallinelle e folaghe.

La flora varia in relazione della distanza dall’acqua, lungo la riva si possono osservare numerosi pioppi, salici di fiume e ontani, alberi che l’uomo ha saputo sfruttare le loro singole proprietà.

Dal salice di fiume, fin dai tempi dei romani si era capito che la sua corteccia aveva delle proprietà benefiche, infatti si ricava il principio base dell’aspirina, l’acido acetilsalicilico.

Purtroppo la riserva è insidiata dal cinghiale, l’esemplare attuale proviene dal nord ed est Europa, importato per motivi venatori , prolifica fra i 7 e i 9 piccoli l’anno. Il cinghiale nuota, quindi insidia tutte quelle specie avicole che nidificano nel canneto, riducendone la popolazione.  Piccolo vantaggio è che il cinghiale ha ridotto anche la popolazione del castorino sudamericano o nutria la cui tana indebolisce la sponda, che in caso di abbassamento di livello o di aumento di corrente frana.

Il fiume in questo tratto, ha avuto una duplice importanza, commerciale, siamo in un punto che è equidistante tra Roma, Viterbo, Rieti e Terni, circa 40 km, anticamente veniva risalito da chiatte trainate da buoi, per venire a prelevare merci provenienti dalla bassa Toscana, Umbria ed Abruzzi.

Una notevole importanza militare, essendo il fiume stesso punto di riferimento per raggiungere Roma.

I castelli lungo il suo percorso erano punti di avvistamento militare collegati fra loro. Il castello di Nazzano che domina le sottostanti anse, non è visitabile, i solai sono crollati, era tenuto da una potente famiglia romana legata al papato, i Savelli, a seguito di controversie con la chiesa, è stato gestito dall’ordine di San Paolo, ora è privato.

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