“Il divieto di discriminazioni arbitrarie e la tutela della maternità e dell’infanzia, salvaguardati dalla Costituzione italiana (artt. 3, primo comma, e 31 Cost.), devono […] essere interpretati anche alla luce delle indicazioni vincolanti offerte dal diritto dell’Unione europea (ex artt. 11 e 117, primo comma, Cost.). Sulla portata e sulla latitudine di tali garanzie, che si riverberano sul costante evolvere dei precetti costituzionali, in un rapporto di mutua implicazione e di feconda integrazione, si concentrano le questioni pregiudiziali che in questa sede si ritiene di sottoporre al vaglio della Corte di giustizia.”

E’ quanto si legge nell’ordinanza n. 182 del 30 luglio scorso (testo in calce), con cui la Corte Costituzionale demanda alla Corte di Giustizia Europea di chiarire se la normativa italiana in tema di riconoscimento di assegni di natalità e maternità agli stranieri non comunitari sia compatibile con il diritto dell’unione.  

La questione di legittimità costituzionale

La pronuncia trae origine dalla questione di legittimità costituzionale sollevata dalla Corte di Cassazione (ordinanze del 17 giugno 2019, numeri 175, da 177 a 182 e da 188 a 190).

Gli Ermellini riferivano del possibile contrasto dell’art. 1, comma 125, della L. 23 dicembre 2014, n. 190 (c.d. “legge di stabilità 2015”) e dell’art. 74 del D.lgs. 26 marzo 2001, n. 151 (T.U. in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità) con gli artt. 331 e 117 primo comma della Costituzione, quest’ultimo in relazione agli artt. 20, 21, 24, 33 e 34 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (CDFUE).

Le disposizioni nazionali citate subordinano infatti l’erogazione dell’assegno di natalità e maternità agli stranieri al possesso del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo.

Una normativa che, secondo i giudici di legittimità violerebbe gli articoli 3 e 31 della Costituzione ma anche la parità di trattamento tra cittadini europei e cittadini di Paesi terzi (quanto alle prestazioni familiari e di maternità), enunciata dalla direttiva n. 2011/98 UE, in armonia con il riconoscimento del diritto alle prestazioni di sicurezza sociale sancito dall’articolo 34 della Carta dei diritti fondamentali UE.

Il rinvio pregiudiziale in un’ottica di leale collaborazione tra le Corti

Alla Consulta è chiesto quindi di valutare se subordinare l’erogazione degli assegni alla permanenza quinquennale nel territorio dello Stato e al possesso di un reddito adeguato e di un alloggio, integri o meno un’ingiustificata discriminazione degli stranieri legalmente residenti in Italia, che versano in condizioni di più grave bisogno.

Dopo aver disposto la riunione dei giudizi, la Consulta invoca l’art. 267 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea (TFUE) e rimette la questione, in via pregiudiziale, alla Corte di Giustizia UE, affinchè chiarisca l’esatta interpretazione delle disposizioni rilevanti del diritto dell’Unione che incidono sul diritto nazionale.

Il rinvio pregiudiziale, osserva la Corte Costituzionale, si inserisce “in un quadro di costruttiva e leale cooperazione fra i diversi sistemi di garanzia, nel quale le Corti costituzionali sono chiamate a valorizzare il dialogo con la Corte di giustizia […], affinché sia assicurata la massima salvaguardia dei diritti a livello sistemico (art. 53 della CDFUE) (sentenza n. 269 del 2017, punto 5.2. del Considerato in diritto).”

L’intervento richiesto alla Corte di Giustizia è altresì funzionale alla garanzia di interpretazione uniforme dei diritti ed obblighi derivanti dal diritto dell’Unione.

Il “dialogo” tra le Corti

Dalla sede della Consulta, la questione si sposta quindi, almeno temporaneamente, presso la Corte di Lussemburgo, cui è chiesto di chiarire se la citata normativa italiana in tema di assegni di natalità e maternità sia o meno compatibile con l’articolo 34 della CDFUE (che prevede il diritto alle prestazioni di sicurezza sociale) e con l’articolo 12, paragrafo 1, lettera e) della direttiva 2011/98/UE, sulla parità di trattamento tra cittadini di Paesi terzi e cittadini degli Stati membri.

Secondo una nota della Consulta “il divieto di discriminazioni arbitrarie e la tutela della maternità e dell’infanzia, salvaguardati dalla Costituzione italiana (artt. 3, primo comma, e 31 Cost.), devono essere interpretati anche alla luce delle indicazioni vincolanti offerte dal diritto dell’Unione europea.”

Questo perché le tutele riconosciute dalla Costituzione e dal diritto UE – prosegue la nota – sono tra loro complementari, proprio perchè legate da un nesso di mutua implicazione e di feconda integrazione.

Conclusioni

In attesa della pronuncia della Corte di Lussemburgo, tutti i giudizi restano sospesi.

Nel quesito preliminare la Consulta sottolinea tuttavia la finalità premiale dell’assegno di natalità, cui si affianca una funzione di sostegno per le famiglie che versano in condizioni economiche precarie.

Ciò consentirebbe di qualificare l’assegno come “prestazione familiare”, secondo il diritto dell’Unione, con conseguente applicazione del principio di parità di trattamento.

Quanto all’assegno di maternità, la Consulta si chiede se debba essere incluso nella garanzia dell’art. 34 CDFUE, letto alla luce del diritto secondario.

Un diritto volto a garantire a tutti i cittadini di Paesi terzi, che soggiornano e lavorano regolarmente negli Stati membri, “uno stesso insieme comune di diritti, basato sulla parità di trattamento con i cittadini dello Stato membro”, che come tale vincola lo Stato ospitante al raggiungimento di quest’obiettivo.

CORTE COSTITUZIONALE, ORDINANZA N. 182/2020>> SCARICA IL TESTO IN PDF