“Cosa ho fatto perché mi abbandonassero…”

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Abbandono dei minori

Cosa ho fatto perché mi abbandonassero?

Il numero dei neonati non riconosciuti alla nascita dalla madre si è ridotto negli ultimi dieci anni. Si è passati dai 410 del 2004 ai 278 del 2014, con un calo di oltre il 30%. Anche il numero delle mamme teen è in diminuzione, tanto che nel 2015 i nati da madri minorenni erano 1.739, a fronte delle 1.981 dell’anno precedente.

Ma le statistiche inerenti all’abbandono di minore evidenziano una problematica comune nel nostro Paese che si diffonde anche nelle famiglie divorziate. Ma cos’è l’ “abbandono”?

Ne ha parlato l’avvocato Monica Caruso nel suo elaborato intitolato “Il sentimento della famiglia ed il sentimento dell’infanzia per contrastare il fenomeno dell’abbandono”.

                   Avv. Monica Caruso

I bisogni del bambino

L’elaborato si apre così “I bisogni del bambino è un’espressione molto comune, seguita quasi sempre da una serie di desideri-proposte come ad esempio: – al bambino, innanzitutto deve essere permesso di essere bambino – o – bisogna proteggere la fanciullezza- e così via. Ma mi domando, quanto questi bisogni sono reali e quanto sono fondati nella cultura? L’infanzia è sicuramente una situazione molto complessa ed è difficile affrontarla solo con il buon senso o con strumenti improvvisati. Il bambino è diverso da noi, né il fatto di essere bambini può da solo aiutarci a comprendere l’infanzia. Piuttosto l’infanzia così diversa dall’età adulta, così faticosa ad allevare,eppure così importante, si presta bene ad essere un luogo di contraddizioni. Particolare rilievo ha infatti i cd. ‘Sentimento della famiglia e il Sentimento dell’infanzia’, in relazione tra loro. Infatti, notiamo come la storia dell’infanzia ci ha mostrato grandi trasformazioni del sentimento verso il minore, ma dobbiamo dire purtroppo che la permanenza tutt’oggi di forme di segregazione dell’infanzia, ci fanno pensare che efficaci tentativi di costruire la storia della famiglia e del bambino sono ancora insufficienti. La valutazione dei bisogni dell’essere umano durante la sua crescita è un problema così ampio e complesso che impone a noi tutti operatori della giustizia minorile una precisa e tranquilla consapevolezza. Conoscere i bisogni del minore e poterli soddisfare è a mio avviso una delle più belle sfide che un avvocato e un magistrato possono realizzare. Con questi brevi concetti, intendo ora introdurre l’ottica non solo sistematica ma anche psicologica del tema in discussione.”

Il concetto di abbandono

“Uno degli aspetti al centro del dibattito pubblico riguarda proprio al concetto di abbandono” esordisce l’avvocato. “ Negli ultimi anni  si è diffusa una concezione non limitata ad una vera e propria derelictio da parte dei genitore o ad una prolungata ed ingiustificata istituzionalizzazione, ma riscontrabile anche quando si verifichi da parte dei genitori di organizzare la propria vita disinteressandosi dei figli ed una continua delega delle proprie funzioni a terzi”.

 

L’avvocato Caruso ha inoltre nel elaborato aggiunto “Ritengo però, che il problema dell’abbandono abbia bisogno di un ulteriore approfondimento sotto un duplice profilo e cioè sotto quello dell’identificazione delle diverse situazioni di abbandono , nonché sotto quello degli interventi per ovviare all’abbandono, con riferimento alle cause che possono dare origine.”

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Le diverse situazioni di abbandono

 

“L’abbandono non può ravvisarsi soltanto nelle situazioni in cui il bambino soffra di gravi e stabili deprivazioni materiali e morali che si ritiene si verifichino a livello esclusivo delle famiglie emarginate. Soprattutto se si riguarda non solo ai bisogni primari del bambino ma al vasto campo dei suoi bisogni affettivi ed educativi. L’abbandono, insomma, potrà ravvisarsi anche in tutte quelle situazioni nelle quali non si sia instaurato tra adulti e minore un rapporto vitale tale da consentire al minore una sua evoluzione psico-fisica ed un corretto sviluppo della sua personalità” prosegue l’avvocato Caruso.

 

Ma non è finita qui, di fatti : “ Può ritenersi che sussista abbandono sul piano dell’obbligo all’educazione pure gravante sui genitori. Non solo quando la presenza di costoro non dia al proprio figlio alcun aggancio per un’identificazione o peggio ancora ne offra uno negativo (nel caso dei genitori appartenenti alla subcultura delinquenziale). Ma anche nei casi in cui il comportamento di un genitore sia di dimissione, di delega, di rinuncia. Ma anche nel caso di una strumentalizzazione del figlio in relazione ad un contesto esistente tra gli adulti”. Con questa ultima frase l’avvocato Monica Caruso si riferisce all’alienazione parentale . Si tratta di un disturbo che insorge normalmente nel contesto delle controversie per la custodia dei figli, definito in tre gradi, in ordine crescente di influenza, ciascuno da trattare con uno specifico approccio sia psicologico sia legale. Essa sarebbe frutto di una supposta «programmazione» dei figli da parte di un genitore patologico (genitore cosiddetto «alienante»), sorta di lavaggio del cervello che porterebbe i figli a perdere il contatto con la realtà degli affetti, e a esibire astio e disprezzo ingiustificato e continuo verso l’altro genitore (genitore cosiddetto «alienato»).

 

Infine, l’avvocato aggiunge “Ad abbandono non si può dare un significato fenomenologico  ma deve essere visto come un indice per la valutazione di un rischio per la personalità del minore che non esiterei a definire psicopatologico.”

 

Quali sono allora le soluzioni?

 

“Non è pensabile allora un intervento diretto capace di individuare questo fattore di rischio così grave in senso prognostico” prosegue l’avvocato Caruso. “ E’ pensabile un intervento preventivo capace di individuare in via indiretta una condizione di abbandono e la misura di rischio ad essa collegato. A ciò possono servire i nidi, i servizi sociali sul territorio, i quali possono e devono rappresentare un ambito per l’analisi dei bisogni di una comunità e dei suoi componenti e per l’individuazione di situazioni subdole di abbandono”.

 

L’abbandono da un punto di vista psicologico

 

Queste definizioni però, lasciano fuori la sfera psicologica e relazionale vero fulcro della questione. L’avvocato Monica Caruso ha anche spiegato questo aspetto dell’abbandono esprimendosi in questi termini: “La nozione di abbandono è ambivalente: essa comporta due soggetti, uno che abbandona ed uno che viene abbandonato. Questi due soggetti costituiscono due variabili  che coesistono e vanno inserite nella realtà dialetticamente e non in modo statico. Il senso di abbandono è estremamente soggettivo e sovente il bambino supplisce alle carenze di stimoli e di affetti, popolando il suo piccolo mondo interiore di fantasmi”.

 

“Il bambino ha bisogno per la sua sopravvivenza psichica di sentire e considerare buone le decisioni, le emozioni, i sentimenti dell’adulto, per poterlo continuamente considerare un punto d’appoggio: deve poter controllare la realtà per non poterla sentire  solo minacciosa ed inadeguata ai suoi bisogni primari ed affettivi”. 

 

Insomma, come dice l’avvocato Caruso, molte persone abbandonate prima ed adottate poi manifestano ancora l’abbandono subito. Non c’è guarigione per questa ferita e non c’è risposta alla domanda “ma perchè? Che cosa ho fatto perché mi abbandonassero?”

 

Nel suo elaborato dedicato all’abbandono conclude così: “Mi riferisco all’attenzione dei servizi sociali e dei colleghi, i quali ascoltano punti di vista diversi, riflessioni sulle problematiche, sulle urgenze, sulle complessità delle situazioni: un lavoro in equipe ben fatto nella quale sia inserito un operatore giudiziario, il Giudice, dall’inizio alla fine della trattazione; tutto ciò non può che giovare a tutti. Mi sembra un impegno proporzionato a quella difficile funzione umana che costituisce l’attendere adeguatamente alla cura ed alla crescita delle generazioni successive”.

Un “compromesso” che possa garantire il diritto universale di ogni singolo essere umano: quello di ricevere l’amore. Perché solo ricevendo e donando amore possiamo migliorare la comunità dandole rispetto e civiltà.

 

Gabriele Proto

 

 

 

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