Quando uno studente del quinto anno, che si appresta ad iscriversi alla facoltà di giurisprudenza, mi chiede cos’è in definitiva il diritto, mi viene naturale rifugiarmi in una definizione antica: e’ una scienza umana, quindi inesatta come l’uomo, imperfetta come ognuno di noi.
Più difficile e’ spiegare a quegli occhi che ti scrutano avidi che vuol dire scienza inesatta.
“Scienza”, “inesatta”: riflettiamo su queste due parole, che rivelano l’essenza della galassia giuridica.
Dunque scienza, ma inesatta; inesatta, ma pur sempre scienza.
“Inesatta” perché bisogna rifuggire le sirene del dogmatismo di chi pretende di avere in tasca la verità oggettiva e assoluta, basata su premesse inoppugnabili e conclusioni indiscutibili: il diritto e’ disciplina umanistica, viaggio dell’uomo nell’uomo, esperienza antropologica, faticosa ricerca delle risposte migliori alle domande della vita.
“Scienza” perché occorre guardarsi anche dalla tentazione del “nichilismo” e del “relativismo” secondo cui tutte le verità soggettive sono uguali, identicamente giuste e sbagliate, trionfo dell’imperfezione e della debolezza umana: l’uso corretto e rigoroso della logica e dell’interpretazione ci consente di arrivare, attraverso il serrato confronto argomentativo tra tesi e antitesi, alla soluzione più convincente e più persuasiva.
Per questo e’ bello insegnare il diritto: l’aula non può essere luogo di unilaterale trasmissione di nozioni e informazioni, ma comparazione dialettica tra le idee del docente e quelle dell’allievo: arricchimento reciproco, scoperta entusiasmante, divertimento intellettuale che ci consentirà di scoprire, insieme, la magia del diritto.
Evelyn Zappimbulso