Mercoledì 14 ottobre, il Presidente Xi Jinping ha tenuto un discorso a Shenzhen per commemorare i 40 anni dell’apertura della prima Zona Economica Speciale (ZES). Il discorso richiama diversi momenti del quasi miracoloso percorso di sviluppo economico cinese che ha portato la Repubblica popolare da una condizione di arretratezza a quella di (quasi) primato economico mondiale.
Shenzhen è il simbolo più evidente di questa transizione perché, fino a 40 anni fa, era solo una cittadina di circa 60.000 abitanti posta sul confine con Hong Kong. L’apertura della ZES poco più di un anno dopo il lancio della politica di apertura e riforme da parte di Deng Xiaoping – che nel dicembre 1978 pose così fine, gradualmente, alla fase di economia pianificata che aveva caratterizzato gli anni di Mao – innescò un meccanismo di attrazione di capitali e persone che permise alla città di distinguersi oggi come metropoli da 13 milioni di abitanti e come avamposto tecnologico mondiale.
Deng Xiaoping e l’innovazione sono gli elementi che emergono di più da questa narrazione. Sul primo bisogna richiamare il fatto che quando si è trattato, due anni fa, di celebrare i 40 anni dell’apertura al mercato l’attenzione degli osservatori occidentali si era rivolta, tra le altre cose, a un dipinto che richiamava la genesi della ZES a Shenzhen: Deng e altri leader seduti ad ascoltare un dirigente del Partito che presentava il progetto. Il dirigente si chiamava Xi Zhongxun ed era il padre di Xi Jinping.
Tuttavia, nel discorso di mercoledì, lo Xi di oggi non ha fatto alcun richiamo alla figura del padre, se non in forma molto sfumata. Il dipinto – realizzato per l’occasione – era salito alle cronache a pochi mesi dalla conclusione del percorso di centralizzazione del potere che tra 2017 e 2018 aveva portato Xi Jinping a inserire il proprio nome nello Statuto del Partito con una formulazione paragonabile solo a quella dedicata a Mao e ad eliminare il limite costituzionale dei due mandati presidenziali, aprendosi la strada per un eventuale mantenimento della carica senza fine. L’idea che era passata allora era che Xi volesse riscrivere la storia in proprio favore, ma oggi la stessa carta non è stata giocata.
La “lettura delle foglie di tè” restituisce, allora, diversi interrogativi sullo stato del Partito, alla vigilia del Quinto Plenum del Comitato Centrale – in sessione dal 26 al 29 ottobre – che delineerà le linee guida del Quattordicesimo piano quinquennale 2021-2025. Il dilemma di fondo è se Xi questa volta non abbia voluto spingere sul lato della personalizzazione perché non ne ha più bisogno – in quanto già forte – o perché ha preferito non “stuzzicare” l’élite del Partito già colpita negli anni dalla campagna anti-corruzione e da crescenti ostacoli esteri – come ad esempio la limitazione dei visti per gli studenti che vogliono andare negli Stati Uniti, una consuetudine per i figli della dirigenza comunista – emersi come diretta conseguenza della accresciuta postura internazionale cinese promossa da Xi.
Se la risposta è difficile da trovare, perlomeno l’interrogativo serve a evidenziare quella che è sostanzialmente la maggiore linea di (potenziale) frattura politica in Cina, ovvero il rapporto tra leader centrale e élite. La realtà è che Xi Jinping al momento appare molto solido, nonostante il fatto che il suo più stretto alleato, il vice presidente Wang Qishan, sia stato “sfiorato” dalla campagna anti-corruzione, un’interpretazione che deriva dall’incriminazione di figure vicine all’ex sindaco di Pechino. Inoltre, una visita del “paramount leader” cinese – appellativo attribuito negli anni a Mao, Deng, Jiang Zemin, Hu Jintao e Xi – nel Guangdong (la Provincia in cui si trova Shenzhen) non può che richiamare un altro avvenimento storico legato a Deng Xiaoping.
Nell’estate del 1992 il “Piccolo timoniere” – come viene chiamato il successore di Mao – organizzò un celebre “viaggio al Sud”, negli stessi luoghi battuti oggi da Xi, per rilanciare le riforme economiche che si erano bloccate a cavallo dei fatti di Tiananmen. Di conseguenza, il “viaggio al Sud” di Xi viene interpretato come un possibile segnale di apertura alle riforme economiche vista anche la coincidenza con la discussione sul Quattordicesimo piano quinquennale. In realtà, l’accostamento può sembrare quasi un clichè, visto che anche una visita di Xi nel 2012 era stata letta come foriera di riforme economiche poi non avvenute. Tuttavia, sebbene il rischio di sovra -interpretazioni di questo viaggio di Xi sia ben presente, l’importanza del viaggio stesso è evidente, a partire dal secondo elemento citato in precedenza: l’innovazione. Questo aspetto è legato alla storia di Shenzhen che è oggi la sede di alcune delle più importanti aziende tecnologiche del mondo – quali Huawei e Zte, ma non solo – che figurano nei primissimi posti delle classifiche dei brevetti internazionali.
Il viaggio di Xi a Shenzhen, dunque, rappresenta la volontà di riaffermare propositi di riforma e apertura che, nelle parole di Xi, “in nessun modo saranno fermati dalle maree e dalle tendenze che cambiano direzione”. Il riferimento è al contesto internazionale che, su spinta statunitense, è sempre più ostile nei confronti della Cina. Oggetto delle riforme sarà però una ribadita attenzione alla crescita tecnologica, anche per ridurre la dipendenza strategica nei confronti dei componenti hi-tech stranieri, soprattutto nel settore dei semiconduttori. Proprio nei giorni della visita nel Guangdong, Xi ha nuovamente fatto riferimento al concetto maoista di “zili gengsheng” (tradotto sulla stampa anglosassone come “self-reliance”), ovvero, in termini molto semplificati, una sostanziale condizione autarchica nei settori tecnologicamente strategici. Questo non vuole però dire che ci sarà una chiusura ai prodotti stranieri, quanto piuttosto una volontà di rendersi indipendenti negli ambiti di maggiore esposizione.
Questi concetti sono espressi nella cosiddetta “strategia della doppia circolazione” presentata in maggio per enfatizzare l’esigenza di concentrarsi sulla dimensione interna dell’economia riducendo la dipendenza da quella esterna. Il viaggio a Shenzhen, dunque, è servito a riaffermare il proposito di mantenere alta la narrazione delle riforme economiche – eredità del periodo di Deng – inserendola, allo stesso tempo in un contesto “strategico” di eco maoista. È con questo spirito che verranno probabilmente condotti i lavori del Quinto plenum e che caratterizzerà il prossimo piano quinquennale in approvazione.