Stress e Pandemia

Ambiente, Natura & Salute

Di

Incontri al confine di contatto

Dott.Gianfranco Peragine

Le recenti notizie di cronaca riportano dati scoraggianti. Il Coronavirus (Sars Cov-2) occupa, con grande prepotenza, tutte le testate giornalistiche e le edizioni dei Tg, la medesima prepotenza con cui dilaga implacabile tra la popolazione mondiale mietendo centinaia di vittime giornaliere e migliaia di contagiati, senza distinzione di età o sesso. È facile pensare come l’eco di tali informazioni possa risuonare, a lungo andare, emozioni profonde e oscure nella gente. Prima su tutte la paura . Sebbene gli esseri umani si sforzino costantemente di essere razionali, affidandosi alla logica, essi, in realtà, sono profondamente psico-logici. È inevitabile, quindi, che le emozioni giochino un ruolo fondamentale nella loro quotidianità. La situazione pandemica attuale ha sicuramente gettato un’ombra oscura nella vita di ciascuno sconquassando il regolare scorrere e la quasi prevedibilità di una vita umana. Catapultati, da un giorno all’altro, in uno scenario di elevato rischio di contagio virale e per un così prolungato periodo di tempo, il cervello dell’essere umano è letteralmente andato in confusione. Una delle reazioni più tipiche in questi casi è sperimentare paura, quell’emozione sovrana e nodale per la nostra difesa e sopravvivenza, emozione ancestrale tanto quanto l’uomo che, sin dai tempi dei trogloditi, ci consente di metterci in salvo dai pericoli. Ben venga, dunque, percepire paura, perché ciò ci attiva. Una limitata dose di paura e allerta sono, dunque, necessarie, anzi centrali per potersi attivare senza perdere lucidità. Il problema sorge quando la paura diventa eccessiva. Rischiamo, infatti, di implementare comportamenti impulsivi, frenetici e irrazionali che, se avevano un senso nell’era preistorica, ora rischiano di essere controproducenti. È facile passare dalla paura al panico o all’ ansia generalizzata , per cui un pericolo circoscritto di contagio viene generalizzato avvertendo ogni situazione come rischiosa ed allarmante. Dall’altro lato, la paura estrema e non controllata, in alcuni soggetti, si evolve in chiave ipocondriaca , intesa come eccessiva preoccupazione per il proprio stato di salute che porta a percepire ogni minimo sintomo come un segnale inequivocabile di infezione da nuovo Coronavirus . Attuando uno zoom focale su quello che è il vissuto soggettivo del singolo individuo a livello della dimensione sociale, emergono altri scenari strettamente connessi ai rapporti interpersonali che tale virus sembra aver stravolto. Mi piace definire il Covid come il virus della distanza in un mondo interconnesso. È lampante notare come esso abbia allungato e dilatato le distanze personali tra la gente, violentando gli usuali spazi interpersonali pregni e variegati di contatti corporei. La prossemica è stata completamente rivoluzionata ed adeguata alla situazione. La distanza “intima” adesso si è estesa al metro e più di distanza. Niente strette di mani. Niente abbracci. Niente baci. La paura di un contagio è troppo elevata. La volontà di salvaguardare la propria vita e quella dei propri cari supera il desiderio del contatto reciproco. Le uniche connessioni rimaste sono quelle virtuali, quelle assicurate dai social network, spazi asettici, siderali e glaciali dove non cresce niente e tramite cui affacciarsi all’altro, al Tu rimpolpando, così, la distanza fisica che il Covid ha imposto come norma vigente. Il Coronavirus ci sta lasciando soli, amplifica la nostra solitudine, la medesima solitudine che attraversano i malati di Covid nei reparti o in quarantena a casa. Occhi che guardano a distanza altri occhi, senza la possibilità di una calda carezza, di un abbraccio, di un conforto che vada oltre il suono della voce. È il sentirsi soli in mezzo agli altri, isolati da un muro fantasma spesso un metro. È un muro che contemporaneamente divide e protegge gli uni dagli altri. È un muro le cui fondamenta sono costituite da paure: la paura del contagio; la paura di perdere il proprio posto di lavoro; i timori di non farcela.

Mi rendo conto che è difficile riuscire a gestire la paura di un possibile contagio o, nel caso di positività, riuscire a restare lucidi senza farsi travolgere da allarmismi estremi. Le notizie riportate in tv sono drammatiche: cifre esponenziali di contagi, ospedali al collasso e immagini di persone intubate non fanno altro che ampliare e ingigantire i mostri della paura dentro ciascuno di noi. Come è possibile gestire tali mostri? Dobbiamo pensare che il limite fra una funzionale attivazione (il così detto eustress o stress positivo) e un eccesso di allerta con comportamenti poco lucidi e controproducenti ( distress o stress negativo) è sottile. Una strategia d’intervento può essere quella di sostituire alla parola/concetto “pre-occupazione”, che designa appunto un’occupazione anticipata o precedente al problema, portando con sé uno stato d’animo di apprensione e attuando comportamenti irrazionali e controproducenti, la parola/concetto “occupazione” che consente, al contrario, di sintonizzarsi con il presente davanti a sé. E, dunque, ciò che ognuno di noi dovrebbe chiedersi ogni giorno è: sto anche oggi, in questo momento, seguendo le indicazioni che mi hanno suggerito? … lavarsi le mani frequentemente, non toccare bocca e occhi prima di essermi igienizzato, rispettare la quarantena, evitare posti affollati, mantenere la distanza di un metro dal prossimo? ecc. Se il Covid ci allontana fisicamente gli uni dagli altri, la lotta contro esso ci deve veder globalmente uniti.

Dott. Peragine Gianfranco

(Foto copertina IGV.it)

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