L’Iliade in milanese, l’impresa di due pensionati già traduttori dell’Odissea

Arte, Cultura & Società

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Due ottantenni, Walter Moneta e Claudio Brambilla, hanno tradotto in dialetto gli oltre 15mila versi dell’opera

 
Iliade tradotta milanese pensionati

Walter Moneta

 

 

 Prima l’Odissea, poi l’Iliade: tradurre in milanese i poemi omerici dal primo all’ultimo verso era il sogno di Walter Moneta e Claudio Brambilla, pensionati di Milano che hanno dedicato alla poderosa opera quattro anni della loro vita. Dopo aver dato alle stampe, nel 2018, il poema ‘più giovane’, quello del ‘nostos’ (ritorno) di Ulisse, si sono imbarcati nell’epica e più oscura storia della guerra di Troia. E – pur non avendo alle spalle studi classici – ce l’hanno fatta.

E’ stata così pubblicata ‘l’Iliade in milanes’, uscita di recente per l’editrice ‘Il mio libro’ in 447 ‘comode’ pagine, rigorosamente in versi, e con tanto di glossario finale.

La prima parte dell’impresa, quella dell’Odissea, era stata raccontata all’AGI dagli autori già due anni fa in occasione di una ristampa. Ma i due anziani hanno optato per il bis, dedicandosi, nel tempo trascorso, ai 15.696 versi di battaglie e assedi che compongono il più antico e guerresco dei poemi occidentali.

L’impegno colossale ha richiesto molta energia a questi over 75, studiosi indefessi, che amano definirsi “filologi della ragioneria“. E che hanno un obiettivo: “Parlare ai giovani, che magari, attratti dal titolo, potranno impratichirsi e leggere poi autori nostrani come Carlo Porta”.

Iliade tradotta milanese pensionati
Claudio Brambilla

Gli autori

Brambilla, 81 anni, ragioniere ed economista, ha un passato da top manager per multinazionali farmaceutiche: “Dopo 35 anni di lavoro nel settore finanziario – dice – sono stato accompagnato alla porta (“buttaa foeura”, buttato fuori) in quanto da direttore generale ero in dissenso con la decisione di lasciare a casa 40 persone; mi sono reso conto che avevo fatto il mio tempo e mi sono dedicato alla realizzazione di un antico desiderio, quello degli studi umanistici, per colmare un vuoto culturale. In sintesi, verso i sessant’anni ho iniziato lo studio del greco, prima da autodidatta, poi alla Scuola civica di Milano, ed infine in Università Cattolica, seguendo i corsi e frequentando per un ventennio i Seminari omerici, tenuti dal professor Mario Cantilena”.

Il percorso di Walter Moneta, 81enne, è stato “un po’ diverso”: “Dopo quarant’anni di lavoro in ambito tecnico commerciale” si è ritirato in pensione e si è messo “a scrivere memorie di vita contadina” della sua infanzia, prima in italiano, poi, per una resa più realistica, in dialetto, ispirandosi ad Esiodo. Così ha ricevuto numerosi premi per le poesie in lingua meneghina.

L’incontro tra i due risale a 65 anni fa, sui banchi del “glorioso Istituto commerciale Moreschi”. Poi “una decina di anni fa la rimpatriata, rievocando i tempi della vita scolastica, e parlando delle nostre vite lavorative e famigliari, degli hobby da pensionati”. Per arrivare a quel guizzo: associare l’amore per la lingua ellenica di uno alla padronanza dialettale dell’altro. In effetti solo così “ho imparato a scrivere e parlare nel mio dialetto, che avevo solo orecchiato in gioventù dai nonni materni e dai genitori”, confessa il milanesissimo Brambilla.

Il testo

Ma torniamo all’Iliade. Tutte le difficoltà del testo greco e anche della versione italiana, presa come base, si sono presentate agli occhi dei pazienti traduttori, che hanno dovuto molto ragionare sulla resa migliore. L’ostacolo più difficile, data la povertà di vocaboli del dialetto, è stata – spiegano – proprio una delle delle caratteristiche simbolo del poema: le similitudini. Nel racconto dell’assedio di Troia ammontano a 180 e renderle in milanese ha messo alla prova la loro fantasia.

E’ il caso – ad esempio – della nota ‘metafora delle foglie’, come simbolo della caducità della vita umana. Nel testo omerico tradotto in italiano si legge: “Quale delle foglie, tale è la stirpe degli uomini, le foglie, il vento le sparge al suolo, ma altre ne fa germogliare la selva in fiore, al ritorno di primavera, così le stirpe degli uomini, una ne nasce, un’altra muore”. Nella lingua di Bonvesin della Riva i 4 versi sono stati resi così: “La generazion di òmen l’è somejanta a quella di foeuj. I foeuj el vent ie spantega a tèrra, ma alter cascen sui piant in fior e de noeuv riva el temp de la primavera: inscì anch el scèpp di òmen, vun el nass e l’alter el moeur”.

L’ironia

Un lavoro “certosino, vi assicuro”, rivendica Brambilla, che non fatica a ironizzare: “Forse un’impresa da svitati o, per dirla tra noi, da ‘foeura de coo’ (fuori di testa)”.

E, se qualche sbavatura o licenza poetica tra i 24 libri dell’Iliade a cui si sono dedicati, balzerà agli occhi degli specialisti, i due pensionati-studiosi invitano alla tolleranza: “Il testo originario viene sempre tradito nella lingua d’arrivo, ma il nostro dialetto è genuino, imparato a casa dei nonni, in piazza, in osteria, e solo dopo attingendo al vocabolario del Cherubini”.

Un inno, il loro, al continuo miglioramento e allo studio come compagno del ‘buen retiro’, per mantenersi in forma e non lasciare spazio alla noia. In effetti, “di discussioni in questi quattro anni di lavoro insieme ce ne sono state”, ammettono. E, pensando alla prossima impresa, hanno già escluso l’Eneide: “In milanese purtroppo è già stata tradotta”. Passato il rammarico, insomma, bisognerà pensare a qualcos’altro.

 

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