di Adalgisa Portale
Nella vita sociale le persone che si relazionano a noi spesso con i loro comportamenti manifestano la loro stima oppure il loro rifiuto nei nostri confronti. Se le valutazioni su di noi sono principalmente di segno positivo o di apprezzamento allora la fiducia in noi stessi si rafforza se, invece, i giudizi che riceviamo sono negativi e svalutativi la fiducia nelle nostre sicurezze di base può essere compromessa.
La nostra immagine, quindi, ci appare maggiormente valorizzata oppure svalutata a seconda dei segnali che ci arrivano dalla relazione con gli altri. Numerose ricerche sono state eseguite in questo specifico ambito e i risultati dimostrano concordemente che le denigrazioni verbali persistenti o i messaggi svalutativi ripetuti nei confronti di qualunque persona: adulto, adolescente o bambino, possono influire negativamente sulla sfera emozionale e sulla percezione della propria autostima. A causa di ciò il soggetto denigrato vive in uno stato d’ansia e di insicurezza emotiva. (Wolf, 2010). Questi riscontri scientifici costituiscono un campanello d’allarme e costringono a porre maggiore attenzione a quei fenomeni di sopraffazione e denigrazione ormai sempre più presenti all’interno della nostra società (mobbing, bullismo, nonnismo,). Le notizie di cronaca raccontano storie di baby gang e di risse tra bande rivali, in questi casi i gli autori della violenza sono gruppi di giovani o di adolescenti. In altre situazioni i bambini e gli adolescenti sono le vittime e l’oggetto della violenza.
Subire angherie e soprusi persistenti in età infantile o adolescenziale vuol dire compromettere la formazione della propria Identità che in questa fase di crescita è ancora in costruzione.
Nei comportamenti prepotenti o di sopraffazione la diversità dei rapporti di forza tra il prevaricatore e la vittima è spesso evidente. L’asimmetria di relazione determina così modelli di comportamento ben definiti. Il soggetto prevaricatore con i suoi atti di sopraffazione tende a sottomettere la vittima umiliandola e facendola sentire inadeguata per alcuni suoi comportamenti o per le sue caratteristiche fisiche o psicologiche. Il soggetto perseguitato, specie se adolescente o bambino, rafforza così la convinzione sbagliata di essere lui nel torto e di dover necessariamente modificare il proprio profilo o le proprie azioni perché ritenute inadeguate. Quando il denigratore è una figura significativa come per esempio un amico (o un coniuge o un genitore), del cui affetto il soggetto che subisce ha un estremo bisogno, si determina automaticamente tra persecutore e perseguitato un circolo vizioso di reciproca dipendenza da cui è difficile uscire. Ovvero la vittima cerca di conquistare l’approvazione del suo oppressore attraverso nuove prove da superare, mentre il persecutore aumenta sempre più le proprie pretese per mantenere la supremazia e il dominio sulla vittima.
Spesso chi subisce denigrazioni o soprusi continui, specialmente da parte di persone affettivamente significative (compagni o amici), rimane talmente disorientato e traumatizzato da non avere la lucidità sufficiente per riconoscere le prepotenze subite. La vittima, infatti, tende a negare a se stessa l’evidenza di ciò che gli capita e, di conseguenza, non mette in atto strategie difensive contro le angherie nei suoi confronti (Arielli e Scotto, 2003). Si determina così un blocco emozionale, ovvero un corto circuito emotivo dovuto all’ansia e al senso di insicurezza personale, tale da rimuovere o cancellare le tracce di memoria di episodi spiacevoli.
Questo stato emotivo è principalmente tipico della vittima cosiddetta passiva/sottomessa, la quale trovandosi in una situazione senza alcuna via di fuga è costretta a subire rassegnata per evitare successive ritorsioni.
La vittima cosiddetta provocatrice, invece, è parzialmente consapevole delle prepotenze che subisce e alterna atti di ribellione e di provocazione con momenti di sottomissione.
In altri casi la vittima pur essendo cosciente delle ingiustizie a suo carico e volendo proteggersi non trova le strategie adeguate per uscire dal tunnel. Spesso, infatti, non ha sufficienti capacità di dialogo per difendersi attraverso il linguaggio (Colleoni,2008), oppure non gode della solidarietà dei compagni che, per indifferenza o paura, non intervengono in suo aiuto.
In conclusione la vittima da sola non può farcela e vive un senso di abbandono e di profonda solitudine se non riscontra negli altri la disponibilità di aiuto in suo soccorso.
Dalle ricerche emerge che il bambino per potersi difendere ha bisogno dell’intervento degli adulti, mentre per l’adolescente è indispensabile la collaborazione degli amici.
Alla luce di ciò in età adolescenziale è dunque molto importante avere un amico o un gruppo di amici affidabile, con cui costantemente parlare, confidarsi e condividere i problemi di tutti i giorni. L’appartenenza a un gruppo di amici, infatti, costituisce una rete di protezione preventiva solida e nei momenti di maggiore difficoltà sarà più facile per i singoli componenti del gruppo collaborare tra loro e aiutarsi reciprocamente.