La quarta stagione di Boris si farà. Lo conferma Ninni Bruschetta

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 L’attore siciliano racconta all’AGI: “Quello che sappiamo è che è dedicato a Mattia Torre, logico che sia così, ma non sappiamo nulla: noi siamo attori, ci sono gli sceneggiatori che lavorano, noi siamo semplicemente esecutori”

© Minichiello / AGF – Ninni Bruschetta

“Boris 4” si farà, la notizia di una quarta stagione della serie cult “Boris”, che racconta il dietro le quinte divertente e cinico del cast artistico e tecnico della fiction “Gli Occhi del Cuore”, girava da tanto tempo, da anni, forse anche per le richieste insistenti di un pubblico rimasto sempre estremamente affezionato all’opera, andata in onda dal 2007 al 2010; specie da quando Netflix l’ha resa disponibile tra i propri contenuti riscuotendo un nuovo successo, magari anche tra chi, ormai quasi quindici anni fa, era troppo piccolo per averla vista e apprezzata.

Lo stop ad un quarto capitolo della saga negli ultimi anni si è comprensibilmente rafforzato a causa della scomparsa nel 2019 di Mattia Torre, uno dei tre sceneggiatori e anima del progetto. La situazione si è evidentemente cominciata a smuovere dopo il successo su Netflix, dove sembra che il prodotto seriale abbia trovato una dimora stabile, ancor più stabile del canale Fox del bouquet di Sky dove “Boris” ha debuttato ma dove non ha mai trovato fortuna, probabilmente essendo troppo avanti come proposta in un periodo in cui le serie non si erano ancora imposte sul mercato come oggi.

Poi questa estate un’intervista del produttore Lorenzo Mieli, oggi amministratore delegato della società di produzione The Apartment, ha aperto uno spiraglio credibile, infatti proprio di conseguenza al successo su Netflix ha dichiarato: “Pensiamo a una piccola grande reunion per una serie breve con tutti i personaggi”. Poi ancora questa estate c’ha pensato Luca Vendruscolo, un altro del team di sceneggiatori della serie, parlando con i ragazzi del Cinema America di Roma, a lasciarsi sfuggire un “Se riusciremo a fare una cosa che ci darà la sensazione che Mattia da lassù non ci sputi in faccia, la realizzeremo”.

E infine Alberto Di Stasio, che in “Boris” interpreta il produttore truffaldino e cafone di “Occhi del cuore”, su Twitch nei giorni scorsi, rispondendo ad un utente in chat, scrive: “Si farà la quarta serie di Boris, penso che gireremo in estate quindi in televisione si vedrà in autunno, o forse all’inizio del prossimo anno. Siamo tutti contenti”.

Il pubblico lo è certamente, negli ultimi giorni la notizia ha infuocato di gioia il web per il ritorno, su Disney+ e non su Netflix dato che i diritti restano in mano alla Fox, di quello che è probabilmente uno dei migliori prodotti seriali della tv italiana di sempre. Per chi ancora non avesse avuto modo di recuperarla, “Boris” racconta della vita del set di una fiction sulla tv di Stato, la RAI non viene mai nominata ma i riferimenti sono lapalissiani, dal titolo “Gli occhi del cuore”; un set dentro il quale vivono la propria vita una serie di personaggi epici nella loro bassezza e scarsa professionalità, una gang di difettosi che avanza al grido di “La qualità c’ha rotto il c…o”, essendo più faticosa e più costosa, raccontata però con una accuratezza quasi chirurgica che permette allo spettatore, contemporaneamente, di ridere di loro e ridere anche un po’ di se stesso, del suo essere “così italiano”, come direbbe Stanis, l’attore protagonista di “Occhi del cuore”.  

Il quadro che Giacomo Ciarrapico, Mattia Torre e Luca Vendruscolo hanno dipinto con “Boris”, ispirandosi alle loro esperienze sui set italiani, è di una spietatezza esaltante, ne viene fuori un’Italia in cui la cultura conta fino ad un certo punto, dove per fare qualsiasi cosa, anche portare un caffè, serve l’appoggio politico o, al limite, “la devi dà”, come professa la provocante Karin. “Boris” diventa metafora per raccontare, con esaltante ed esilarante spietatezza, un pezzettino di Italia, l’Italia de “la locura”, così come la chiama Valerio Aprea, che interpreta uno dei tre sceneggiatori de “Gli occhi del cuore”, quando tenta di spiegare al regista Renè, con uno splendido monologo diventato ormai un cult definitivo, cosa serve ad una fiction per fare successo nel nostro paese, “Questo che devi fare tu: “Occhi del cuore” sì, con le sue pappardelle, con le sue tirate contro la droga, contro l’aborto, ma con una strana, colorata, luccicante, frociaggine”.

Non si fa fatica a credere dunque che tutti siano contenti del ritorno di “Boris”, una serie necessaria, un racconto in cui tutti dovrebbero trovare il tempo di specchiarsi, anche solo per capire di cosa siamo capaci quando i meccanismi della tv generalista non tarpano le ali ai propri fuoriclasse, e attorno a “Boris”, sia davanti che dietro la macchina da presa, hanno orbitato alcuni dei migliori professionisti del settore. Professionisti che non hanno solo fatto, bene, il loro lavoro, ma che hanno in qualche modo adottato “Boris”, forse perché intimamente consci dell’importanza di ciò che stavano raccontando, anche se in una confezione così insolita, un prodotto nato semplicemente per fare ridere, ma che poi va decisamente oltre.

È stato un progetto che ha sinceramente coinvolto quindi anche gli stessi attori del cast, che hanno sempre fatto da megafono alle istanze di quel pubblico che negli ultimi dieci anni non ha mai smesso di riconoscerli in quei personaggi e chiedere a gran voce altre puntate; firmando e ricondividendo sui propri canali social le iniziative dei fans. Lo conferma ad AGI anche Ninni Bruschetta, che nella serie interpreta Duccio Patanè, indimenticabile direttore della fotografia sfaticato e cocainomane.

Lo scorso giugno, quando ci siamo sentiti per parlare dell’eventualità di una quarta stagione di “Boris”, dicevi che ti sarebbe piaciuto ma che era assai improbabile, cosa è successo nel frattempo?

Non so cosa sia successo, penso, non posso dire niente di certo, che il successo ulteriore ha dato il via alla necessità di accontentare il pubblico, superando le difficoltà che oggettivamente ci sono, soprattutto la morte di Mattia, ed è stata fatta una scelta produttivamente illuminata perché si tratterà di un omaggio al pubblico che ha amato così tanto questa serie. La scrittura sarà di Giacomo e di Luca e poi vediamo cosa succederà, noi non sappiamo nulla.

Quindi voi non siete ancora stati avvisati ufficialmente?

Noi abbiamo ordinari contatti, sappiamo che il produttore se dice che fa una cosa poi la fa, ci ha avvertito, stanno lavorando su questo, è un bel progetto e vediamo dove ci porterà, io sono molto felice di questo. Quello che sappiamo è che è dedicato a Mattia, logico che sia così, ma non sappiamo nulla, noi siamo attori, ci sono gli sceneggiatori che lavorano, noi siamo semplicemente esecutori.

E come avete preso la notizia?

Per noi la felicità di tornare sul set di “Boris” è sublime, è una cosa che farà felici una gran quantità di fan, meravigliosi tra l’altro, tutte persone sempre molto delicate, intelligenti; d’altra parte quando le cose sono di qualità…”Boris” è una medaglia che portiamo addosso di cui siamo orgogliosi, la possibilità di fare un’altra stagione è meravigliosa.

Ma c’è un po’ il timore che una nuova serie di Boris, dopo così tanto tempo, senza l’apporto di un genio come Mattia Torre, rischi di intaccare un prodotto perfetto?

Ascoltami bene, perché questa è una cosa importante: io ho parlato di dieci anni di successo continuato. Perché una cosa è portare in giro uno spettacolo teatrale per dieci anni e poi parlarne come “dieci anni di successo”. No, per “Boris” la cosa è diversa, parliamo di un prodotto uscito dieci anni fa e da dieci anni se ne parla. Dieci anni di successo decretano che “Boris” è un classico, un classico che non ha ancora finito di dire ciò che ha da dire, ed io sono sicuro che dirà qualcosa, probabilmente qualcosa di importante, come ha già detto.

Tra voi del cast ne avete già parlato? Boris anche in questo è stato un prodotto speciale, quando il pubblico ha organizzato una raccolta firme per “Boris 4” molti di voi l’hanno firmata e rilanciata…

In questi giorni non ci siamo sentiti, secondo me perché siamo tutti quanti terrorizzati che non sia vero. Niente, un silenzio tombale, credo che tutti abbiano una sana vena scaramantica. Ci sentiamo spesso ma in questo periodo zero.

C’è qualcosa, dopo il successo dovuto al rilancio della serie da parte di Netflix, che tu hai riscoperto di Boris?

Questo no, perché io ho fatto parte di questo progetto fantastico ma, non solo, credo di esserne stato anche promotore, come tutti gli altri, perché ognuno di noi, ogni attore, ogni persona che ha lavorato in “Boris”, si è resa conto della completezza di questo progetto da subito. Perché questo progetto nasce con un copione insuperabile. Ai tempi, quando dovevo girare “Boris”, mi avevano proposto una serie Rai in cui guadagnavo il doppio ed io senza nessun problema, con l’immediata condivisione della mia agente, ho scelto di fare “Boris”. Perché era indiscutibile la qualità della scrittura e tu puoi girare un bel film se non hai una grande sceneggiatura, con molta buona volontà, ma fare un brutto film da una bella sceneggiatura è praticamente impossibile.

Cos’è quindi secondo te che rende speciale “Boris”?

La qualità della scrittura, l’onestà del progetto, la scelta degli attori, la disciplina tra attori e registi, tra i quali è nata un’amicizia, l’armonia professionale che c’era su quel set era encomiabile, invidiabile, chiunque avrebbe creduto in quella cosa. Se tutti i progetti fossero così sarebbero tutti progetti di successo, piuttosto diversi tra loro ma di una grande qualità, cosa che noi in Italia troviamo così raramente che ci abbiamo fatto sopra un film, che è “Boris” appunto.

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