Petrarca e Dante a confronto

Arte, Cultura & Società

Di

di Stefania Romito

Francesco De Sanctis era solito effettuare una distinzione tra Dante, definito il “grande poeta” e Petrarca, il “grande artista”. Una suddivisione che faceva distinguere la profondità dell’ispirazione del pensiero di Dante dalla eleganza prettamente formale del Petrarca. Petrarca è un poeta molto diverso da Dante. A Dante Petrarca si avvicina per la predilezione della lingua latina, per ottenere la gloria poetica e anche per poter comporre opere di grande prestigio. I Trionfi, che Petrarca scrive sull’interesse scaturito per la Commedia, sono scritti in terzine proprio come l’opera omnia dantesca. Tuttavia va ricordato che Petrarca è poeta latino molto più di Dante. Infatti su 30 opere, 27 sono scritte in latino. Petrarca nasce ad Arezzo 40 anni dopo Dante, nel 1304. Firenze non è mai nel suo orizzonte mentale.

Trascorre parte del suo tempo lontano dalla Toscana vivendo molti anni della sua vita in Francia. Il padre (Petracco) era notaio presso la corte pontificia ad Avignone. Petrarca studia a Montepellier e a Bologna, considerata la grande città universitaria. Dopo la morte del padre, per ragioni economiche, decide di farsi chierico. All’età di 23 anni incontra Laura nella chiesa di S. Chiara. Una figura femminile la cui esistenza reale è incerta. La scelta di prendere gli ordini minori consente a Petrarca di dedicarsi all’ozio letterario e di disporre del proprio tempo per entrare in comunione con i grandi scrittori.

Con Petrarca, intellettuale d’avanguardia cosmopolita, cambia la fisionomia del letterato che diventa una figura prestigiosa. Questa sua peculiarità lo rende refrattario a ogni “particolarismo municipale” (altra differenza rispetto a Dante). Egli è estraneo a ogni condizionamento, prediligendo la libertà di azione e la difesa di una Italia in cui voleva vedere incarnato il mito, ossia la Roma Repubblicana.

Petrarca anticipa l’Umanesimo. Con lui si assiste a un doppio crollo: cade la figura dell’intellettuale municipale (Petrarca non guarda la realtà attraverso la lente delle passioni civili) e, inoltre, si verifica il passaggio tra “municipalismo” e “universalismo”. Sarà proprio nell’esilio che Petrarca riuscirà a trovare una via d’uscita da questa contraddizione, ossia tra il rifiuto del municipalismo e l’impossibilità di instaurare un principio universale.

Per Dante, invece, l’esilio era una conseguenza della propria azione politica e viene da lui vissuta come una condanna che produce lo sradicamento dalla propria città. Petrarca è un esule di seconda generazione, che non paga con l’esilio lo scotto della personale sconfitta politica. Nasce già esule perché l’esilio per lui è un modo d’esistenza. Si trasferisce in Francia da bambino e guarda con nostalgia a un mondo culturale che gli appare lontanissimo. Tutto il suo lavoro è volto al recupero del passato riaffermando la validità di quel lontano mondo storico e cercando di riproporne le condizioni. Il suo non è un esilio geografico, bensì ideologico e letterario.

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