La Pandemia ombra che colpisce solo le donne

Femminicidi & Violenza

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La violenza contro le donne è forse la violazione dei diritti umana più vergognosa. Essa non conosce confini, né confini. Fintanto che continuerà, non potremo pretendere di aver compiuto dei reali progressi verso l’uguaglianza, lo sviluppo e la pace

(Kofi Annan, Segretario Generale delle Nazioni Unite – 1993)

Non c’ è cosa più esecranda del perpetuarsi nella nostra società ancora troppo maschilista della violenza contro le donne In tempo di coronavirus  la violenza di genere e  pandemia: sono diventati un binomio che nel lungo periodo di lockdown  e di restrizioni della libertà delle persone si è tradotto in un aumento spaventoso di casi di violenza domestica contro le donne e i figli e di femminicidi  Tragedie che in base alle statistiche più attendibili hanno avuto quasi sempre come scenario la casa, che dovrebbe essere in verità il posto più sicuro al mondo e che sembra essersi trasformata in un reclusorio senza sbarre ma anche  senza regole. Per violenza non si intende ovviamente solo quella fisica: c’è anche la vessazione verbale o morale, la coercizione ed i condizionamenti psicologici che una donna è costretta a subire solo “perché è una donna”.  Le Nazioni Unite hanno definito il fenomeno con il termine “pandemia ombra”, proprio per sottolinearne l’impatto devastante della stessa; sin dai  mesi iniziali dell’emergenza sanitaria a tutt’oggi la media mondiale dei femminicidi è stata di 137 morti al giorno, un dato agghiacciante che per la sua assurdità e gravità si commenta da solo. A livello internazionale sono state fornite linee guida e raccomandazioni per rafforzare la rete di protezione verso le donne anche da remoto, attraverso campagne di comunicazione che hanno coinvolto la televisione e la rete delle farmacie. In Italia sono aumentati non solo le richieste di aiuto e di intervento giunte al “1522”, il numero di soccorso per violenze e stalking, ma anche gli alert silenziosi lanciati tramite mail o messaggi sui social. Molte donne, durante l’emergenza sanitaria, hanno perso lavoro e reddito finendo per essere maggiormente esposte, poiché dipendenti economicamente da un marito o da un  compagno violento. Il virus ha messo l’accento sulla violenza contro le donne, facendo emergere le disuguaglianze sociali ed acuendo le difficoltà comunicative tra le persone e tra quelle di genere in particolare.

Tra le tante pubblicazioni che in questo periodo hanno contribuito in maniera veramente emozionante, seria e concreta a denunciare questo gravissimo fenomeno, tra le tante citiamo “Il coraggio delle donne” (Giulio Perrone Editore), scritto da Adriana Pannitteri, giornalista televisiva e scrittrice che si è già occupata del tema in “Cronaca di un delitto annunciato” (Edizioni L’Asino d’oro). In questa interessante pubblicazione si pone l’accento sulla necessità di porre in essere  interventi concreti per attivare una rete di protezione attorno alla vittima, che sulla carta esiste così come esistono leggi specifiche ma che spesso, molto spesso non trovano attuazione. Ci avviciniamo all’8 marzo, Giornata Internazionale della donna: quel giorno saranno elencate come sempre e in modo stereotipato  conquiste, conflitti e proclami di guerra alla violenza di genere;  ma in quello stesso  giorno sarebbe opportuno chiedersi quanta strada abbiamo percorso, e soprattutto quanta è ancora da percorrere? Cosa c’è dietro ad un femminicidio? Perché in una società 4.0 si continua a parlare di legge del patriarcato, di discriminazioni e vessazioni?. Adriana Pannitteri pone al centro delle sue riflessioni  la tragica vicenda di Giordana Di Stefano, uccisa con 48 coltellate dall’ex compagno che lei aveva denunciato per stalking e con il quale aveva avviato un contenzioso per l’affidamento della piccola figlia. Adriana.

Un dramma generazionale esploso quasi all’improvviso e che si è manifestato con  una violenza così assurda da trasformarsi in una tragedia che lascia esterrefatti e senza parole. Serve dunque, com’è di tutta evidenza, una mobilitazione senza precedenti, un cambiamento epocale nella considerazione delle donne;  è nelle aule scolastiche  che nasce in primis il rispetto e si educa al sentimento. Molto spesso la legge “sociale” fa fatica a stare dietro a quella dello Stato: la donna è considerata un oggetto di proprietà maschile, e finché questo non cambia, la violenza troverà terreno fertile. Negli ultimi 20 anni l’ordinamento italiano si è adeguato alle norme sovranazionali arrivando alla definizione del “Codice Rosso” che ha tentato di adeguare le misure di prevenzione prendendo atto che il tassello mancante era proprio la denuncia: non è facile fare il nome di un familiare esponendolo alle forze dell’ordine, spesso si lascia perdere per non gettare fango sulla propria famiglia. Ma ci sono gesti e atteggiamenti comuni che quasi sempre precedono il copione di un femminicidio di cui bisognerebbe “accorgersi” e che andrebbero raccontati. In questo, è fondamentale avere fiducia nelle istituzioni e nelle forze dell’ordine: forse non viene abbastanza detto, ma tanti sono stati anche i casi in cui, a seguito di denuncia, le situazioni sono state arginate ed i reati estremi evitati.

Lo Stato dalla sua ha tanto da migliorare, anche per evitare spiacevoli episodi di “vittimizzazione secondaria”, ma il messaggio che va dato è positivo: gli strumenti ci sono e vanno usati.Quando una donna viene uccisa non c’è mai un solo singolo episodio che porta alla morte, ma un lungo percorso di degrado ed erosione fatto di atteggiamenti, parole ed episodi. Non esiste di per sé la gelosia o il raptus come movente: il soggetto che usa violenza è un perverso sadico che sa tenere e far vibrare l’angoscia della donna con le sue stesse mani e può controllarla in tanti modi, con atti persecutori e vessatori anche quotidiani; solo  in rari casi, si può parlare di malattia mentale.L’input è sempre la denuncia, l’importante è trovare il coraggio di affidarsi alle forze dell’ordine.

Esistono norme come il “Protocollo Eva”, una modalità operativa per il primo intervento degli operatori di Polizia nei casi di violenza di genere (maltrattamenti in famiglia, stalking, abusi, liti familiari) che consente non solo un approccio più adeguato a queste situazioni delicate, ma anche di conservare traccia e avere una memoria storica dell’accaduto, perché spesso le vittime sono donne, ma anche minori. Esiste poi il “Protocollo Zeus”, un programma nato dall’accordo della Questura di Milano con il Centro Italiano per la promozione della mediazione che punta a bloccare le recidive degli episodi di violenza sul nascere, intervenendo sul maltrattante con percorsi rieducativi. In conclusione, bisogna in primo luogo lavorare sul tema uomo-donna, ma non solo, partendo dai primi rapporti umani come il compagno di banco, agire sui media e sull’approccio corretto alle notizie; la stampa, i quotidiani possono svolgere un ruolo importante in questo caso facendo conoscere gli strumenti a contrasto delle violenze che già esistono, i numeri di pronto soccorso, le applicazioni sui telefonini attraverso le quali si può richiedere anche solo un consulto.

La strada è sempre  la prevenzione “educarne uno per educarne cento”, perché il tema non deve rimanere nei salotti televisivi, ma va rilanciato in altri ambiti, a partire dalla scuola nelle cui aule  va ribadita la necessità di diffondere e praticare una cultura della nonviolenza, di rappresentare la violenza e la sua concettualizzazione, l’intreccio tra questioni culturali e aspetti sociali, legali e medici, la ricerca di linguaggi e figurazioni capaci di superare gli stereotipi che ostacolano la piena attuazione della parità e del rispetto tra i sessi.

E’ solo questa la strada maestra per arginare e ridimensionare il problema fino alla sua definitiva estirpazione. Il Corriere Nazionale farà la sua parte sino in fondo.

Giacomo Marcario

Comitato di Redazione de Il Corriere Nazionale

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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