La Procura di Milano ha chiesto una rogatoria in Svizzera in relazione al conto detenuto oltreconfine dal presidente lombardo, nel mirino anche per false dichiarazioni nella ‘voluntary disclosure’.
Il governatore lombardo, Attilio Fontana, è indagato per autoriciclaggio e false dichiarazioni nella “voluntary disclosure” nell’ambito dell’indagine sul caso camici. Per questo la Procura di Milano ha inviato oggi una richiesta di rogatoria in Svizzera in relazione al suo conto “scudato” sul quale giace l’eredità di 5,3 milioni avuta dalla madre. Proprio da quel conto proverrebbero i 250mila euro che Fontana avrebbe offerto al cognato Andrea Dini per ‘riparare’ la mancata vendita dei camici alla Regione all’inizio della pandemia. Denaro dichiarato proprio grazie alla voluntary disclosure ma di cui i pm milanesi vogliono ricostruire la provenienza.
Fontana da parte sua dichiara tramite i suoi avvocati che “non intende lasciare alcuna ombra in relazione alla procedura di voluntary disclosure” del denaro detenuto in Svizzera. I legali Jacopo Pensa e Federico Papa sono convinti che basterà “ricostruire documentalmente” l’origine di quel denaro per dimostrare che si tratta in toto dell’eredità ricevuta dalla madre. E dunque gli elementi che ‘non tornano’ agli inquirenti sarebbero da imputare “ad un problema di interpretazione“, ha spiegato l’avvocato Pensa all’AGI. “Nella documentazione” su cui lavorano gli inquirenti, proveniente anche dall’Agenzia delle Entrate, “c’è già tutto ed è la stessa che abbiamo anche noi”, ha aggiunto il difensore.
La notizia della rogatoria è stata diffusa con una nota dalla stessa Procura milanese, che precisa trattarsi di una richiesta “di commissione rogatoriale alle autorità Elvetiche per completare la documentazione allegata alla domanda di voluntary disclosure” presentata dallo stesso governatore.
In base alla ricostruzione degli inquirenti (Luigi Furno, Carlo Scalas e Paolo Filippini, del pool anticorruzione guidato da Maurizio Romanelli) Fontana, nel maggio scorso, aveva ‘risarcito’ di tasca propria 250mila euro al cognato, dopo che la fornitura era stata trasformata, per sua stessa pressione, in donazione ad Aria, la centrale appaltante della Regione. Un tentativo di ‘conciliazione familiare’ che serviva a riparare l’affare da 513mila euro per 82mila camici di fatto andato in fumo.
Il denaro di risarcimento alla ‘Dama Spa’ (società di cui la moglie di Fontana, Roberta Dini, deteneva il 10%) proveniva da un conto svizzero alla banca “Ubs”, che era stato dichiarato allo Stato nel 2015 tramite la ‘voluntary disclosure’. Sul conto giaceva l’eredità ricevuta dalla madre: 5,3 milioni provenienti originariamente da un trust alle Bahamas (costituito nel 2005 e 1997).
Agli occhi degli inquirenti – i pm Luigi Furno, Carlo Scalas e Paolo Filippini del pool anticorruzione guidato da Maurizio Romanelli – nelle carte presentate da Fontana e anche nella documentazione fornita dall’Agenzia delle Entrate nel corso delle indagini qualcosa non tornerebbe. Ci sarebbero invece dei ‘vuoti’ nella documentazione ‘dei flussi’ di denaro, precedenti al 2015 e dunque allo scudo. E questi ‘vuoti’ possono essere riempiti soltanto con la collaborazione chiesta alle autorità svizzere, oppure con dichiarazioni o documenti che lo stesso Fontana potrà fornire. In questo senso potrebbe darsi che a breve lo stesso governatore si faccia sentire dagli inquirenti per chiarire la sua posizione.
L’indagine sul ‘Caso camici’ ha avuto un’accelerata negli ultimi giorni, dopo che è stato sentito l’altro ieri l’ormai ex presidente di Aria, Francesco Ferri, costretto a dimettersi dallo stesso governatore dopo il caos vaccini che si è recentemente generato in regione. Ora però gli inquirenti vogliono vederci chiaro proprio sulle movimentazioni finanziarie del presidente, assistito dai legali Jacopo Pensa e Federico Papa (che stamattina hanno avuto un incontro con il procuratore Capo, Francesco Greco, da cui è uscito il comunicato congiunto alla stampa).
Per il momento a essere indagati nel caso sono Andrea Dini e l’ex dg di Aria, Filippo Bongiovanni, con le accuse di turbata libertà nella scelta del contraente e frode nelle pubbliche forniture; su Fontana invece pendeva in origine la sola accusa di frode.
AGI – Agenzia Italia