La Sinistra che non c’è. Letta al PD: se ci sei batti un colpo

Politica

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Enrico Letta è ripartito da dove Zingaretti ha lasciato il PD.

Un gesto grave ed irresponsabile  quello di Zingaretti che in piena pandemia  con una gravissima situazione sanitaria in fieri ed una altrettanto crisi sociale ed economica ha mollato tutto  dando una tremenda sganassata ad un partito  che si definisce democratico e “dalla parte delle persone” ma che poi nel tempo in realtà è  diventato un soggetto politico ostaggio  delle correnti interne che al dialogo, al confronto, alla progettazione ed alla programmazione  hanno preferito lo scontro preoccupate più di accaparrarsi le poltrone del governo e del sottogoverno piuttosto che pensare ai reali e seri problemi che affliggono l’Italia.

Il dramma del PD e della sinistra lo ritroviamo sintetizzato nelle parole molto gravi pronunciate da Zingaretti che papale, papale ha affermato di vergognarsi di essere il segretario di un partito che ormai è un correntificio,  che non ha idee, progetti e programmi e che alla barra dritta e ferma mostra di privilegiare un comportamento ondivago, incerto, talvolta scollegato dalla realtà del Paese, sempre più lontano dai cittadini, e dall’Europa.

Letta chiamato a gran voce per dare discontinuità a quanto stava avvenendo nel PD, lasciato l’aventino parigiano, nel quale si era ritirato dopo  la spaccatura con Renzi, e da buon sorboniano si è messo al lavoro con grande impegno e passione puntando su  due temi fondamentali: costruire  un  progetto politico per rilanciare  l’immagine del Partito,  ricollocarlo  al centro dell’agone politico; ridurre il ruolo e le pretese dei caporioni interni, evitare ulteriori divisioni, recuperare la fiducia di quanti per contrasti avevano lasciato il partito  e  dare al PD un nuovo assetto organizzativo interno e soprattutto riorganizzare e rivitalizzare  il partito in tutte le sue sedi comunali, provinciali,  e regionali ed in quelle metropolitane.

Di qui la prima decisione quella di dare più spazio nel partito alla parità di genere nominando due nuove capigruppo alla Camera ed al Senato e rinnovando in tale ottica  la rappresentanza femminile nella Direzione Centrale del Partito. A seguire ha ritenuto di sintetizzare tutte le proposte formulate nel suo lungo discorso d’insediamento come Segretario Politico  in  un vademecum con 21 quesiti (attraverso il quale per Enrico Letta passa l’algoritmo per il partito del futuro)  che è stato inviato a tutti i Segretari del Partito per avere dagli  stessi suggerimenti, valutazioni e proposte di lavoro necessarie per fare del partito una grande agorà e per  ridare ai suoi iscritti e simpatizzanti lo spazio e le iniziative che alle stesse  spetta per vocazione statutaria. Le Sezioni possono essere di grande aiuto nel sostenere il Segretario Nazionale  il cui obiettivo è quelli di ricostruire un partito vivo, palpitante, vicino alla  gente e in grado di guidare – come dice Letta- un nuovo centrosinistra dialogando (ma senza stare insieme al governo) con il Movimento 5 Stelle Fin qui tutto bene ma c’è un dato di fatto che va oltre gli aspetti organizzativi ; Letta e il PD devono modificare le loro strategie politiche e devono prendere atto che l’orientamento politico in Europa guarda da tempo con maggiore insistenza a destra. Il trionfo clamoroso, almeno nelle proporzioni, da parte di Isabel Diaz Ayuso alle elezioni amministrative di Madrid il 4 maggio u.s., potrebbe essere un utile segnale per il Pd di Letta. 

La presidente dei popolari spagnoli, infatti, ha stravinto le elezioni superando in numero di seggi tutto il fronte della sinistra unito. Il più grave errore del premier in carica Sanchez e della sinistra, sostengono i politologi spagnoli, sarebbe stato quello di creare un clima di odio contro l’avversario, portando avanti una ideologica e vecchia contrapposizione fra “democrazia e fascismo”, una strategia non solo sbagliata ma ormai superata ed estemporanea  In questo modo Sanchez non ha fatto altro che  riconoscere e   concedere ad Ayuso lo status di antagonista, sperando che ciò la indebolisse. Il risultato è stato, invece, quello di rafforzare l’avversario, che poteva contare sull’appoggio della sua base elettorale e che ha potuto raccogliere i voti dei centristi delusi di Ciudadanos e non convinti da una sinistra polemica ed ideologica. 

La sinistra insomma è stata sconfitta proprio perché non ha saputo offrire altro che il discredito verso l’avversario, considerato il male assoluto, senza offrire reali controproposte per governare. Ed è un po’ lo stesso errore che sta compiendo il Partito Democratico in Italia da un ventennio a questa parte; cadendo in questo modo in una crisi di identità permanente e mostrando d’essere incapace di uscire dalla sua quotidiana polemica contro l’avversario di turno, che si chiami Berlusconi, Salvini o la Meloni.

 Non passa giorno senza che si debba registrare la solita litania del neo segretario Enrico Letta,  sia a mezzo stampa sia nei suoi colloqui (non ultimo quello con il premier Draghi) contro Salvini , vittima privilegiata da quando la Lega è al governo ed accusata di tenere  una condotta un po’ ondivaga ed equivoca  verso lo stesso   governo di cui fa parte.

Letta è forse convinto che criticando e polemizzando in modo forte e forse anche esagerato Salvini la sua Lega perderà voti, perdendo nel contempo il primo posto che i sondaggi ormai da tempo gli assegnano. In questo modo la Lega si troverebbe nell’impossibilità di realizzare alle prossime elezioni politiche un ribaltone che gli consentirebbe di mettere su una forte coalizione di centro-destra, mandando a casa definitivamente populisti e nazionalisti  e lo stesso P.D.

Il progetto lettiano non sembra avere molte chance anche per i tanti errori politici che lo allontanano dalla base elettorale e dai cittadini. Di recente, ad esempio, il partito è stato lestissimo nel  cavalcare la polemica del rapper Fedez sul Decreto Zan  che si occupa di  omofobia e che è scoppiata nel corso concertone del primo Maggio. Senza rendersi conto che le accuse del cantante erano sì rivolte direttamente a Salvini e alla Lega, ma indirettamente rappresentavano plasticamente la dichiarazione del fallimento di chi invece questi temi dovrebbe portarli avanti nelle sedi istituzionali opportune, cosa che il PD non ha fatto. La sinistra, infatti, da tempo sembra abbia perso il contatto con la realtà, soprattutto di quel mondo dei meno tutelati che da sempre è stato e dovrebbe rappresentare il suo campo d’azione e di tutela  politica  

Da troppo tempo il problema della sinistra sembra essere più quello di far vedere quanto è brutto il proprio avversario, più che far vedere quanto la stessa sia brava a portare avanti battaglie, proposte, progetti e idee. I tentativi, maldestri, di rincorrere l’avversario, demonizzandolo, spesso però ha avuto  l’ effetto di rafforzarlo, come i venti anni del berlusconismo hanno ampiamente dimostrato.

Renzi, piaccia o no, è stato l’unico segretario del Pd, degli ultimi venti anni, ad uscire dalla logica della demonizzazione dell’avversario, senza affrontare mai invece i problemi interni di una dirigenza ormai auto referenziata e più attenta ai salotti (soprattutto quelli televisivi) che alle piazze, sempre più complice e solidale con una classe di imprenditori incapace e collusa, invece che alle istanze del mondo del lavoro e del sociale. Le lotte più feroci contro l’articolo 18, il jobs act  e il referendum si sono  sviluppate  proprio all’interno della sinistra mostrando poi in sede elettorale un partito in piena confusione e perdita d’identità.

 E’ il solito vezzo del Pd, troppo intento a piacersi e a piacere a un certo mondo che a proporre cambiamenti e riforme. Salvini ha saputo per un certo periodo colmare quel vuoto che la sinistra, distratta forse da altre mire o da altre ambizioni,  ha lasciato tra le classi più deboli e meno tutelate. La sinistra lo ha capito troppo tardi e suo malgrado  ha permesso alla Lega di diventare proprio il primo partito degli operai e di quanti vivono nel disagio sociale ed economico.

Ed allora, come già accaduto con Berlusconi, ha provato più a contrastarlo sulla polemica personale, che su temi e contenuti. Non è un caso se nel suo primo discorso di investitura Letta ha citato come punti  fondanti del suo programma, lo jus soli e il voto ai sedicenni, temi chiaramente divisivi per Salvini e la Meloni, ma che attualmente non sembrano proprio delle priorità in una fase emergenziale come quella che viviamo. Questo concetto è stato espresso molto bene dal noto  politologo Mario Giro: “Quando a sinistra ci si ripete ansiosi che siamo ormai lontani dalla gente, si deve rammentare che il maggior peso e tormento di tale situazione grava sulla gente stessa.

La sinistra deve quindi trovare il suo modo per dire “riprendiamoci il controllo”, smettendo di andare dietro intimidita al liberalismo ormai svuotato di valori. Riprendere il controllo significa offrire la propria versione di superiorità della politica sulle ragioni dell’economia liberale, ormai fallimentari e stantie”.

La sinistra insomma deve tornare a fare la sinistra moderna e liberale, ma per farlo deve tornare ad essere propositiva e non seguire la destra per contrastarla su temi delicati come quello del lavoro, della sanità, dell’economia, dei giovani senza futuro, delle pensioni, della immigrazione, della sicurezza.

Va in tutta sincerità ricordato che  il centrosinistra non si è mai posto davvero il problema di un disegno culturale alternativo, finendo quasi per delegare alla magistratura il compito di rimuovere dalla scena il proprio avversario, senza neppure il coraggio di affermarsi giustizialista e manettaro come invece altri avrebbero fatto di lì a poco, regalando comunque alla destra il tema delle garanzie” Va sottolineato come il tema della giustizia usata in certi ambiti come strumento politico sia un argomento su cui la sinistra debba riflettere a lungo.

L’avversario politico deve essere contrastato sui temi concreti e politici non su polemiche sterili buone solo per le piattaforme social.

Se Zingaretti arriva a solidarizzare via tweet con la showgirl Barbara D’Urso per la chiusura del suo programma, mentre centinaia di migliaia di lavoratori perdono il posto di lavoro in una crisi economica epocale, vuol dire che si è perso il senso della misura e che si è instaurato un cortocircuito mediatico che non può che portare ad una sconfitta della politica nella sua stessa funzione.

Il Pd sembra smarrito e sente la mancanza di un leader capace di essere lui stesso un polo attrattivo per una larga fascia di popolazione, senza dover per forza di cose inseguire l’avversario sul suo stesso campo di gioco. La sinistra da un po’ di tempo sembra come colpita dalla sindrome della “schadenfreude”, che è quella di gioire delle sfortune altrui, in questo caso l’avversario politico.

Il PD come partito non c’è più o quanto meno è irriconoscibile di qui la insistente domanda del neo Segretario Letta:” Caro PD, se ci sei batti un colpo”.

Giacomo Marcario

Comitato di Redazione de Il  Corriere Nazionale

 

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