Rispetto, rispetto: il grido di lavoratori maltrattati, lo Stato dov’è, li ascolta o li ignora?

Attualità & Cronaca

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Sono stato indotto a scrivere questo pezzo per dare voce a chi purtroppo non ha accesso nella stanza dei bottoni, in definitiva, non ha voce. Prendo spunto dai lavoratori dell’ILVA che sotto le finestre del MISE gridavano: “più rispetto” ma questo grido attraversa inevitabilmente tutte le categorie e stenta ad essere ascoltato perché a Taranto come in altre fabbriche le soluzioni non arrivano in tempi brevi.

Dei 105 tavoli aperti al MISE a inizio anno con 110.000 lavoratori coinvolti, sarebbe interessante sapere quanti sono chiusi con soluzioni positive che hanno salvaguardato i posti di lavoro. Quanti lavoratori perderanno il posto di lavoro per la scadenza del blocco dei licenziamenti collettivi? Speriamo nessuno ma alle parole, agli impegni devono seguire fatti. C’è da non dormire la notte.

Entro l’estate l’Ilva tornerà sotto il controllo dello Stato e questa può essere una buona notizia ma a quale prezzo? La riconversione industriale passa attraverso il ruolo della nuova società Acciaierie Italia. Giancarlo Giorgetti e Andrea Orlandi  sono invitati a “non dormire la notte” prima di mettere in cassaforte l’accordo e gli uomini e Dio renderanno loro merito.

Il rispetto parte soprattutto da una chiarezza comportamentale e non riguarda solo il settore privato ma anche quello pubblico dove per esempio i docenti della scuole sono in alcune fattispecie concrete sottoposti ad angherie quotidiane che passano in assoluto silenzio per quieto vivere e il sistema di controllo e sanzionatorio nei confronti dei dirigenti non esiste da parte delle Autorità scolastiche che esercitano il diritto di vita e di morte, ius vitae ac necis, sui docenti  che si consumano nel più assoluto silenzio.

Perché? Perché non  si parte dal rispetto per le persone prima di quello per i lavoratori.

Rieccheggia “Quis custodiet custodes?” (lat. «chi custodirà i custodi?». Tratto dalle  Satire (VI, 48-49), dà il senso di un mondo che stenta a creare rapporti maturi e che in un periodo di pandemia e di smart working non mostra la sua parte migliore.

 Ma cosa vuol dire rispettare? Il ruolo del riconoscimento, dell’attenzione e della fiducia coinvolgono la vita di ognuno di noi. Nel 1966 il teologo americano Langdon Gilkey affermò che “il lavoro e la vita sono legati da una strana relazione reciproca….infatti solo lavorando, un essere umano può vivere degnamente, ma solo se il lavoro che compie è produttivo e ricco di significato egli potrà sopportare la vita che quel lavoro gli rende possibile….trovare un significato profondo nelle nostre attività lavorative sembra essere come l’aria che respiriamo; ci rendiamo conto della sua importanza solo quando è inquinata o inizia a scarseggiare. ”

Il sole24ore nel 2020 riportava una indagine svolta su 15.000 lavoratori in dieci nazioni europee che mostrava che il 22% dei lavoratori sotto i 35 anni è convinto che il proprio lavoro sia privo di significato, il 28% non si sente stimolato da ciò che fa e il 27% per le precedenti ragioni sceglie di non impegnarsi al 100%.

Il fenomeno conosciuto come “bullshit jobs”, letteralmente lavori del cavolo, teorizzato da un “antropologo anarchico” statunitense, David Graeber di cui il 5 settembre 2020 il Manifesto pubblicò un ricordo commosso per la sua prematura scomparsa a  Venezia, può trovare soluzione senza aspettare cambiamenti strutturali del sistema economico internazionale.

E’ necessario fornire “ai lavoratori il senso di uno scopo comune” e instaurare nelle organizzazioni relazioni umane.

Il termine inglese “paying respect”,letteralmente rendere omaggio, dà la cifra di questo concetto, una moneta preziosa che può quindi agire come una potente forma di motivazione.

E’ necessario “accorgersi” dei lavoratori per essere attenti a tutti e ciascuno negli enti piccoli e grandi e quindi creare relazioni.

Non è facile ma necessario. Il lavoro dovrà sempre avere un senso e in un periodo di pandemia la tutela della vita del lavoratore diventa la priorità assoluta perché non abbia paura di recarsi sul posto di lavoro.  Traducendola in gesti concreti e tangibili significa passare dalle parole ai fatti.

I sindacalisti si rendano partecipi nell’opera di convincimento dei datori di lavoro a fare il bene perbene. Un lavoro che impegna tutti nella filiera produttiva, ma l’unico metodo che rende credibili innanzitutto i lavoratori perché persone.

Dario Felice Antonio Patruno

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