Storia d’Italia. La Penisola Italiana prima della nascita del Regno d’Italia

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Lezioni di storia di Pierfelice degli Uberti

La Penisola Italiana prima della nascita del Regno d’Italia era composta dai seguenti Stati:

1) Il Regno Lombardo-Veneto (in tedesco Königreich Lombardo–Venetien oppure Lombardisch–Venetianisches Königreich) fu uno Stato dipendente dall’Impero austriaco concepito dal cancelliere Klemens von Metternich all’inizio della Restaurazione seguita al crollo dell’impero napoleonico, la cui nascita venne sancita nel 1814 dal Congresso di Vienna. Il Lombardo-Veneto perse quasi tutta la Lombardia (ad eccezione di Mantova e della riva sinistra del Mincio) nel 1859, quando questa venne annessa al Regno di Sardegna al termine della seconda guerra d’indipendenza italiana, ma il Regno cessò di esistere solo nel 1866 con l’annessione del Veneto, della provincia di Mantova e del Friuli al Regno d’Italia sancita dal Trattato di Vienna.

Sul trono del Lombardo-Veneto si sono succeduti i seguenti sovrani:

    1815-1835: Francesco I d’Asburgo Lorena

    1835-1848: Ferdinando I d’Asburgo Lorena

    1848-1866: Francesco Giuseppe I d’Asburgo Lorena

2) Il Ducato di Parma, Piacenza e Guastalla fu uno Stato preunitario italiano esistito dal 1545 al 1859, con una pausa dal 1808 al 1814 quando fu annesso al Primo impero francese e trasformato in un dipartimento. Il ducato fu governato dapprima dalla dinastia dei Farnese e, dal 1731, da quella dei Borbone-Parma. Nel 1859 i territori ducali furono incorporati alle Province Unite del Centro Italia e successivamente annessi al Regno di Sardegna tramite il plebiscito del 12 marzo 1860.

Duchi regnanti di Parma e Piacenza (1814–1859)

Dopo la caduta di Napoleone, il Congresso di Vienna decise di restaurare il ducato di Parma e Piacenza affidandolo a titolo vitalizio all’arciduchessa Maria Luisa d’Austria, moglie di Napoleone ed ex imperatrice dei francesi. Alla sua morte si stabilì che il ducato sarebbe tornato ai Borbone-Parma, regnanti nel frattempo sul ducato di Lucca.

Asburgo-Lorena (1814–1847)

Il suo successore Carlo Lodovico di Borbone, duca di Lucca dal 1824, prese il nome di Carlo II, e fu duca solo di Parma e Piacenza, perché col trattato di Firenze del 1843, che doveva aver vigore alla morte di Maria Luisa, aveva ceduto al duca di Modena il Guastallese e il territorio parmigiano sulla destra dell’Enza, in cambio di Bazzano e Scurano e di una porzione della Lunigiana con Pontremoli e Bagnone.

Anche per questo fu subito inviso ai sudditi, i quali gli chiesero invano le riforme che i tempi nuovi richiedevano. Respinta da lui una domanda di allontanamento delle truppe ungheresi, che egli aveva chiamate ad occupare il ducato (9 febbraio 1848) dopo essersi alleato con l’Austria, il popolo insorse e il duca fu costretto a nominare una reggenza, che si convertì poi in governo provvisorio (9 aprile), si unì al re di Sardegna nella guerra all’Austria e proclamò l’annessione al Piemonte. Ma per l’armistizio del 9 agosto 1848 le truppe austriache del gen. Degenfeld-Schönburg rientravano a Parma, in nome di Carlo II, che ne era uscito nella notte del 18 aprile precedente.

Quando le ostilità furono riprese il 12 marzo 1849 i Parmigiani chiesero di nuovo l’annessione al Piemonte. Due giorni dopo il duca Carlo II, con atto datato da Weistropp in Sassonia, abdicava in favore del figlio Ferdinando, che col nome di Carlo III assumeva da Londra le redini del governo, il 20 marzo 1849.

Con l’appoggio della guarnigione austriaca il nuovo duca iniziò una reazione spietata, per cui morì assassinato il 26 marzo 1854. Suo figlio Roberto I, nato il 9 luglio 1848, gli successe sotto la reggenza della madre Maria Luisa di Borbone, sorella del conte di Chambord, che governò fra non lievi difficoltà sino allo scoppio della guerra del ’59. Allora i Parmigiani chiesero di nuovo l’annessione al Piemonte. La reggente dovette ritirarsi a Mantova con il figlio. Quando però venne nominato un governo provvisorio in nome di Vittorio Emanuele II, un pronunciamento delle truppe impose il richiamo della duchessa (4 maggio). Ma dopo Magenta la reggente sciolse i soldati dal giuramento di fedeltà, e partì definitivamente dal ducato (9 giugno). Fu allora nominata una commissione governativa per preparare l’unione al Piemonte. Intanto si adottava la bandiera tricolore e si offriva la sovranità a Vittorio Emanuele.

Un governatore piemontese, il conte Diodato Pallieri, arrivò il 16 giugno e, efficacemente aiutato dal conte Girolamo Cantelli, continuò con senno l’opera iniziata dalla commissione. Il governo fu poi assunto dall’avv. Giuseppe Manfredi (8 agosto), che convocò i comizî per il plebiscito in favore dell’unione al Piemonte e preparò la temporanea fusione degli stati parmensi con quelli di Reggio e Modena, sotto Luigi Carlo Farini, dittatore delle Provincie parmensi e modenesi (18 agosto). L’unione alla monarchia costituzionale di Vittorio Emanuele II fu approvata con 63.403 voti contro 506. Col decreto del 8 marzo 1860 Parma e Piacenza furono definitivamente annesse al regno di Sardegna, prossimo a diventare regno d’Italia.

3) Granducato di Toscana. Il Granducato di Toscana fu un antico Stato italiano esistito per duecentonovanta anni, tra il 1569 e il 1859, costituito con bolla emessa da papa Pio V il 27 agosto 1569, dopo la conquista della repubblica di Siena da parte della dinastia dei Medici, reggitori della Repubblica di Firenze, nella fase conclusiva delle guerre d’Italia del XVI secolo. Fino alla seconda metà del XVIII secolo fu uno stato confederale costituito dal Ducato di Firenze (detto “Stato vecchio”) e dallo Stato Nuovo di Siena, in unione personale nel granduca. Il titolo traeva origine da quello del Ducato di Tuscia, poi Marca di Tuscia e quindi Margraviato di Toscana, titolo giuridico di governo del territorio di natura feudale in epoca longobarda, franca e post-carolingia.

Dopo l’estinzione della dinastia medicea, nel 1737 subentrò la dinastia degli Asburgo-Lorena, che resse le sorti del granducato sino all’unità d’Italia, pur con l’interruzione dell’epoca napoleonica. Tra il 1801 ed il 1807, infatti, Napoleone Bonaparte occupò la Toscana e l’assegnò alla casata dei Borbone-Parma col nome di regno d’Etruria. Col crollo dell’impero napoleonico nel 1814, venne restaurato il granducato. Nel 1859 la Toscana venne occupata dalle truppe del regno di Sardegna e divennero note col nome di Province dell’Italia Centrale. La Toscana venne formalmente annessa al regno sardo nel 1860, come parte del processo di unificazione nazionale, con un referendum popolare che sfiorò il 95% dei si.

I sovrani del Granducato

Il primo sovrano del Granducato di Toscana fu Francesco Stefano di Lorena,conosciuto anche come Francesco II, che salì al potere alla morte di Gian Gastone dei Medici nel 1737. Sposato con Maria Teresa D’Asburgo, figlia dell’imperatore Carlo IV, governò la Toscana da Vienna. Infatti aveva accettato l’incarico di Granduca contro voglia, e preferì la corte viennese, soggiornando a Firenze per soli tre mesi. Delegò il potere ad un consiglio di rappresentanza.

Alla sua improvvisa morte nel 1765, salì al potere il suo secondogenito Pietro Leopoldo (Leopoldo II). A differenza del padre si stabilì subito a Firenze, da dove governò con una politica illuminata il Granducato di Toscana. Gli anni del suo governo (1765-1790) furono infatti segnati da grandi riforme in tutti i campi, che resero la Toscana un modello di riformismo in tutta Europa. Tra le riforme più significative ci fu la riorganizzazione dell’amministrazione e la pubblicazione del bilancio, la riforma tributaria che rendeva i cittadini uguali, l’abolizione della tortura e della pena di morte, seguendo per primo i principi di Cesare Beccaria. Ma soprattutto egli iniziò un’importante opera di bonifica nelle aree paludose della Maremma e Valdichiana, dando nuovi e forti impulsi all’agricoltura e la commercio liberistico costruendo un moderno sistema di comunicazioni stradali.

Pietro Leopoldo fu quindi un sovrano illuminato e un illustre mecenate. Fondò infatti molti musei, accademie e scuole, tra le quali l’Accademia dei Georgofili e rinnovando le università di Pisa e Siena.

Quando nel 1790 Pietro Leopoldo ereditò la corona asburgica, in seguito alla morte del fratello Giuseppe II, lasciò il titolo di Granduca di Toscana al figlio Ferdinando III. Salì al potere in un momento storico particolarmente turbolento – siamo infatti in piena Rivoluzione Francese – e cercò di seguire la politica del padre, tentando di limitare gli eccessi della Rivoluzione Francese, soprattutto in ambito religioso. In politica estera cercò di mantenere una posizione neutrale, che non servì ad evitare l’invasione nel 1799 da parte dell’esercito francese, che lo costrinse a fuggire a Vienna. Ritornò a Firenze nel 1814 dopo la caduta di Napoleone e il Congresso di Vienna, accolto da grandi festeggiamenti. Grazie a Ferdinando III la Restaurazione in Toscana fu un esempio per gli altri, poichè fu segnata dalla sua politica di tolleranza. Egli infatti non abrogò le leggi francesi e non licenziò il personale che aveva lavorato per loro. Iniziò anzi grandi opere di ristrutturazione, realizzando numerose strade, acquedotti e continuò l’opera di bonifica della Maremma e della Valdichiana, fino alla sua morte nel 1824.

A Ferdinando III succedette suo figlio Pietro Leopoldo II che fu molto amato dai toscani per il suo carattere mite e l’atteggiamento informale. Dimostrò di voler essere un sovrano indipendente e di aver voglia di impegnarsi, tanto che ridusse subito la tassa sulla carne. Si impegnò in nuove opere pubbliche, come l’ampliamento del porto di Livorno, nello sviluppo delle prime attività turistiche e della continuazione della bonifica della Maremma (i Grossetani sono infatti a lui molto affezionati, come ricorda il monumento in suo onore in Piazza Dante). Pietro Leopoldo II si distinse anche per la sua tolleranza verso intellettuali e artisti perseguitati o no soddisfatti, come Giacomo Leopardi, Alessandro Manzoni, Niccolò Tommaseo, Guerrazzi ed altri. Egli rimanè al potere fino al 1859 quando fu costretto ad andare in esilio a causa dei tumulti d’indipendenza che erano presenti in tutta Italia.

Quando Pietro Leopoldo abdicò salì virtualmente al trono suo figlio Ferdinando IV. Egli non fu mai realmente incoronato Granduca, rimanendo in carica fino al passaggio della Toscana al Regno d’Italia nel 1860.

4) Stato Pontificio, Stato con riferimento al pontefice romano come sovrano temporale, lo Stato della Chiesa, governato dal papa fino al 1870.

La fine del potere temporale

Durante il 18° sec. lo Stato della Chiesa fu oggetto di ripetute rappresaglie da parte di altri Stati, allo scopo di ottenere dai pontefici concessioni alle riforme dell’imperante giurisdizionalismo. Intanto il cardinale G. Alberoni terminò l’opera di unificazione amministrativa delle province: riorganizzazione in senso assolutistico, che, se condusse al definitivo trionfo della sovranità pontificia sugli ultimi avanzi delle vecchie autonomie, non rafforzò per nulla lo Stato, il quale mostrò la sua organica incapacità di resistenza al primo urto con la Francia rivoluzionaria. Col trattato di Tolentino (1797) si ebbero le prime mutilazioni dello Stato della Chiesa col consenso del pontefice (cessione delle Legazioni, rinuncia ad Avignone e al Contado Venassino). Il 15 febbraio 1798 una sollevazione popolare dichiarò la fine del potere temporale dei pontefici e proclamò la Repubblica Romana, estesa poi alle Marche e all’Umbria. Seguirono la restaurazione del settembre 1799, poi la pace di Lunéville (18 febbraio 1801), che riconfermava la sovranità pontificia sul Patrimonio, meno le Legazioni: infine l’annessione delle Marche al Regno Italico nel 1808. Il 17 maggio 1809 Napoleone abolì del tutto lo Stato della Chiesa senza suscitare straordinarie reazioni da parte degli Stati cattolici.

La Restaurazione riportò anche i pontefici sul trono dello Stato della Chiesa, mutilato del Contado Venassino, di Avignone e del Ferrarese (alla sinistra del Po); mentre l’Austria si riservò il diritto di tenere proprie guarnigioni a Ferrara e Comacchio. Il governo così restaurato si mostrò del tutto impotente dal punto di vista finanziario e da quello militare, e seguì un indirizzo grettamente reazionario, che finì con l’alienargli l’animo degli elementi anche più moderati della popolazione, come si vide nel moto del 1831. Deluse le aspettative di rinnovamento suscitate dai primi provvedimenti di Pio IX (1846-48), lo Stato PONTIFICIO continuò a promuovere una politica rigidamente conservatrice, che accentuò i suoi aspetti autoritari soprattutto dopo il crollo della Repubblica romana (1849).

Ma oramai premeva il moto unitario italiano. Con la proclamazione dell’annessione di Roma al Regno d’Italia (6 ottobre 1870), lo Stato della Chiesa cessò di fatto di esistere; le rappresentanze diplomatiche che pur rimasero significavano, più che il disconoscimento del fatto compiuto, il riconoscimento dell’altissima funzione internazionale del Capo della Chiesa. Solo nel 1929, con la stipula dei Patti lateranensi, veniva riconosciuta dal governo italiano la costituzione dello Stato della Città del Vaticano.

5) Regno delle Due Sicilie. La dinastia dei Borbone delle Due Sicilie, detta anche Borbone di Napoli o Borbone di Sicilia, è uno dei rami italiani dei Borbone e, più precisamente, un ramo cadetto dei Borbone di Spagna. Fu casa reale del Regno di Sicilia citeriore (Regno di Napoli) e del Regno di Sicilia ulteriore (Regno di Sicilia), nel 1816 unificati come Regno delle Due Sicilie.

Carlo di Borbone, nel 1734, durante la guerra di successione polacca, al comando delle armate spagnole Carlo, duca di Parma e Piacenza, conquistò il regno di Napoli e nel 1735 il regno di Sicilia, sottraendoli alla dominazione austriaca. Quell’anno fu incoronato re a Palermo, e nel 1738 fu riconosciuto come tale dai trattati di pace, in cambio della rinuncia agli stati farnesiani e medicei in favore degli Asburgo e dei Lorena. Nel 1738 sposò la 14 enne Maria Amalia di Sassonia ed ebbe tredici figli. Dopo quasi 30 anni di regno, nel 1759 ascese al trono di Spagna con il nome di Carlo III, dopo la morte senza eredi del fratellastro Ferdinando VI di Spagna. Carlo quindi dovette rinunciare ai troni italiani, e abdicò in data 6 ottobre 1759, decretando la definitiva separazione tra la corona spagnola e quelle napoletana e siciliana.

Gli successe il figlio terzogenito maschio Ferdinando di Borbone, mentre il maggiore restò erede al trono di Spagna, dove ascese nel 1788 come Carlo IV. Ferdinando, all’epoca di soli otto anni, regnò inizialmente con il titolo di Ferdinando IV per il Regno di Napoli e Ferdinando III per il Regno di Sicilia e quindi, dal dicembre 1816 fino alla morte nel 1825, come Ferdinando I, re delle Due Sicilie. Fu affidato a un consiglio di reggenza composto di otto membri, con il compito di governare finché il giovane re non avesse compiuto sedici anni; ma le decisioni più importanti le avrebbe comunque prese di persona lo stesso Carlo a Madrid, tramite una fitta corrispondenza con il fidato reggente il giurista Bernardo Tanucci.

Ferdinando sposò nel 1768 Maria Carolina d’Asburgo-Lorena (1752-1814) e quindi morganaticamente (1814) la siciliana Lucia Migliaccio duchessa di Floridia (1770-1826), creata principessa di Casturia, vedova di don Benedetto Grifeo, principe di Partanna. Ebbe 17 figli (e una figlia nata morta) dalla prima moglie, dieci dei quali morirono ancora bambini, mentre 3 figlie sposate premorirono ai genitori (Maria Teresa imperatrice d’Austria, Maria Luisa granduchessa di Toscana, e Maria Antonietta, principessa delle Asturie), mentre solo quattro sopravvissero ai genitori (il successore Francesco I, Maria Cristina regina di Sardegna, Maria Amelia regina di Francia e Leopoldo principe di Salerno).

Francesco I delle Due Sicilie (1777-1830), figlio di Ferdinando I e di Maria Carolina d’Asburgo-Lorena, re delle due Sicilie dalla morte del padre nel 1825. Sposò nel 1797 sua cugina Maria Clementina d’Asburgo Lorena (1777-1801) figlia dell’imperatore Leopoldo II dalla quale ebbe: Carolina (1798-1870), che sposò nel 1816 Carlo Ferdinando di Borbone, duca di Berry (1778-1820) figlio del re Carlo X di Francia, e successivamente, morganaticamente nel 1831, Ettore Lucchesi Palli, duca della Grazia. Rimasto vedovo di Maria Clementina, sposò nel 1802 Maria Isabella di Borbone, Infanta di Spagna (1789-1848), figlia del re Carlo IV dalla quale ebbe 12 figli.

Ferdinando II delle Due Sicilie (1810-1859), figlio di Francesco I e di Maria Isabella di Borbone-Spagna, fu re delle Due Sicilie dalla morte del padre, nel 1830, fino alla sua morte. Sposò nel 1832 Maria Cristina di Savoia (1812-1836), figlia del re Vittorio Emanuele I di Savoia, dalla quale ebbe un solo figlio: Francesco, duca di Calabria, re delle Due Sicilie come Francesco II alla morte del padre. Rimasto vedovo sposò nel 1837 Maria Teresa d’Asburgo-Teschen (1816-1867) dalla quale ebbe 12 figli.

Francesco II delle Due Sicilie (1836-1894), figlio di Ferdinando II e della sua prima moglie, Maria Cristina di Savoia, re delle Due Sicilie dalla morte del padre nel 1859 fino al 1861 quando il regno fu inglobato nel Regno d’Italia. Sposò nel 1859 Maria Sofia di Baviera (1841-1925) dalla quale nel Natale del 1859 ebbe una figlia, Maria Cristina Pia, che però morì di lì a tre mesi.

Francesco II dal 1861 restò pretendente al trono delle Due Sicilie e capo della casata fino alla morte nel 1894.

6) I Savoia re d’Italia. Il Regno d’Italia fu lo Stato italiano proclamato il 17 marzo 1861[7] durante il Risorgimento, in seguito alla Seconda guerra d’indipendenza combattuta dal Regno di Sardegna per conseguire l’unificazione nazionale italiana, unificazione poi proseguita con la Terza guerra d’indipendenza italiana nel 1866 e l’annessione dello Stato Pontificio, con la conseguente presa di Roma, nel 1870.

Il completamento del territorio nazionale avvenne tuttavia solo al termine della prima guerra mondiale, considerata come la quarta guerra d’indipendenza italiana, il 4 novembre 1918 (giorno della diramazione del Bollettino della Vittoria che annunciava che l’Impero austro-ungarico si arrendeva all’Italia) in base all’armistizio firmato a Villa Giusti, nei pressi di Padova. Con il successivo trattato di Saint-Germain-en-Laye, nel 1919, l’Italia completò l’unità nazionale con l’annessione di Trento, Trieste, l’Istria e parte della Dalmazia.

Dal 1861 al 1946 fu una monarchia costituzionale basata sullo Statuto Albertino, concesso nel 1848 da Carlo Alberto di Savoia ai suoi sudditi del Regno di Sardegna, prima di abdicare l’anno successivo. Al vertice dello Stato vi era il re, il quale riassumeva in sé i tre poteri legislativo, esecutivo e giudiziario seppur esercitati non in maniera assoluta. Tale forma di governo fu avversata dalle frange repubblicane (oltreché internazionaliste e anarchiche) e si concretizzò soprattutto in due note vicende: la fucilazione di Pietro Barsanti (considerato il primo martire della Repubblica Italiana) e l’attentato di Giovanni Passannante, di fede anarchica.

Nel periodo del Regno d’Italia fu a più riprese intrapresa la costituzione di possedimenti coloniali che compresero domini in Africa orientale, in Libia e nel Mediterraneo, e una concessione a Tientsin, in Cina. Il Regno d’Italia prese parte alla terza guerra d’indipendenza, a diverse guerre coloniali e a due conflitti mondiali.

Nel 1946 l’Italia divenne una repubblica e nello stesso anno fu dotata di un’Assemblea Costituente al fine di redigere una costituzione avente valore di legge suprema dello Stato repubblicano, onde sostituire lo Statuto Albertino sino ad allora vigente. La trasformazione nell’attuale assetto istituzionale avvenne in seguito a un referendum tenutosi il 2 e 3 giugno, che sancì la nascita della Repubblica Italiana, che il 1º gennaio 1948 si dotò di nuova Costituzione.

Regno di Vittorio Emanuele II (1861-78).

A seguito dei plebisciti del 1859 e 1860, la nascita del Regno d’Italia fu ufficializzata il 17 marzo 1861 allorché Vittorio Emanuele II, già Re di Sardegna, assumeva per sé e per i suoi discendenti il titolo di “Re d’Italia”; dal punto di vista istituzionale e giuridico assunse la struttura e le norme del Regno di Sardegna, esso fu infatti de jure una monarchia costituzionale, secondo la lettera dello Statuto Albertino del 1848. Il Re nominava il governo, che era responsabile di fronte al sovrano e non al parlamento; il re manteneva inoltre prerogative in politica estera e, per consuetudine, sceglieva i ministri militari (Guerra e Marina). Nei vent’anni antecedenti allo scoppio della prima guerra mondiale, il Regno d’Italia vide un graduale ma costante cambiamento verso una monarchia de facto parlamentare, in quanto i governi di quegli anni chiedevano la fiducia alla Camera dei Deputati, e non più al Senato del Regno: per questo si può dire che il Senato avesse perso quasi ogni sua funzione, dall’approvazione delle leggi fino alla fiducia al governo. Il diritto di voto era attribuito, secondo la legge elettorale piemontese del 1848, in base al censo; in questo modo gli aventi diritto al voto costituivano appena il 2% della popolazione. Le basi del nuovo regime erano quindi estremamente ristrette, conferendogli una grande fragilità. Tornando al 1861 il Regno d’Italia si configurava come una delle maggiori nazioni d’Europa, almeno a livello di popolazione e di superficie (22 milioni su una superficie di 259320 km²), ma non poteva considerarsi una grande potenza, a causa soprattutto della sua debolezza economica e politica. Le differenze economiche, sociali e culturali ereditate dal passato ostacolavano la costruzione di uno Stato unitario.

Accanto ad aree tradizionalmente industrializzate coinvolte in processi di rapida modernizzazione (soprattutto le grandi città e le ex capitali), esistevano situazioni statiche ed arcaiche riguardanti soprattutto l’estesissimo mondo agricolo e rurale italiano. L’estraneità delle masse popolari al regno unitario si palesò in una serie di sommosse, rivolte, fino a una diffusa guerriglia contro il governo unitario, il cosiddetto brigantaggio, che interessò principalmente le province meridionali (1861-1865), impegnando gran parte del neonato esercito in una repressione spietata, tanto da venire considerata da molti una vera e propria guerra civile. Quest’ultimo avvenimento in particolare fu uno dei primi e più tragici aspetti della cosiddetta questione meridionale. Ulteriore elemento di fragilità era costituito dall’ostilità della Chiesa cattolica e del clero nei confronti del nuovo Stato liberale, ostilità alimentata dalla Legge Rattazzi, che si sarebbe rafforzata dopo il 1870 con la presa di Roma (questione romana).

Regno di Umberto I (1878-1900).

Umberto I di Savoia (Umberto Rainerio Carlo Vittorio Emanuele Giovanni Maria Ferdinando Eugenio di Savoia; Torino, 14 marzo 1844 – Monza, 29 luglio 1900) è stato Re d’Italia dal 1878 al 1900. Figlio di Vittorio Emanuele II, primo re d’Italia, e di Maria Adelaide d’Austria, regina del Regno di Sardegna, morta nel 1855, il suo regno fu contrassegnato da diversi eventi, che produssero opinioni e sentimenti opposti.

Il monarca viene ricordato positivamente da alcuni per il suo atteggiamento dimostrato nel fronteggiare sciagure come l’epidemia di colera a Napoli del 1884, prodigandosi personalmente nei soccorsi (perciò fu soprannominato “Re Buono”), e per la promulgazione del cosiddetto codice Zanardelli, che apportò alcune innovazioni nel codice penale, come l’abolizione della pena di morte.

Da altri fu duramente avversato per il suo rigido conservatorismo (inaspritosi negli ultimi anni del regno), il suo indiretto coinvolgimento nello scandalo della Banca Romana, l’avallo alle repressioni dei moti popolari del 1898 e l’onorificenza concessa al generale Fiorenzo Bava Beccaris per la sanguinosa azione di soffocamento delle manifestazioni del maggio dello stesso anno a Milano, azioni e condotte politiche che gli costarono almeno tre attentati nell’arco di 22 anni, fino a quello che a Monza, il 29 luglio 1900, per mano dell’anarchico Gaetano Bresci, gli sarà fatale. Proprio dagli anarchici, Umberto I ricevette il soprannome di “Re Mitraglia”. Fu anche il destinatario di uno dei biglietti della follia di Friedrich Nietzsche. Da Umberto I prende il nome l’omonimo stile artistico e architettonico.

Regno di Vittorio Emanuele III (1900-1946).

Vittorio Emanuele III di Savoia (Vittorio Emanuele Ferdinando Maria Gennaro di Savoia; Napoli, 11 novembre 1869 – Alessandria d’Egitto, 28 dicembre 1947) è stato Re d’Italia (dal 1900 al 1946), Imperatore d’Etiopia (dal 1936 al 1943), Primo Maresciallo dell’Impero (dal 4 aprile 1938) e Re d’Albania (dal 1939 al 1943). Abdicò il 9 maggio 1946 e gli succedette il figlio Umberto II. Figlio di Umberto I di Savoia e di Margherita di Savoia, ricevette alla nascita il titolo di principe di Napoli, nell’evidente intento di sottolineare l’unità nazionale, raggiunta da poco.

Il suo lungo regno (46 anni) vide, oltre alle due guerre mondiali, l’introduzione del suffragio universale maschile (1912) e femminile (1945), delle prime importanti forme di protezione sociale, il declino ed il crollo dello Stato liberale (1900-1922), la nascita ed il crollo dello Stato fascista (1925-1943), la composizione della questione romana (1929), il raggiungimento dei massimi confini territoriali dell’Italia unita e le maggiori conquiste in ambito coloniale (Libia ed Etiopia). Morì poco più di un anno e mezzo dopo la caduta del Regno d’Italia.

A seguito della vittoria nella prima guerra mondiale venne appellato “Re soldato”.

Detenne un ruolo fondamentale nell’affermazione del fascismo, nella promulgazione delle leggi razziali, nelle criminose guerre coloniali e nell’entrata in guerra durante la seconda guerra mondiale a cui seguì la precipitosa fuga dalla capitale dopo l’armistizio del 1943 lasciando esercito e civili a loro stessi. Nel 1946 compì un tardivo, tentativo di salvare la monarchia abdicando a favore del figlio. In Italia gli odonimi a lui dedicati sono 409 e sono distribuiti in maniera difforme.

Regno di Umberto II (1946).

Umberto II di Savoia (Umberto Nicola Tommaso Giovanni Maria di Savoia; Racconigi, 15 settembre 1904 – Ginevra, 18 marzo 1983) è stato Luogotenente Generale del Regno d’Italia dal 1944 al 1946 e ultimo Re d’Italia, dal 9 maggio 1946 al 18 giugno dello stesso anno. Nonostante il risultato del Referendum istituzionale del 2 giugno, solo il 13 giugno il Consiglio dei ministri poté trasferire ad Alcide De Gasperi, con un gesto che Umberto II definì rivoluzionario, le funzioni accessorie di capo provvisorio dello Stato. A causa della brevissima durata del suo regno, poco più di un mese, venne soprannominato Re di maggio.

1) Il Regno Lombardo-Veneto (in tedesco Königreich Lombardo–Venetien oppure Lombardisch–Venetianisches Königreich) fu uno Stato dipendente dall’Impero austriaco concepito dal cancelliere Klemens von Metternich all’inizio della Restaurazione seguita al crollo dell’impero napoleonico, la cui nascita venne sancita nel 1814 dal Congresso di Vienna. Il Lombardo-Veneto perse quasi tutta la Lombardia (ad eccezione di Mantova e della riva sinistra del Mincio) nel 1859, quando questa venne annessa al Regno di Sardegna al termine della seconda guerra d’indipendenza italiana, ma il Regno cessò di esistere solo nel 1866 con l’annessione del Veneto, della provincia di Mantova e del Friuli al Regno d’Italia sancita dal Trattato di Vienna.

Sul trono del Lombardo-Veneto si sono succeduti i seguenti sovrani:

    1815-1835: Francesco I d’Asburgo Lorena

    1835-1848: Ferdinando I d’Asburgo Lorena

    1848-1866: Francesco Giuseppe I d’Asburgo Lorena

2) Il Ducato di Parma, Piacenza e Guastalla fu uno Stato preunitario italiano esistito dal 1545 al 1859, con una pausa dal 1808 al 1814 quando fu annesso al Primo impero francese e trasformato in un dipartimento. Il ducato fu governato dapprima dalla dinastia dei Farnese e, dal 1731, da quella dei Borbone-Parma. Nel 1859 i territori ducali furono incorporati alle Province Unite del Centro Italia e successivamente annessi al Regno di Sardegna tramite il plebiscito del 12 marzo 1860.

Duchi regnanti di Parma e Piacenza (1814–1859)

Dopo la caduta di Napoleone, il Congresso di Vienna decise di restaurare il ducato di Parma e Piacenza affidandolo a titolo vitalizio all’arciduchessa Maria Luisa d’Austria, moglie di Napoleone ed ex imperatrice dei francesi. Alla sua morte si stabilì che il ducato sarebbe tornato ai Borbone-Parma, regnanti nel frattempo sul ducato di Lucca.

Asburgo-Lorena (1814–1847)

Il suo successore Carlo Lodovico di Borbone, duca di Lucca dal 1824, prese il nome di Carlo II, e fu duca solo di Parma e Piacenza, perché col trattato di Firenze del 1843, che doveva aver vigore alla morte di Maria Luisa, aveva ceduto al duca di Modena il Guastallese e il territorio parmigiano sulla destra dell’Enza, in cambio di Bazzano e Scurano e di una porzione della Lunigiana con Pontremoli e Bagnone.

Anche per questo fu subito inviso ai sudditi, i quali gli chiesero invano le riforme che i tempi nuovi richiedevano. Respinta da lui una domanda di allontanamento delle truppe ungheresi, che egli aveva chiamate ad occupare il ducato (9 febbraio 1848) dopo essersi alleato con l’Austria, il popolo insorse e il duca fu costretto a nominare una reggenza, che si convertì poi in governo provvisorio (9 aprile), si unì al re di Sardegna nella guerra all’Austria e proclamò l’annessione al Piemonte. Ma per l’armistizio del 9 agosto 1848 le truppe austriache del gen. Degenfeld-Schönburg rientravano a Parma, in nome di Carlo II, che ne era uscito nella notte del 18 aprile precedente.

Quando le ostilità furono riprese il 12 marzo 1849 i Parmigiani chiesero di nuovo l’annessione al Piemonte. Due giorni dopo il duca Carlo II, con atto datato da Weistropp in Sassonia, abdicava in favore del figlio Ferdinando, che col nome di Carlo III assumeva da Londra le redini del governo, il 20 marzo 1849.

Con l’appoggio della guarnigione austriaca il nuovo duca iniziò una reazione spietata, per cui morì assassinato il 26 marzo 1854. Suo figlio Roberto I, nato il 9 luglio 1848, gli successe sotto la reggenza della madre Maria Luisa di Borbone, sorella del conte di Chambord, che governò fra non lievi difficoltà sino allo scoppio della guerra del ’59. Allora i Parmigiani chiesero di nuovo l’annessione al Piemonte. La reggente dovette ritirarsi a Mantova con il figlio. Quando però venne nominato un governo provvisorio in nome di Vittorio Emanuele II, un pronunciamento delle truppe impose il richiamo della duchessa (4 maggio). Ma dopo Magenta la reggente sciolse i soldati dal giuramento di fedeltà, e partì definitivamente dal ducato (9 giugno). Fu allora nominata una commissione governativa per preparare l’unione al Piemonte. Intanto si adottava la bandiera tricolore e si offriva la sovranità a Vittorio Emanuele.

Un governatore piemontese, il conte Diodato Pallieri, arrivò il 16 giugno e, efficacemente aiutato dal conte Girolamo Cantelli, continuò con senno l’opera iniziata dalla commissione. Il governo fu poi assunto dall’avv. Giuseppe Manfredi (8 agosto), che convocò i comizî per il plebiscito in favore dell’unione al Piemonte e preparò la temporanea fusione degli stati parmensi con quelli di Reggio e Modena, sotto Luigi Carlo Farini, dittatore delle Provincie parmensi e modenesi (18 agosto). L’unione alla monarchia costituzionale di Vittorio Emanuele II fu approvata con 63.403 voti contro 506. Col decreto del 8 marzo 1860 Parma e Piacenza furono definitivamente annesse al regno di Sardegna, prossimo a diventare regno d’Italia.

3) Granducato di Toscana. Il Granducato di Toscana fu un antico Stato italiano esistito per duecentonovanta anni, tra il 1569 e il 1859, costituito con bolla emessa da papa Pio V il 27 agosto 1569, dopo la conquista della repubblica di Siena da parte della dinastia dei Medici, reggitori della Repubblica di Firenze, nella fase conclusiva delle guerre d’Italia del XVI secolo. Fino alla seconda metà del XVIII secolo fu uno stato confederale costituito dal Ducato di Firenze (detto “Stato vecchio”) e dallo Stato Nuovo di Siena, in unione personale nel granduca. Il titolo traeva origine da quello del Ducato di Tuscia, poi Marca di Tuscia e quindi Margraviato di Toscana, titolo giuridico di governo del territorio di natura feudale in epoca longobarda, franca e post-carolingia.

Dopo l’estinzione della dinastia medicea, nel 1737 subentrò la dinastia degli Asburgo-Lorena, che resse le sorti del granducato sino all’unità d’Italia, pur con l’interruzione dell’epoca napoleonica. Tra il 1801 ed il 1807, infatti, Napoleone Bonaparte occupò la Toscana e l’assegnò alla casata dei Borbone-Parma col nome di regno d’Etruria. Col crollo dell’impero napoleonico nel 1814, venne restaurato il granducato. Nel 1859 la Toscana venne occupata dalle truppe del regno di Sardegna e divennero note col nome di Province dell’Italia Centrale. La Toscana venne formalmente annessa al regno sardo nel 1860, come parte del processo di unificazione nazionale, con un referendum popolare che sfiorò il 95% dei si.

I sovrani del Granducato

Il primo sovrano del Granducato di Toscana fu Francesco Stefano di Lorena,conosciuto anche come Francesco II, che salì al potere alla morte di Gian Gastone dei Medici nel 1737. Sposato con Maria Teresa D’Asburgo, figlia dell’imperatore Carlo IV, governò la Toscana da Vienna. Infatti aveva accettato l’incarico di Granduca contro voglia, e preferì la corte viennese, soggiornando a Firenze per soli tre mesi. Delegò il potere ad un consiglio di rappresentanza.

Alla sua improvvisa morte nel 1765, salì al potere il suo secondogenito Pietro Leopoldo (Leopoldo II). A differenza del padre si stabilì subito a Firenze, da dove governò con una politica illuminata il Granducato di Toscana. Gli anni del suo governo (1765-1790) furono infatti segnati da grandi riforme in tutti i campi, che resero la Toscana un modello di riformismo in tutta Europa. Tra le riforme più significative ci fu la riorganizzazione dell’amministrazione e la pubblicazione del bilancio, la riforma tributaria che rendeva i cittadini uguali, l’abolizione della tortura e della pena di morte, seguendo per primo i principi di Cesare Beccaria. Ma soprattutto egli iniziò un’importante opera di bonifica nelle aree paludose della Maremma e Valdichiana, dando nuovi e forti impulsi all’agricoltura e la commercio liberistico costruendo un moderno sistema di comunicazioni stradali.

Pietro Leopoldo fu quindi un sovrano illuminato e un illustre mecenate. Fondò infatti molti musei, accademie e scuole, tra le quali l’Accademia dei Georgofili e rinnovando le università di Pisa e Siena.

Quando nel 1790 Pietro Leopoldo ereditò la corona asburgica, in seguito alla morte del fratello Giuseppe II, lasciò il titolo di Granduca di Toscana al figlio Ferdinando III. Salì al potere in un momento storico particolarmente turbolento – siamo infatti in piena Rivoluzione Francese – e cercò di seguire la politica del padre, tentando di limitare gli eccessi della Rivoluzione Francese, soprattutto in ambito religioso. In politica estera cercò di mantenere una posizione neutrale, che non servì ad evitare l’invasione nel 1799 da parte dell’esercito francese, che lo costrinse a fuggire a Vienna. Ritornò a Firenze nel 1814 dopo la caduta di Napoleone e il Congresso di Vienna, accolto da grandi festeggiamenti. Grazie a Ferdinando III la Restaurazione in Toscana fu un esempio per gli altri, poichè fu segnata dalla sua politica di tolleranza. Egli infatti non abrogò le leggi francesi e non licenziò il personale che aveva lavorato per loro. Iniziò anzi grandi opere di ristrutturazione, realizzando numerose strade, acquedotti e continuò l’opera di bonifica della Maremma e della Valdichiana, fino alla sua morte nel 1824.

A Ferdinando III succedette suo figlio Pietro Leopoldo II che fu molto amato dai toscani per il suo carattere mite e l’atteggiamento informale. Dimostrò di voler essere un sovrano indipendente e di aver voglia di impegnarsi, tanto che ridusse subito la tassa sulla carne. Si impegnò in nuove opere pubbliche, come l’ampliamento del porto di Livorno, nello sviluppo delle prime attività turistiche e della continuazione della bonifica della Maremma (i Grossetani sono infatti a lui molto affezionati, come ricorda il monumento in suo onore in Piazza Dante). Pietro Leopoldo II si distinse anche per la sua tolleranza verso intellettuali e artisti perseguitati o no soddisfatti, come Giacomo Leopardi, Alessandro Manzoni, Niccolò Tommaseo, Guerrazzi ed altri. Egli rimanè al potere fino al 1859 quando fu costretto ad andare in esilio a causa dei tumulti d’indipendenza che erano presenti in tutta Italia.

Quando Pietro Leopoldo abdicò salì virtualmente al trono suo figlio Ferdinando IV. Egli non fu mai realmente incoronato Granduca, rimanendo in carica fino al passaggio della Toscana al Regno d’Italia nel 1860.

4) Stato Pontificio, Stato con riferimento al pontefice romano come sovrano temporale, lo Stato della Chiesa, governato dal papa fino al 1870.

La fine del potere temporale

Durante il 18° sec. lo Stato della Chiesa fu oggetto di ripetute rappresaglie da parte di altri Stati, allo scopo di ottenere dai pontefici concessioni alle riforme dell’imperante giurisdizionalismo. Intanto il cardinale G. Alberoni terminò l’opera di unificazione amministrativa delle province: riorganizzazione in senso assolutistico, che, se condusse al definitivo trionfo della sovranità pontificia sugli ultimi avanzi delle vecchie autonomie, non rafforzò per nulla lo Stato, il quale mostrò la sua organica incapacità di resistenza al primo urto con la Francia rivoluzionaria. Col trattato di Tolentino (1797) si ebbero le prime mutilazioni dello Stato della Chiesa col consenso del pontefice (cessione delle Legazioni, rinuncia ad Avignone e al Contado Venassino). Il 15 febbraio 1798 una sollevazione popolare dichiarò la fine del potere temporale dei pontefici e proclamò la Repubblica Romana, estesa poi alle Marche e all’Umbria. Seguirono la restaurazione del settembre 1799, poi la pace di Lunéville (18 febbraio 1801), che riconfermava la sovranità pontificia sul Patrimonio, meno le Legazioni: infine l’annessione delle Marche al Regno Italico nel 1808. Il 17 maggio 1809 Napoleone abolì del tutto lo Stato della Chiesa senza suscitare straordinarie reazioni da parte degli Stati cattolici.

La Restaurazione riportò anche i pontefici sul trono dello Stato della Chiesa, mutilato del Contado Venassino, di Avignone e del Ferrarese (alla sinistra del Po); mentre l’Austria si riservò il diritto di tenere proprie guarnigioni a Ferrara e Comacchio. Il governo così restaurato si mostrò del tutto impotente dal punto di vista finanziario e da quello militare, e seguì un indirizzo grettamente reazionario, che finì con l’alienargli l’animo degli elementi anche più moderati della popolazione, come si vide nel moto del 1831. Deluse le aspettative di rinnovamento suscitate dai primi provvedimenti di Pio IX (1846-48), lo Stato PONTIFICIO continuò a promuovere una politica rigidamente conservatrice, che accentuò i suoi aspetti autoritari soprattutto dopo il crollo della Repubblica romana (1849).

Ma oramai premeva il moto unitario italiano. Con la proclamazione dell’annessione di Roma al Regno d’Italia (6 ottobre 1870), lo Stato della Chiesa cessò di fatto di esistere; le rappresentanze diplomatiche che pur rimasero significavano, più che il disconoscimento del fatto compiuto, il riconoscimento dell’altissima funzione internazionale del Capo della Chiesa. Solo nel 1929, con la stipula dei Patti lateranensi, veniva riconosciuta dal governo italiano la costituzione dello Stato della Città del Vaticano.

5) Regno delle Due Sicilie. La dinastia dei Borbone delle Due Sicilie, detta anche Borbone di Napoli o Borbone di Sicilia, è uno dei rami italiani dei Borbone e, più precisamente, un ramo cadetto dei Borbone di Spagna. Fu casa reale del Regno di Sicilia citeriore (Regno di Napoli) e del Regno di Sicilia ulteriore (Regno di Sicilia), nel 1816 unificati come Regno delle Due Sicilie.

Carlo di Borbone, nel 1734, durante la guerra di successione polacca, al comando delle armate spagnole Carlo, duca di Parma e Piacenza, conquistò il regno di Napoli e nel 1735 il regno di Sicilia, sottraendoli alla dominazione austriaca. Quell’anno fu incoronato re a Palermo, e nel 1738 fu riconosciuto come tale dai trattati di pace, in cambio della rinuncia agli stati farnesiani e medicei in favore degli Asburgo e dei Lorena. Nel 1738 sposò la 14 enne Maria Amalia di Sassonia ed ebbe tredici figli. Dopo quasi 30 anni di regno, nel 1759 ascese al trono di Spagna con il nome di Carlo III, dopo la morte senza eredi del fratellastro Ferdinando VI di Spagna. Carlo quindi dovette rinunciare ai troni italiani, e abdicò in data 6 ottobre 1759, decretando la definitiva separazione tra la corona spagnola e quelle napoletana e siciliana.

Gli successe il figlio terzogenito maschio Ferdinando di Borbone, mentre il maggiore restò erede al trono di Spagna, dove ascese nel 1788 come Carlo IV. Ferdinando, all’epoca di soli otto anni, regnò inizialmente con il titolo di Ferdinando IV per il Regno di Napoli e Ferdinando III per il Regno di Sicilia e quindi, dal dicembre 1816 fino alla morte nel 1825, come Ferdinando I, re delle Due Sicilie. Fu affidato a un consiglio di reggenza composto di otto membri, con il compito di governare finché il giovane re non avesse compiuto sedici anni; ma le decisioni più importanti le avrebbe comunque prese di persona lo stesso Carlo a Madrid, tramite una fitta corrispondenza con il fidato reggente il giurista Bernardo Tanucci.

Ferdinando sposò nel 1768 Maria Carolina d’Asburgo-Lorena (1752-1814) e quindi morganaticamente (1814) la siciliana Lucia Migliaccio duchessa di Floridia (1770-1826), creata principessa di Casturia, vedova di don Benedetto Grifeo, principe di Partanna. Ebbe 17 figli (e una figlia nata morta) dalla prima moglie, dieci dei quali morirono ancora bambini, mentre 3 figlie sposate premorirono ai genitori (Maria Teresa imperatrice d’Austria, Maria Luisa granduchessa di Toscana, e Maria Antonietta, principessa delle Asturie), mentre solo quattro sopravvissero ai genitori (il successore Francesco I, Maria Cristina regina di Sardegna, Maria Amelia regina di Francia e Leopoldo principe di Salerno).

Francesco I delle Due Sicilie (1777-1830), figlio di Ferdinando I e di Maria Carolina d’Asburgo-Lorena, re delle due Sicilie dalla morte del padre nel 1825. Sposò nel 1797 sua cugina Maria Clementina d’Asburgo Lorena (1777-1801) figlia dell’imperatore Leopoldo II dalla quale ebbe: Carolina (1798-1870), che sposò nel 1816 Carlo Ferdinando di Borbone, duca di Berry (1778-1820) figlio del re Carlo X di Francia, e successivamente, morganaticamente nel 1831, Ettore Lucchesi Palli, duca della Grazia. Rimasto vedovo di Maria Clementina, sposò nel 1802 Maria Isabella di Borbone, Infanta di Spagna (1789-1848), figlia del re Carlo IV dalla quale ebbe 12 figli.

Ferdinando II delle Due Sicilie (1810-1859), figlio di Francesco I e di Maria Isabella di Borbone-Spagna, fu re delle Due Sicilie dalla morte del padre, nel 1830, fino alla sua morte. Sposò nel 1832 Maria Cristina di Savoia (1812-1836), figlia del re Vittorio Emanuele I di Savoia, dalla quale ebbe un solo figlio: Francesco, duca di Calabria, re delle Due Sicilie come Francesco II alla morte del padre. Rimasto vedovo sposò nel 1837 Maria Teresa d’Asburgo-Teschen (1816-1867) dalla quale ebbe 12 figli.

Francesco II delle Due Sicilie (1836-1894), figlio di Ferdinando II e della sua prima moglie, Maria Cristina di Savoia, re delle Due Sicilie dalla morte del padre nel 1859 fino al 1861 quando il regno fu inglobato nel Regno d’Italia. Sposò nel 1859 Maria Sofia di Baviera (1841-1925) dalla quale nel Natale del 1859 ebbe una figlia, Maria Cristina Pia, che però morì di lì a tre mesi.

Francesco II dal 1861 restò pretendente al trono delle Due Sicilie e capo della casata fino alla morte nel 1894.

6) I Savoia re d’Italia. Il Regno d’Italia fu lo Stato italiano proclamato il 17 marzo 1861[7] durante il Risorgimento, in seguito alla Seconda guerra d’indipendenza combattuta dal Regno di Sardegna per conseguire l’unificazione nazionale italiana, unificazione poi proseguita con la Terza guerra d’indipendenza italiana nel 1866 e l’annessione dello Stato Pontificio, con la conseguente presa di Roma, nel 1870.

Il completamento del territorio nazionale avvenne tuttavia solo al termine della prima guerra mondiale, considerata come la quarta guerra d’indipendenza italiana, il 4 novembre 1918 (giorno della diramazione del Bollettino della Vittoria che annunciava che l’Impero austro-ungarico si arrendeva all’Italia) in base all’armistizio firmato a Villa Giusti, nei pressi di Padova. Con il successivo trattato di Saint-Germain-en-Laye, nel 1919, l’Italia completò l’unità nazionale con l’annessione di Trento, Trieste, l’Istria e parte della Dalmazia.

Dal 1861 al 1946 fu una monarchia costituzionale basata sullo Statuto Albertino, concesso nel 1848 da Carlo Alberto di Savoia ai suoi sudditi del Regno di Sardegna, prima di abdicare l’anno successivo. Al vertice dello Stato vi era il re, il quale riassumeva in sé i tre poteri legislativo, esecutivo e giudiziario seppur esercitati non in maniera assoluta. Tale forma di governo fu avversata dalle frange repubblicane (oltreché internazionaliste e anarchiche) e si concretizzò soprattutto in due note vicende: la fucilazione di Pietro Barsanti (considerato il primo martire della Repubblica Italiana) e l’attentato di Giovanni Passannante, di fede anarchica.

Nel periodo del Regno d’Italia fu a più riprese intrapresa la costituzione di possedimenti coloniali che compresero domini in Africa orientale, in Libia e nel Mediterraneo, e una concessione a Tientsin, in Cina. Il Regno d’Italia prese parte alla terza guerra d’indipendenza, a diverse guerre coloniali e a due conflitti mondiali.

Nel 1946 l’Italia divenne una repubblica e nello stesso anno fu dotata di un’Assemblea Costituente al fine di redigere una costituzione avente valore di legge suprema dello Stato repubblicano, onde sostituire lo Statuto Albertino sino ad allora vigente. La trasformazione nell’attuale assetto istituzionale avvenne in seguito a un referendum tenutosi il 2 e 3 giugno, che sancì la nascita della Repubblica Italiana, che il 1º gennaio 1948 si dotò di nuova Costituzione.

Regno di Vittorio Emanuele II (1861-78).

A seguito dei plebisciti del 1859 e 1860, la nascita del Regno d’Italia fu ufficializzata il 17 marzo 1861 allorché Vittorio Emanuele II, già Re di Sardegna, assumeva per sé e per i suoi discendenti il titolo di “Re d’Italia”; dal punto di vista istituzionale e giuridico assunse la struttura e le norme del Regno di Sardegna, esso fu infatti de jure una monarchia costituzionale, secondo la lettera dello Statuto Albertino del 1848. Il Re nominava il governo, che era responsabile di fronte al sovrano e non al parlamento; il re manteneva inoltre prerogative in politica estera e, per consuetudine, sceglieva i ministri militari (Guerra e Marina). Nei vent’anni antecedenti allo scoppio della prima guerra mondiale, il Regno d’Italia vide un graduale ma costante cambiamento verso una monarchia de facto parlamentare, in quanto i governi di quegli anni chiedevano la fiducia alla Camera dei Deputati, e non più al Senato del Regno: per questo si può dire che il Senato avesse perso quasi ogni sua funzione, dall’approvazione delle leggi fino alla fiducia al governo. Il diritto di voto era attribuito, secondo la legge elettorale piemontese del 1848, in base al censo; in questo modo gli aventi diritto al voto costituivano appena il 2% della popolazione. Le basi del nuovo regime erano quindi estremamente ristrette, conferendogli una grande fragilità. Tornando al 1861 il Regno d’Italia si configurava come una delle maggiori nazioni d’Europa, almeno a livello di popolazione e di superficie (22 milioni su una superficie di 259320 km²), ma non poteva considerarsi una grande potenza, a causa soprattutto della sua debolezza economica e politica. Le differenze economiche, sociali e culturali ereditate dal passato ostacolavano la costruzione di uno Stato unitario.

Accanto ad aree tradizionalmente industrializzate coinvolte in processi di rapida modernizzazione (soprattutto le grandi città e le ex capitali), esistevano situazioni statiche ed arcaiche riguardanti soprattutto l’estesissimo mondo agricolo e rurale italiano. L’estraneità delle masse popolari al regno unitario si palesò in una serie di sommosse, rivolte, fino a una diffusa guerriglia contro il governo unitario, il cosiddetto brigantaggio, che interessò principalmente le province meridionali (1861-1865), impegnando gran parte del neonato esercito in una repressione spietata, tanto da venire considerata da molti una vera e propria guerra civile. Quest’ultimo avvenimento in particolare fu uno dei primi e più tragici aspetti della cosiddetta questione meridionale. Ulteriore elemento di fragilità era costituito dall’ostilità della Chiesa cattolica e del clero nei confronti del nuovo Stato liberale, ostilità alimentata dalla Legge Rattazzi, che si sarebbe rafforzata dopo il 1870 con la presa di Roma (questione romana).

Regno di Umberto I (1878-1900).

Umberto I di Savoia (Umberto Rainerio Carlo Vittorio Emanuele Giovanni Maria Ferdinando Eugenio di Savoia; Torino, 14 marzo 1844 – Monza, 29 luglio 1900) è stato Re d’Italia dal 1878 al 1900. Figlio di Vittorio Emanuele II, primo re d’Italia, e di Maria Adelaide d’Austria, regina del Regno di Sardegna, morta nel 1855, il suo regno fu contrassegnato da diversi eventi, che produssero opinioni e sentimenti opposti.

Il monarca viene ricordato positivamente da alcuni per il suo atteggiamento dimostrato nel fronteggiare sciagure come l’epidemia di colera a Napoli del 1884, prodigandosi personalmente nei soccorsi (perciò fu soprannominato “Re Buono”), e per la promulgazione del cosiddetto codice Zanardelli, che apportò alcune innovazioni nel codice penale, come l’abolizione della pena di morte.

Da altri fu duramente avversato per il suo rigido conservatorismo (inaspritosi negli ultimi anni del regno), il suo indiretto coinvolgimento nello scandalo della Banca Romana, l’avallo alle repressioni dei moti popolari del 1898 e l’onorificenza concessa al generale Fiorenzo Bava Beccaris per la sanguinosa azione di soffocamento delle manifestazioni del maggio dello stesso anno a Milano, azioni e condotte politiche che gli costarono almeno tre attentati nell’arco di 22 anni, fino a quello che a Monza, il 29 luglio 1900, per mano dell’anarchico Gaetano Bresci, gli sarà fatale. Proprio dagli anarchici, Umberto I ricevette il soprannome di “Re Mitraglia”. Fu anche il destinatario di uno dei biglietti della follia di Friedrich Nietzsche. Da Umberto I prende il nome l’omonimo stile artistico e architettonico.

Regno di Vittorio Emanuele III (1900-1946).

Vittorio Emanuele III di Savoia (Vittorio Emanuele Ferdinando Maria Gennaro di Savoia; Napoli, 11 novembre 1869 – Alessandria d’Egitto, 28 dicembre 1947) è stato Re d’Italia (dal 1900 al 1946), Imperatore d’Etiopia (dal 1936 al 1943), Primo Maresciallo dell’Impero (dal 4 aprile 1938) e Re d’Albania (dal 1939 al 1943). Abdicò il 9 maggio 1946 e gli succedette il figlio Umberto II. Figlio di Umberto I di Savoia e di Margherita di Savoia, ricevette alla nascita il titolo di principe di Napoli, nell’evidente intento di sottolineare l’unità nazionale, raggiunta da poco.

Il suo lungo regno (46 anni) vide, oltre alle due guerre mondiali, l’introduzione del suffragio universale maschile (1912) e femminile (1945), delle prime importanti forme di protezione sociale, il declino ed il crollo dello Stato liberale (1900-1922), la nascita ed il crollo dello Stato fascista (1925-1943), la composizione della questione romana (1929), il raggiungimento dei massimi confini territoriali dell’Italia unita e le maggiori conquiste in ambito coloniale (Libia ed Etiopia). Morì poco più di un anno e mezzo dopo la caduta del Regno d’Italia.

A seguito della vittoria nella prima guerra mondiale venne appellato “Re soldato”.

Detenne un ruolo fondamentale nell’affermazione del fascismo, nella promulgazione delle leggi razziali, nelle criminose guerre coloniali e nell’entrata in guerra durante la seconda guerra mondiale a cui seguì la precipitosa fuga dalla capitale dopo l’armistizio del 1943 lasciando esercito e civili a loro stessi. Nel 1946 compì un tardivo, tentativo di salvare la monarchia abdicando a favore del figlio. In Italia gli odonimi a lui dedicati sono 409 e sono distribuiti in maniera difforme.

Regno di Umberto II (1946).

Umberto II di Savoia (Umberto Nicola Tommaso Giovanni Maria di Savoia; Racconigi, 15 settembre 1904 – Ginevra, 18 marzo 1983) è stato Luogotenente Generale del Regno d’Italia dal 1944 al 1946 e ultimo Re d’Italia, dal 9 maggio 1946 al 18 giugno dello stesso anno. Nonostante il risultato del Referendum istituzionale del 2 giugno, solo il 13 giugno il Consiglio dei ministri poté trasferire ad Alcide De Gasperi, con un gesto che Umberto II definì rivoluzionario, le funzioni accessorie di capo provvisorio dello Stato. A causa della brevissima durata del suo regno, poco più di un mese, venne soprannominato Re di maggio.

Pierfelice Degli Uberti

Pierfelice Degli Uberti
Docente della Università Federiciana Popolare
Presidente Confédération Internationale de Généalogie et d’Héraldique – CIGH
http://www.cigh.info/

Presidente International Commission for Orders of Chivalry – ICOC
http://www.icocregister.org

Presidente Istituto Araldico Genealogico Italiano – IAGI
http://iagi.info

Vice-Presidente Académie Internazionale de Généalogie – AIG
http://www.geneacademie.org

Vice-Presidente Instituto Internacional de Genealogía y Heráldica – IIGH
http://www.ramhg.es/index.php/the-news/otras-noticias/1065-2019-10-12-00-08-52

Segretario Generale Famiglie Storiche d’Italia – FSI

Segretario Generale Historical Families of Europe (Famiglie Storiche d’Europa) – HFE

Direttore responsabile di Nobilta, rivista di araldica, genealogia, ordini cavallereschi dal 1993
http://www.iagi.info/indici/

Direttore responsabile de Il Mondo del Cavaliere, rivista internazionale sugli ordini cavallereschi dal 2001
http://www.icocregister.org/aioc/programma.htm

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