Azzurri: Scacco alla Regina. Sogno di una notte di mezza estate

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Il mitico Ragionier Fantozzi l’avrebbe vista in vestaglia e pantofole seduto sulla poltrona davanti alla tv in bianco e nero, con birra, cipolla e rutto libero senza nessuno a disturbarlo per alcun motivo, moglie e figlia incluse. Era, quella, l’Italia di Zoff di 46 anni fa, oggi era un’altra, diversa, di altre generazioni che ha fatto impazzire il popolo azzurro. Il Fantozzi di oggi chissà cosa avrebbe combinato, ieri sera, se solo fosse stato disturbato con la telefonata del Ragionier Filini della nostra epoca che lo avvisava di lasciare tutto e correre in azienda, perché il loro direttore aveva obbligato i dipendenti a visionare, durante la gara – per Fantozzi la più importante del secolo – la “Corazzata Potemkin”, quella che poi lo stesso sfigato e rassegnato ragioniere avrebbe definito “una cagata pazzesca”.

E sempre ieri, l’impegno azzurro a Londra era doppio: a Wimbledon, dove è andata male con Berrettini ma solo nel risultato finale, peraltro ampiamente previsto, perché quello visto sull’erbetta londinese può non aver vinto ma di certo non ha perso avendoci regalato un giocatore forte che sicuramente crescerà a fondo per diventare tra i primi cinque nel mondo, e poi a Wembley con l’Italia a cercare di conquistare Londra come Giulio Cesare 2000 anni fa, cosa che le è riuscita a pieno titolo. Un altro il particolare: 11 luglio del 1982, il trionfo in cima al mondo, 11 luglio 2021, trentanove anni dopo, campioni d’Europa. Ma ieri non c’era Pertini ma il nostro Presidente Mattarella che ha gioito senza proferire le parole del suo illustre predecessore che, al terzo gol di Altobelli, si lasciò sfuggire il celebre “non ci prendono più”.

Scacco alla Regina, dunque. Si torna a casa col trofeo non solo sotto forma di coppa, ma anche con quello di un orgoglio ritrovato, quello di un paese che rialza la testa e ritrova un po’ di leggerezza e serenità.

Sogno di una notte di mezza estate, si intitola un celebre film di Woody Allen, “da Trieste in giù”, cantava Raffaella Carrà, “sotto il cielo di un’estate italiana”, cantavano la Nannini e Bennato: ecco, se uniamo questi titoli ne esce un momento sociologico storico da ascrivere nei libri di testo.

Dopo la delusione della nazionale di Ventura, è cominciata la ripresa, pian piano, a suon di risultati utili consecutivi targati Roberto Mancini. In questo torneo, la cavalcata fin qui dell’Italia è iniziata con la Turchia, è andata bene nel girone a quattro con tre vittorie su tre, è andata bene lo stesso, anche se con un grande patema d’animo, negli ottavi, nei quarti e nella semifinale, fino alla gioia di ieri, a Londra, senza risparmio, in una location per la quale la nazionale partiva senza il favore dei pronostici perché giocare in casa degli avversari, al cospetto di 65 mila spettatori e solo 7 mila tifosi azzurri, non era facile per nessuno. Ed invece la Nazionale è stata più forte di tutto: degli avversari, che sembravano avere la vittoria in tasca e che, pian piano, gli azzurri gliel’hanno sfilata, del piccolo record inglese per il quale, fino a quel momento, gli inglesi avevano subito solo un gol, peraltro su calcio piazzato, in tutto il torneo, del timore reverenziale verso quello stadio tutto inglese, della storia e del destino. Insomma, una nazionale matura che ha sentenziato la squadra di Mancini come quella più forte del torneo europeo.

Una squadra, quella italiana, solida e pienamente consapevole dei propri mezzi e per niente intimorita dalla marea umana inglese stipata sugli spalti.

La nazionale ha giocato, ha vinto di netto il possesso palla, ha giocato meglio degli inglesi, ha subìto un gol a freddo, ha pareggiato, e poi, praticamente, non ha rischiato più nulla se non a sprazzi con una inconsistente e sterile pressione inglese, con i temibili Sterling e Kane a cui i monumentali Bonucci e Chiellini hanno messo la museruola. Poi, come con la Spagna, i supplementari senza gol e, quindi, i maledetti rigori, sempre come con la Spagna, che ne hanno sancito l’apoteosi e che ha laureato campione d’Europa l’Italia che, per una notte, è salita in cima del Monte Bianco – versante italiano -, il monte più alto d’Europa, più forte di tutto anche di un torneo costruito, magari inconsapevolmente, su misura per i giocatori di Southgate che hanno giocato, di fatto, sei partite a Wembley ed una sola fuori. Assurdo, ma è la verità. E per questo, forse, occorreva rivedere qualcosa nei meccanismi del torneo e, forse, per i prossimi europei sarebbe il caso di correggere questa linea poco sportiva. Ma intendiamoci: nemmeno il fatto che l’Italia abbia giocato le prime tre gare in casa non ci parsa sportiva. Ma tant’è.

It’s coming home, it’s coming home”, è stato il tormentone di questi europei che i tifosi inglesi hanno scandito non solo in questo torneo. Loro, infatti, lo cantano da anni in maniera ossessiva cadendo, forse, anche nel ridicolo perché il titolo, purtroppo per loro, non è tornato in Inghilterra, nella casa degli inventori del calcio.

A Wembley la nazionale italiana è diventa campione d’Europa dopo 53 anni a discapito di tutto in una gara giocata a in casa inglese e, si sa, vincere in casa degli ospitanti regala quel gusto in più, un po’ sulla falsa riga della vittoria italiana contro la Germania nel 2006 in casa teutonica.

Una finale iniziata in salita con il vantaggio inglese, con gli italiani ancora con l’inno nazionale nelle orecchie, che ha messo paura a tutti e che ha, di fatto, almeno nelle intenzioni, aperto la strada agli inglesi che hanno dato l’impressione di fare un boccone solo dei ragazzi di Mancini. Ed invece non è andata così. La nazionale ha da subito reagito imponendo il proprio gioco procurandosi anche delle opportunità per segnare.

L’Inghilterra, che praticamente ha fatto solo due tiri in porta nell’arco dei 120 minuti (uno sul gol, e l’altro, abbastanza pericoloso, terminato al lato di Donnarumma nel secondo tempo), ha dovuto alzare bandiera bianca ai rigori dopo l’1-1 nei 90 minuti e dopo i supplementari, con i gol siglati da Shaw e da Bonucci davanti a sessantacinquemila persone esaltate, senza precauzioni anti-covid, ammassati l’uno con l’altro, qualcuno inevitabilmente ebbro di luppolo, che attendevano questa vittoria da oltre mezzo secolo. Ma non avevano fatto i conti con gli azzurri, abili da sempre, a rompere le uova nei panieri altrui in casa avversaria.

La pressione dello stadio avrebbe dovuto fare la differenza spianando la strada ai sudditi della Regina Elisabetta messi alle spalle al muro dal destino che, idealmente, prevedeva la vittoria del trofeo prestigioso che mancava dalle bacheche britanniche da decenni e che, purtroppo per loro, continuerà a mancare per altri anni.

Un incubo per gli inglesi che si è manifestato minuto dopo minuto e che poi è rotolato investendoli tutti ai calci di rigore dove nulla han potuto Rashford e Sancho, i due giocatori fatti entrare dall’allenatore inglese apposta per far calciare loro i rigori, che poi, beffardamente, hanno fallito entrambi dal dischetto. Ma non hanno sbagliato sol loro.

Stavolta non è stato Jorginho ad essere decisivo, anche se ci è andato molto vicino, ma Donnarumma che ha parato il rigore determinante e che ha aperto le danze dei tifosi in tutte le città italiane i quali hanno festeggiato fino a notte fonda, una notte che rimarrà impressa per sempre nella mente e nel cuore dei tifosi, soprattutto in quelli dei giovani che non avevano ancora visto l’Italia vincere qualcosa.

Dispiace per Immobile, tutt’altro che “scarpa d’oro” in questo torneo. Mancini, nel Qatar, dovrà sperare che quel muro difensivo formato da Bonucci e Chiellini continui a reggere in vista del Qatar, e poi dovrà necessariamente rivedere qualcosa in attacco. Troppo discontinuo Insigne, impalpabili Belotti, che se fosse un attaccante di un certo livello, non giocherebbe nel Torino, e Immobile anche se i numeri del campionato, in effetti, sentenziano che sono loro che devono indossare la maglia azzurra.

Da segnalare la scarsa sportività, la presunzione e il messaggio tutt’altro che decoubertiano da parte degli inglesi che, come dice la storia, dovrebbero essere i cultori del calcio e delle sue regole anche quelle non scritte, i quali si sono levati le medaglie messe al collo irradiando un pessimo messaggio sportivo pregiudicandone l’immagine di un Regno intero. Gli inglesi, ma ovviamente non tutti, ci mischiano le loro varianti covid, si levano con disprezzo le medaglie dal collo, fischiano il nostro inno nazionale, quasi a voler imporci i loro barbari usi e costumi, dimostrando che i modi gentili non ne hanno. Sputano sulle nostre bandiere, da vigliacchi lasciano il campo prima che inizi la cerimonia, aggrediscono i tifosi italiani fuori lo stadio, insultano i loro giocatori di colore rei di aver sbagliato i rigori, ci considerano sprezzatamene camerieri ed invece loro sono decisamente dei gran bevitori, violenti e, anzi, molti di essi sono dei pericolosi devastatori di città, i noti hooligans. Purtroppo son fatti così gli inglesi. Altro che aplomb inglese.

Non sarà facile, per i sudditi reali, dimenticare subito la scoppola, l’ennesima. Forse potranno sbollire la rabbia davanti a qualche pinta di birra. Così facendo hanno completato definitivamente il procedimento Brexit: addio per sempre all’Europa.

Commuovente, infine, l’abbraccio tra Mancini e Vialli che, piangendo ognuno sulle spalle dell’altro, hanno regalato quel pizzico di gioia e di profonda commozione in più ai tifosi italiani, un’istantanea intercettata dalle riprese televisive nella quale c’è tutto il senso della vita, dell’amicizia, della forza interiore e della tenacia e che guardano oltre ogni avversità.

Massimo Longo

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