Tonnies aveva capito tutto quando in un suo libro distingueva tra comunità e società. Nella prima esistono rapporti e solidarietà autentici, mentre nella seconda ci sono tensione e competizione.
Oggi viviamo in una società senza comunità nella maggioranza dei casi
Durkheim aveva coniato il termine anomia per indicare il disordine morale, la sensazione di anonimato, la mancanza di solidarietà della civiltà moderna ed aveva chiamato anomico il suicidio dovuto proprio a questi fattori.
Oggi quindi si è più soli probabilmente di un tempo. Nell’antichità la solitudine era ricercata più spesso. Alcuni poeti antichi avevano un ideale di vita solitaria e bucolica.
Beata solitudo, dicevano i latini
La cosa è più rara per noi contemporanei, anche se qualche voce fuori dal coro esiste. Negli Shorts di Auden c’era anche il solitario che alla fine del giorno chiude la porta di casa e può stare indisturbato senza alcuna scocciatura.
Si è soli perché non si è accettati, non si è compresi, non si sa stare bene con sé stessi. Ci sono tanti modi di esprimere la solitudine o per combatterla. Il professore Herzog di Saul Bellow ad esempio scrive lettere a tutti per rompere la solitudine.
I personaggi di Bukowski, suoi alter ego, vanno ad ubriacarsi, vanno a prostitute, vanno al bar, vanno all’ippodromo per rompere la solitudine.
Rompere la solitudine è trovare un modo qualsiasi per uscire dall’io. Frankl, ideatore della logoterapia, non chiedeva alle persone per cosa e per chi vivessero, ma per quale motivo non si uccidessero.
Sono sicuro che se si facesse il contrario, se per assurdo si potesse chiedere ai suicidi perché l’hanno fatto molti risponderebbero che non sopportavano più la solitudine.
Molte depressioni endogene causano solitudine. La solitudine causa molte depressioni reattive.
Ma spesso è un circolo vizioso, è il gatto che si morde la coda: la solitudine determina depressione che causa ulteriore solitudine.
Alcuni filosofi elogiano la solitudine, ma gli psicologi avvertono che la solitudine causa anche psicopatologia, ovvero malessere e disturbi psicologici a lungo termine.
Follia e saggezza causano solitudine, ma è vero anche il contrario, ovvero la solitudine determina follia e saggezza. La misantropia genera solitudine, ma è anche vero che la solitudine talvolta può causare un grande risentimento nei confronti dell’umanità.
Il senso di solitudine può attanagliare, può prendere alla gola. Le persone sono conformiste per non sentirsi sole.
Si sposano con la persona sbagliata e fanno figli non desiderati per non sentirsi soli, non sapendo che giungeranno in maturità a sentirsi davvero soli, pur facendo parte di una famiglia che non hanno mai veramente voluto ma che si sono imposti come se fosse un obbligo sociale.
Però è anche vero che bisogna essere autonomi, indipendenti per essere soli. La solitudine, se è scelta, non è un lusso che tutti si possono permettere.
Per stare da soli bisogna anche avere la fortuna di essere sani e forti
Per isolarsi dagli altri bisogna poterne fare a meno degli altri. Oppure significa fare una scelta drastica e radicale, cioè ad esempio tagliare i ponti con tutti. Ma chi può farlo? Chi ci riesce davvero? Per cosa poi?
Per rinchiudersi in sé stessi? Perfino gli eremiti fondano gruppi Facebook in cui scrivono le loro esperienze mistiche. Perfino le suore di clausura usano il web per evangelizzare.
La solitudine è qualcosa che va contro la logica primaria della società moderna, ovvero l’interdipendenza. Molti oggi scelgono l’indipendenza scordandosi l’interdipendenza.
Ci sono sempre più single nella società odierna
Un tempo a venti anni tutti erano fidanzati e chi era senza ragazza non lo invitavano, si frequentavano solo tra coppie, i singoli erano di disturbo perché in Toscana si diceva che reggevano il moccolo.
Oggi c’è una controtendenza in Italia. Pochi si sposano. Le coppie scoppiano con separazioni e divorzi. È meglio essere celibi che dei padri divorziati e poveri.
Una volta un prete mi raccontò che quando disse a suo padre che voleva diventare sacerdote questo gli chiese se ce l’avrebbe fatta a restare senza una donna per tutta la vita.
Ci sono tanti modi di essere soli. Ci sono i casti e coloro che invece occasionalmente hanno rapporti intimi per poi ricadere nella solitudine.
Gli eremiti contemporanei non rifuggono più il prossimo, ma cercano di limitare le relazioni umane per cercare Dio. A stare troppo da soli si finisce a parlare con sé stessi oppure a parlare con amici immaginari.
Stare troppo da soli è una grave forma di deprivazione sociale. Robinson Clusone non finisce da solo per scelta.
Se si sta troppo da soli bisogna saper resistere agli autoinganni, se si sta troppo con gli altri bisogna saper sopportare l’ipocrisia, la convenienza, l’opportunismo, le formalità.
Per Pascal molti problemi dell’umanità nascono dal fatto che gli uomini non sanno stare da soli nella loro camera. Fino al 1968 per alcuni la solitudine era addirittura un valore.
Il ragazzo solitario aveva un suo fascino. Con il ’68 nessuno deve stare solo, i ragazzi dovevano stare insieme, sognare assieme.
Ci sono cose che dipendono da noi, altre che non dipendono da noi, altre ancora che dipendono sia da noi che dagli altri in concomitanza
.In ogni caso abbiamo bisogno dell’alterità perché molte cose che ci riguardano le decidono gli altri o le decidiamo insieme agli altri.
Si può stare soli per raccogliersi e stare soli a pregare Dio o a fare meditazione. Si può stare soli ma non sapersi conciliare con sé stessi, con i propri desideri e pensieri.
Abbiamo bisogno di stimoli sociali, di contatti sociali almeno sporadici. Esiste anche la solitudine di Cristo, ovvero Dio perché mi hai abbandonato?
Ognuno muore da solo come canta De André, anche se al capezzale ci sono tante persone. Cerchiamo compagnia, facciamo comunella perché siamo simili, ovvero accomunati dalla stessa sorte, siamo mortali.
Per affrontare ogni occasione ansiogena cerchiamo compagnia
Gli uomini primitivi accendevano il fuoco e si riunivano in gruppo per combattere meglio i nemici esterni, ma si facevano forza contro il buio, l’ignoto, la morte.
Per Rousseau e per Freud l’uomo con la civiltà ha barattato la libertà in cambio della sicurezza. Per essere più pratici per De Gregori si è soli quando non si ha neanche un amico qualunque per bere un caffè.
Molti frequentano luoghi di aggregazione per non essere tagliati fuori, per non essere out. La cosa più agghiacciante non è essere soli ma sentirsi soli.
Ci sono persone sole che non soffrono di solitudine. Ci sono persone che hanno tante conoscenze ma si sentono sole.
La popolazione italiana è sempre più anziana e molti anziani soffrono di solitudine. Molti single e persone sole hanno momenti depressivi durante le feste.
Alcuni si mischiano e confondono nella folla per sentirsi meno soli. Ma tra tante persone ci si può sentire parte di qualcosa di più grande, ma ci si può sentire anche terribilmente soli.
Alcune casalinghe fanno le faccende di casa e per scacciare la solitudine hanno la televisione accesa.
Camionisti e rappresentanti per vincere la solitudine hanno sempre la radio accesa.
La solitudine dell’uomo moderno nella folla è descritta ad esempio in Baudelaire, che scriveva: “Moltitudine, solitudine: termini uguali e convertibili per il poeta attivo e fecondo.
Chi non sa popolare la sua solitudine, non sa nemmeno essere solo in una folla indaffarata”.
Molti si sentono soli di fronte alla felicità degli innamorati
Roberto Gervasio scriveva che l’amplesso dà all’uomo l’illusione di sentirsi meno solo. Da giovani è facile fare amicizia. Da maturi o da vecchi è difficile rompere la solitudine.
Vittorio Cecchi Gori ha dichiarato che quando era molto ricco e potente aveva molti falsi amici, che si sono dissolti nei momenti difficili.
Pound scriveva che i ricchi non hanno amici ma solo maggiordomi. Per conoscere bene una persona bisognerebbe chiederle quali sono i momenti della sua vita in cui si è sentita più sola.
Sarebbe un modo efficace per ripercorrere con lei i momenti salienti della sua vita.
Personalmente uno dei giorni peggiori della mia vita fu quando venni rifiutato da una ragazza, litigai con degli amici, percorsi circa 2 km a piedi sotto la pioggia battente, una macchina passò su una pozzanghera di fango e mi macchiò tutti i vestiti e una volta arrivato alla stazione appresi che c’era lo sciopero dei treni.
Ma ero giovane! Da giovani si è difficilmente soli, si è sempre circondati da degli amici, ma ci si sente facilmente soli, tolleriamo così poco la solitudine: con la solitudine si impara a conviverci giorno dopo giorno se si è lucidi.
È molto difficile saper convivere con sé stessi nella malattia, ma da giovani possono essere una discreta prova di vita anche le notti insonni.
Ci si sente molto più soli quando scompare un proprio caro perché c’è un vuoto, una assenza, un lutto da rielaborare.
Ci si può sentire soli perché non ci si sente compresi dal mondo ma anche perché non comprendiamo il mondo, l’assurdo può causare senso di solitudine.
Ci si può sentire soli quando si è stranieri o quando ci si sente diversi. Ci si può sentire soli quando non si pensa più di essere al passo coi tempi, quando si pensa di avere fatto il nostro tempo.
Quando uno è attorniato in casa e sul lavoro da molte persone talvolta ha bisogno di stare da solo per avere un momento per sé stesso, per ritagliarsi un momento tutto suo.
Ma si ha bisogno di stare da soli anche per riflettere in un momento di crisi o durante un periodo di transizione. Solitudine e socialità, dentro e fuori, interno ed esterno: bisogna trovare l’equilibrio.
Abbiamo bisogno di sufficiente autoconoscenza per stare con gli altri. Abbiamo bisogno degli altri e di un senso di appartenenza in qualcosa di più grande di noi per la nostra identità.
Abbiamo necessità di entrambe le cose. L’uomo non è nato per essere solo. È un animale sociale. Ha bisogno di condividere qualcosa con qualcuno.
È molto difficile stare bene con sé stessi. La personalità, il Sé sono sfuggenti. I pensieri sono frammentari. Siamo poca cosa e abbiamo bisogno di calore umano.
Abbiamo bisogno di conferme nonché di consenso
Non è più tempo di stiliti o di padri del deserto. Oggi tutti sono alla disperata ricerca di amicizie, sempre più rare. Stare a contatto con gli altri, fare gruppo è un imperativo, ma siamo solo uomini di massa.
Spesso interagiamo poco perfino con i familiari perché siamo affaccendati in mille faccende o perché viviamo vite parallele con la televisione o Internet.
C’è poco di autentico nelle nostre relazioni sociali, tra cui molte sempre più virtuali.
Scrivere sui social, nei blog è un messaggio in una bottiglia nel mare magnum del web, un messaggio che probabilmente non verrà raccolto, non verrà letto.
La stessa cosa accadrà per chi pubblica un libro tra la miriade di libri pubblicati e molto spesso finiti al macero.
Forse la cosa più autentica è qualche frase di una conversazione, che però rimane nell’aria per pochi secondi.
Probabilente si trova lì la vera vita. Forse aveva ragione Pavese a scrivere un libro come La spiaggia, in cui descriveva il senso della vita in un intreccio fitto di conversazioni nell’aria in villeggiatura.
Chissà se nel dialogo c’è l’autentica condivisione, la comunione di noi stessi con gli altri e degli altri con noi stessi, l’essenza della vita.
Forse questa antica forma di intenzionalità, questo orientarsi, questo tendere verso gli altri è un atto irrinunciabile.
Fare, creare una cosa bella o vivere una cosa bella quale senso ha se non è condivisa dagli altri?
Spesso molti single di oggi sono come dei lupi della steppa che non incontrano mai la loro Erminia.