In Italia aprire un’impresa ha dei costi molto alti. Per la precisione: i più alti d’Europa. La penisola si conferma, dunque, il paese più caro per aprire un’attività.

I dati sono riportati nel “Doing Business Report“, uno studio realizzato dalla World Bank Group – si tratta di due istituzioni internazionali: la Banca internazionale per la ricostruzione e lo sviluppo e l’Agenzia internazionale per lo sviluppo. La “Banca Mondiale” fa parte delle agenzie specializzate delle Nazioni Unite e ha come obiettivo quello di lottare contro la povertà e organizzare aiuti e finanziamenti agli stati in difficoltà.

L’ITALIA E’ IL PAESE PIU’ CARO PER APRIRE UN’ATTIVITA’. IL MENO CARO E’ LA SLOVENIA

In Europa è l’Italia il paese più caro dove aprire un’attività imprenditoriale. Sono tante le spese di partenza che un imprenditore deve sostenere per avviare la sua start up: oneri fiscali, spese legali, adempimenti amministrativi e altri costi a cui far fronte.

Nella classifica – dove per una volta essere al primo posto non è sinonimo di positività – l’Italia è prima con una cifra di 4.155 euro per l’avvio di un’attività. Un costo molto elevato, reso ancora più impietoso se confrontato con il secondo paese più caro: i Paesi Bassi a quota 2.207 euro. Si tratta di quasi 2.000 euro di differenza.

Prendendo come riferimento alcune tra le nazioni più importanti, in Spagna la differenza con l’Italia è di circa 3.500 euro (servono 627 euro per aprire un’attività), differenza simile con la Germania, mentre con la Francia la differenza arriva a quasi 3.900 euro.
L’unico paese che garantisce la massima copertura economica a chi decide di aprire una start up è la Slovenia (con altre 6 nazioni in cui si spende meno di 100 euro).

La classifica completa: l’Italia è il paese più caro per aprire un’attività

  • Italia – 4155 euro
  • Paesi Bassi – 2207 euro
  • Austria – 2109 euro
  • Belgio – 2046 euro
  • Cipro – 1886 euro
  • Finlandia – 679 euro
  • Spagna – 627 euro
  • Malta – 528 euro
  • Germania – 446 euro
  • Polonia – 328 euro
  • Ungheria – 312 euro
  • Francia – 270 euro
  • Lettonia – 244 euro
  • Portogallo – 227 euro
  • Svezia – 219 euro
  • Slovacchia – 177 euro
  • Grecia – 174 euro
  • Estonia – 149 euro
  • Ceca – 134 euro
  • Danimarca – 93 euro
  • Lituania – 76 euro
  • Irlanda – 72 euro
  • Bulgaria – 63 euro
  • Romania – 32 euro
  • Croazia – 22 euro
  • Slovenia – 0 euro

BUROCRAZIA E SPESE AMMINISTRATIVE: SOLO IL NOTAIO COSTA PIU’ DI 1.500 EURO

La lista degli adempimenti per aprire un’impresa in Italia, il paese più caro per aprire un’attività, è lunghissima.
Lo scoglio della burocrazia è il primo da superare: un’ampia serie di pratiche, richieste di permessi, imposte di registro, pagamento del bollo e dei diritti camerali, tasse di concessione. Questi solo per citarne alcuni, oltre a eventuali costi imprevisti o alla richiesta di documentazione aggiuntiva che nel lungo processo per l’apertura di un progetto di business l’imprenditore deve fronteggiare. E ogni cosa, ovviamente, ha il suo costo. Non a caso questa complessità tende a scoraggiare chi decide di intraprendere un percorso di imprenditoria privata.

Per entrare nel dettaglio di quanto costi il prezzo della burocrazia in fase iniziale possiamo fare degli esempi concreti. Gli obblighi iniziali, tra registrazione dell’azienda, ottenimento delle concessioni, imposte e varie, impattano per un costo medio di circa 1.058 euro per una SRL (contro una media europea di 150 euro in base alla tipologia di attività che si sta aprendo).
Senza contare una delle spese più onerose, quella per il notaio: l’onorario medio è di circa 1.830 euro comprensivo d’Iva.

IN ITALIA POCHI INVESTIMENTI E POCHI FINANZIATORI. E’ ALTA LA DIFFIDENZA NEI CONFRONTI DEI NUOVI PROGETTI

L’Italia è il paese più caro per aprire un’attività. Come se questo non bastasse c’è un altro tema di rilievo che impatta sulla nascita, e sul successo, delle nuove start up in Italia: la mancanza di investimenti.

E’ un’anomalia prettamente italiana: è alta la diffidenza nei confronti dei nuovi progetti. Si punta di più sulle realtà che già lavorano e garantiscono un ritorno, piuttosto di incentivare e sostenere nuove idee e modelli di business innovativi, ma che presentano tassi di rischio. Finanziare l’avvio di un’attività viene percepito come un azzardo e non come un investimento a lungo termine.

Il report della World Bank Group evidenzia ancor di più questo aspetto. Confrontando i dati degli investimenti delle altre nazioni nell’anno 2020, i finanziamenti in start up italiane sono ammontati a 430 milioni di euro, una cifra lontanissima rispetto, solo per fare un esempio, ai finanziamenti ricevuti dalle aziende tedesche: circa 6,4 miliardi ogni anno.

Un gap difficile da allineare in breve tempo, ma che merita profonda attenzione da parte dello Stato per ridefinire le priorità a livello economico. Serve incentivare lo spirito imprenditoriale italiano, ma anche rendere l’Italia una nazione più competitiva nel contesto dell’Unione Europea e non rischiare di perdere numerose occasioni di crescita e di successo.

Altre fonti:
Unimpresa
Doing Business 2020