Il trapianto è la miglior cura per il cancro al fegato: intervista al prof. Umberto Cillo luminare dei trapianti di fegato

Ambiente, Natura & Salute

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Viaggio nella sanità pubblica a cura di Daniela Piesco

A fine dicembre ho scelto di fare un piccolo viaggio nella sanità del Veneto , visitando l’Unità Operativa Complessa di Chirurgia Epatobiliare e dei Trapianti Epatici dell’Azienda Ospedaliera Universitaria di Padova . Infatti,come è notorio è proprio il Veneto ad assicurare meglio di tutti in Italia i livelli essenziali di assistenza (Lea), le prestazioni sanitarie che ogni Regione deve garantire ai propri cittadini.

In realtà è un viaggio che avevo già intrapreso nei mesi scorsi dalle mie parti (https://www.corrierenazionale.net/lazienda-ospedaliera-san-pio-una-eccellenza-in-benevento/) con l’obiettivo di evidenziare un generale miglioramento anche della Sanità meridionale soprattutto in Campania dopo aver messo a posto i conti con l’uscita dal commissariamento ; ma soprattutto è un viaggio per cercare di guardare la sanità non come un insieme di numeri o di dati, ma all’altezza degli occhi, dei pazienti, e soprattutto di chi ci lavora.

L’Unità Operativa Complessa di Chirurgia Epatobiliare e dei Trapianti Epatici dell’Azienda Ospedaliera Universitaria di Padova

L’unità nasce nel 2004 come clinica autonoma dedicata alla Chirurgia del fegato e dei trapianti di alta specialità.

(http://www.fegatochirurgia.com/index.php/component/k2/item/321-il-centro)

È bene sottolineare che la trapiantologia è oggi al centro di una rivoluzione tecnologica a partire dall’impiego delle macchine da perfusione che consentono di preservare gli organi dal momento dell’espianto fino al trapianto .Queste macchine sempre più sofisticate simulano una situazione fisiologica che consente di testare la qualità degli organi prima di trapiantarli ma soprattutto aprono la strada a interventi terapeutici “fuori dal corpo”per migliorare la qualità degli organi e in futuro permettere manipolazioni più sofisticate fino alla personalizzazione dell’organo da impiantare . Questo porterà alla riduzione o all’azzeramento del rischio di rigetto.

Giocoforza il trapianto di fegato si conferma la terapia più efficace per il carcinoma epatocellulare, la forma più comune di tumore del fegato.

Ne parliamo con il Prof. Umberto Cillo ,luminare dei trapianti di fegato,Direttore dell’Unità Complessa di Chirurgia Epatobiliare e Centro Trapianto di Fegato dell’Azienda Ospedaliera Università di Padova,Presidente SITO(Società Italiana Trapianti d’Organo) nonché professore associato UO chirurgia epatobiliare e trapianti epatico, azienda ospedaliera universitaria di Padova

Cillo è stato il primo operatore in oltre 520 interventi di chirurgia generale e più di 500 trapianti ortotopici di fegato tra cui si menziona solo per brevità l’ ECCEZIONALE TRAPIANTO DI FEGATO A PADOVA ad un PAZIENTE CON CANCRO INOPERABILE che ha rappresentato la sesta volta al mondo per complessità ,la seconda volta al mondo da donatore vivente e la prima volta al mondo con tecnica mininvasiva in video laparoscopia.

Primati,dunque,a livello globale quelli ottenuti dallo staff di Chirurgia Epatobiliare e dei Trapianti Epatici dell’Azienda Ospedaliera Universitaria di Padova da lui diretta.

A settembre scorso ha presieduto l’ultimo Convegno ,il XX , della Società Europea di trapianti d’Organo tenutosi a Milano ,il primo di respiro internazionale a volgersi in presenza in epoca covid ,dove si sono trattati i temi dell’ Innovazione tecnologica ,medicina rigenerativa e nuovi modelli gestionali grazie all’ intelligenza artificiale.

L’intervista

1)Egregio professore Cillo cosa contraddistingue un “centro di eccellenza” nella chirurgia epato biliare e trapianti epatici ?Quali risultati vantate in ambito oncologico?Quali i progressi della ricerca in ambito trapiantologico?

E’ una domanda molto complessa. Innanzitutto un centro di eccellenza si contraddistingue per i suoi volumi, ci sono ormai evidenze scientifiche che riportano che i risultati in tutti i campi, in particolare nel campo chirurgico, sono fortemente dipendenti dai volumi perché l’esperienza e la capacità di gestire anche la dimensione della assistenza fanno la differenza e migliorano drasticamente i risultati sia in termini di sopravvivenza che di complicanze;questo è particolarmente vero per una chirurgia complessa come quella del fegato, cioè del trapianto del fegato, e noi abbiamo volumi molto alti. In sintesi facciamo il 7% di tutti gli interventi oncologici in Italia, e siamo il centro con maggiori numeri d’Italia secondo i dati AGENAS che sono stati pubblicati su internet.Quando si va a cercare su Google’ tumori del fegato ‘Padova risulta essere il primo centro per numero di interventi all’anno e rappresenta,come dicevo, circa il 7% di tutti gli interventi fatti in Italia. Questo è un numero molto importante. Noi facciamo in particolare tra i 700 e 1000 interventi all’anno quasi tutti focalizzati sui tumori del fegato. Questo per quanto riguarda i volumi. Fondamentale, però è anche la ricerca: un centro di eccellenza deve avere come mission la capacità di aprire nuovi settori e di innovare e essere creativi dal punto di vista delle offerte che diamo al paziente. Il terzo elemento di un centro di eccellenza, quale quello che ho l’onore di dirigere, è offrire al paziente non solo un terapia ma tutte le terapie disponibili per quella patologia per evitare che si scelga per ogni paziente solo la terapia che si ha a disposizione .All’uopo le faccio l’ es dell’ epatocalcinoma che lascia disponibile dalla biopsia, al trapianto di fegato, alla terapia ablativa quindi alle micro onde e ablazioni sia per via percutanea che laparoscopica insomma in un centro di eccellenza devono essere disponibili le varie embolizzazioni, devono essere disponibili tutte le terapie. Solo così si può scegliere ,in un ventaglio di terapie ampio, la migliore soluzione per il paziente. Se un centro ha a disposizione solo una o due terapie non è un centro che cura gli interessi del paziente. Quindi tre sono gli elementi che contraddistinguono un centro di eccellenza. I volumi, la ricerca e la disponibilità di più terapie possibili.

2)Il trapianto di fegato da donatore vivente è una procedura chirurgica in cui, un individuo sano, solitamente un familiare consanguineo o non consanguineo, dona una parte del proprio fegato ad un proprio caro portatore di una malattia cronica di fegato.
Perché si propone? Qual’e’ Il processo di valutazione del donatore?E quali i rischi della donazione?

Innanzitutto è bene chiarire che esiste una donazione “tradizionale” di fegato in cui il donatore cede il 60-65% del proprio fegato e lei capisce che questo è un intervento enorme e molto importante per il donatore .Inoltre c’è un rischio di mortalità intorno all’1% anche se in realtà è molto meno in Italia dove non si hanno casi di morte del donatore. Ma nel mondo questa mortalità viene descritta,come le dicevo, intorno all’1%. Ecco perché in Europa la donazione classica pur se viene effettuata non decolla dal punto di vista dei numeri. Si fanno poche decine di interventi in Italia all’anno, forse sotto la ventina ,per il potenziale di rischio per il donatore. A proposito di innovazione, di cui le parlavo prima, noi abbiamo introdotto questa nuova modalità che è la donazione di un piccolo frammento di fegato, pari al 20-25%, ed è la donazione che si fa, ad esempio, quando un genitore dona al proprio bambino di 5-10 Kg.In tali casi che da noi costituiscono la routine, la donazione del genitore è praticamente a rischia zero .Invero dopo soli 30 giorni il fegato raggiunge di nuovo il suo volume originario ,perché il fegato come è noto si rigenera, è quindi una donazione molto sicura. Molto più sicura della donazione del rene perché chi dona resta monorene per tutta la vita. C’è da dire che donare un piccolo frammento di fegato è un ottimo intervento quando a ricevere è un bambino, diversamente accade quando a ricevere è un adulto, perché questa quantità così piccola non riesce a sostenere la vita.Infatti il fegato non è sostituibile da macchine come tutti gli altri organi (rene, cuore, polmone).A tal proposito noi ,tra i primi al mondo, abbiamo replicato un tecnica che è nata ad Oslo: nello specifico il piccolo frammento di fegato viene posizionato a fianco al fegato malato, in una posizione ausiliaria e con tecniche complesse lo si fa rigenerare e dopo 15 giorni quando il frammento impiantato raddoppia il suo volume si può completare l’asportazione del fegato malato. In questo modo si sono ottenuti due grandi risultati – 1) di far rischiare poco la vita al donatore, perché dona solo un piccolo frammento pari al 25% – 2) si effettua il trapianto anche in un adulto che avrebbe bisogno di una massa epatica molto più grande di quel 20%. Grazie a questa tecnica pro-rigenerativa che lo porta a volume in soli 15-20 giorni.

3)Qual’e’lo ‘scenario’ nella regione Veneto relativamente ai trapianti di fegato?

Siamo tra le regioni più attive d’Italia.
Abbiamo una donazione che è tra le migliori d’ Italia e credo che meglio di noi faccia soltanto la Toscana e per certi versi il Piemonte ,quindi quella del Veneto è una donazione molto ricca perché si è molto spinto in termini di informazione, di diffusione alla popolazione del concetto di donazione, quindi siamo molto contenti di questo, certo si può fare sempre meglio. Il nostro obiettivo infatti è quello di raggiungere i livelli spagnoli perché la Spagna è il paese in cui si dona di più al mondo. Si parla infatti di quasi 60 donatori per milione di abitanti e sono dei numeri realmente impressionanti. Proprio perché c’è stata molta campagna di informazione. In Veneto se ne è fatta parecchia e si può fare meglio perché siamo lontani dai numeri spagnoli, ma possiamo ritenerci abbastanza soddisfatti. In Veneto dividiamo l’attività di donazione tra diversi centri in particolare ci sono n. 2 centri per il fegato, n. 4 per il trapianto di rene, n. 1 per il trapianto di polmone, e n. 2 per il trapianto di cuore. Quindi questa donazione relativamente ricca è divisa tra tutti questi centri.

4)Quali sono gli approcci chirurgici mininvasivi nei pazienti con tumore del fegato in attesa di trapianto?

Io non distinguerei tra chi è in attesa e chi no perché anche senza trapiantare noi abbiamo sviluppato, ed è un ‘altra delle nostre innovazioni, la tecnica di ablazione in laparoscopia ossia una bruciatura del tumore che si fa con degli aghi la cui punta si scalda fino a 200 gradi ,i cd aghi a radiofrequenza o a microonde. Questa ablazione viene eseguita in tutta Italia in via percutanea cioè , il paziente fa una ecografia e sotto guida ecografia si infila quest’ago che centra il nodulo e lo brucia. Questo come dicevo si fa dappertutto. Quello però che non si fa dappertutto è la nostra tecnica per via laparoscopica, cioè il paziente viene addormentato, si inseriscono due accessi, in uno la telecamera e in uno l’ecografia introoperatoria e l’ago viene condotto sotto guida ecografia però questa volta direttamente all’interno della pancia del paziente e sulla superficie del fegato. E’ evidente che l’accuratezza a centrare il nodulo e soprattutto la possibilità di bruciare molti noduli nella stessa sessione o di bruciare noduli in posizioni che non sono visibili per via percutanea con l’ecografia, è enorme ed estende la possibilità di ablare e di bruciare in maniera meno invasiva tanto è vero che il paziente va a casa dopo 24 ore, 48 ore dal ricovero. Minima è l’invasività ,minimo è il trauma, grandi le possibilità di estendere le indicazioni dell’ablazione.Per questo tipo di ablazioni noi abbiamo pubblicato la serie più grande al mondo e questa è una nostra caratteristica distintiva.

5)Come capire il tumore del fegato?
Per molte persone la diagnosi di tumore del fegato arriva inaspettatamente. Ma cosa c’è dietro?

Purtroppo il fegato non dà segno di sé. Quando una massa cresce all’interno del fegato, il fegato non fa male e quindi il paziente non ha segnali di questa crescita se non in qualche caso quando si schiacciano le vie biliari e lì comparendo un ittero diventa facile la diagnosi, ma negli altri casi il paziente è asintomatico per tanto tempo e spesso la diagnosi o è casuale ,ossia si scopre attraverso altri accertamenti ,o non è precoce. Quello che ci aiuta è lo screening delle malattie a rischio. Ci sono ad esempio malattie come l’epatite C e B, l’emocromatosi, o altre malattie del fegato croniche che ci portano a controllare i pazienti ogni 6 mesi con una ecografia. Questo screening ci permette di identificare dei tumori che non sono sintomatici e in questo modo fare delle diagnosi precoci.

6)Come vivere con il tumore del fegato?
“Cosa mi aiuta ad affrontare la mia malattia?” Come rispondere a questa domanda che si pongono i tanti pazienti?

La cosa che aiuta di più è una diagnosi precoce come dicevamo poc’anzi e ovviamente quella di affidarsi ad un centro di eccellenza. Difatti quello che manca in Italia è una guida ai centri di eccellenza, proprio per evitare di andare a bussare solo alla porta più vicina. Appare evidente che spesso solo i pazienti più intraprendenti trovano le strade giuste per arrivare ai centri di eccellenza e purtroppo chi è meno informato spesso viene pregiudicato e resta fortemente discriminato, quindi è fondamentale essere seguiti correttamente. Altra cosa importante è l’alimentazione: chi ha un tumore del fegato deve stare molto attento alla propria alimentazione, ossia ridurre i carboidrati, i grassi animali, evitare gli alcolici. Giova ovviamente la terapia del dolore con gestione da esperti di terapia antalgica, infine bisogna affidarsi ad un nutrizionista oltre ovviamente a fare sport. Il fegato ama molto il movimento.

7)Quanto si vive con tumore fegato?E
quali sono i sintomi di un fegato che non funziona bene?Quali esami del sangue fare per scoprire un tumore al fegato?

I tumori al fegato sono tantissimi, inoltre tutti i tumori dell’organismo possono dare metastasi al fegato e purtroppo queste costituiscono la causa di morte del paziente. Quindi il fegato è un po’ il bersaglio di tutti i tumori dell’organismo. I tumori che nascono all’interno del fegato invece sono detti primitivi . Pertanto non si può dare una risposta univoca, perché ci sono tumori che pur essendo maligni sono a bassa crescita, ed altri invece ad altissima velocità di crescita : a seconda di questo le prospettive e la prognosi è diversa. Gli esami del sangue ci aiutano a capire se ci sono delle malattie sottostanti che predispongono alla comparsa di un tumore al fegato. Ad esempio se un paziente fa una sierologia e ha contratto l’epatite B o l’epatite C o ha una steatosi con aumento delle transaminasi della gamma CT, sono tutti fattori che ci dicono di fare un ecografia per trovare un possibile tumore e il paziente viene inquadrato nella categoria cd a rischio . Seguirà lo screening ecografico, cioè fare ecografia ogni 6 mesi. Fondamentali sono anche i Markerts tumorali che indicano la presenza di qualcosa che non và nell’organismo.

8)Nell’anno della pandemia l’Unità di Chirurgia epatobiliare e dei Trapianti epatici dell’Azienda Ospedale Università di Padova, da lei diretta è riuscita a incrementare l’attività.Cosa comporta la nuova forma virale covid 19 per le persone con malattie pregresse?

È bene sottolineare che noi siamo riusciti ad incrementare l’attività grazie all’organizzazione dell’azienda ospedaliera di chirurgia epatobiliare di Padova che è una chirurgia ad altissima complessità ,che ho l’onore di dirigere, in quanto è stata protetta in maniera esemplare.Nel concreto chiudevano le altre attività chirurgiche a causa del Covid come la chirurgia day hospital o tutte le altre chirurgie “minori” e la nostra ad alta complessità è stata blindata .Ciò ci ha permesso non solo di lavorare ma addirittura di aumentare la nostra attività.Oggi invece denuncio,con estremo rammarico che , con questa ripresa di pandemia , abbiamo le rianimazioni piene di pazienti covid e nel 90% dei casi sono pazienti non vaccinati . Siamo molto preoccupati di questo trend perché ciò ci impedisce di operare i nostri pazienti oncologici in più c’è anche il rischio che la donazione d’organo venga vanificata da tutto questo .. C’è uno studio che abbiamo presentato al nostro congresso di Milano europeo ,di cui io sono stato presidente, ad Agosto, sui trapianti dove si è sostenuto che la pandemia da Covid ha fatto perdere quasi 50.000 anni di vita salvata a pazienti che non hanno potuto avere il trapianto perché le rianimazioni erano piene di pazienti con covid. Ecco perché è importante fare il vaccino perché non è una libertà quella di farsi il vaccino ma è un senso civico per non portare via quello spazio di terapia intensiva a pazienti affetti da tumori del fegato o da altre patologie. Purtroppo fanno molta più notizia i no vax e non i dati scientifici sui trapiantati.

(Leggi anche https://www.corrierenazionale.net/l-italia-irrazionale/)

9) Come mai il suo cervello non è in ” fuga” dall’Italia ?E cosa ne pensa del fenomeno?Da professore cosa consiglierebbe ai suoi studenti?

Il mio cervello, e la ringrazio di questo, è stato in fuga dall’Italia dal’89 al 92, in quanto sono stato a Pittsburgh e non le nascondo che le condizioni lavorative erano davvero ottimali. Lì ho imparato tantissimo, ho avuto l’onore di lavorare con colui il quale è stato il primo chirurgo al mondo ad aver effettuato il trapianto al fegato nel 1963.La tentazione di restare è stata forte tanto è vero che una delle mie figlie è nata li negli stati uniti ma poi con mia moglie abbiamo capito che saremmo stati sempre un po’ fuori dal nostro mondo e quindi abbiamo trovato il coraggio di ritornare in Italia. Non è stato facile, però credo che i cervelli debbano rimanere e non andare via, anche se si fa più fatica e si guadagna di meno ed è molto più difficile ottenere risultati scientifici.Sostengo fermamente che dobbiamo rimanere nel nostro paese se vogliamo farlo crescere. E’ una scelta diretta al paese in cui si è nati. Ai giovani dico che è molto importante andare fuori per farsi una mentalità come ho fatto io,e sono sufficienti uno due tre al massimo quattro anni poi bisogna avere il coraggio di tornare perché l’Italia ha bisogno di cervelli giovani . È facile far carriera fuori e poi tornare in Italia a 50 o 60 anni , molto più difficile è costruire la propria carriera all’interno del proprio paese. Le istituzioni dovrebbero aiutare i giovani a restare e soprattutto dovrebbero investire in ricerca scientifica perché oggi siamo vivi grazie ad essa. La ricerca va fatta qui in Italia.

10)Come concilia lavoro e famiglia?Appare inverosimile che lei abbia del tempo libero,nel qual caso come lo impiega?Hobby ?Sport?

E’ difficile conciliare lavoro e famiglia .Ho due bellissime figlie, la più grande si sta specializzando negli states, la più piccola è a Bologna ma ha un contratto con Bruxelles, ho tempi strettissimi, e cerco di stare con loro il fine settimana. Sono un appassionato velista da quando ero ragazzo e quindi dedico il mio tempo libero alla vela e alla bicicletta, ma si tratta davvero di scampoli di tempo. Mia moglie è molto paziente e devo ammettere che è una persona straordinaria e meravigliosa, in quanto ha accettato questi ritmi sacrificanti.

Daniela Piesco Vice Direttore Radici

Redazione Corriere Nazionale

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